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di Giuseppe Pracanica
Sulla Gazzetta del Sud del 9 agosto 1989, Melchiorre Briguglio scriveva “Nella storia di una comunità ci sono protagonisti silenziosi che aiutano a decifrarla quanti sanno leggere tra le righe di un’ufficialità spesso inconsistente. E’ il caso della vita e dell’opera di don Giuseppe Panascì, salesiano ed educatore di numerose generazioni di studenti messinesi e calabresi dell’istituto S. Luigi di Messina, spentosi nella sua Castiglione di Sicilia che, per quasi mezzo secolo, ha tenuto cattedra di latino e greco e ha formato uomini con l’esempio di un rigore morale, che però non rifiutava gli azzardi della cultura. Nella Messina del dopoguerra, quando in tanti sproloquiavano contro l’insegnamento delle scuole private, chiudendosi ai valori della cultura cattolica in nome i un laicismo orecchiato, riduttivo e provinciale, questo sacerdote, allievo di Rostagni, faceva adottare ai suoi studenti il libro di letteratura latina di Concetto Marchesi, comunista stalinista, che si proclamava ateo. E leggendo alcuni passi di questo grandissimo autore, il nostro maestro scopriva i segni di una spiritualità che gli sembrava inconciliabile con certe teorie sulla fine dell’uomo. Era la sua risposta all’accusa di conformismo e di chiusura rivolta da più parti alla scuola dei preti. Autentico salesiano, Don Panascì amava e seguiva i suoi allievi, senza prediligere alcuno in base a suggestioni derivate dall’estrazione sociale e dal censo. … Eccolo l’uomo, nei momenti di grandezza. (“Non sai che desiderio ho di rivedere mia madre”), nel bisogno d’immaginare che almeno i sentimenti abbiano una prosecuzione e che ci sia la possibilità nell’eternità dello spirito di “rivedere” la propria madre, di dare un seguito all’affettività costruita in questa vita, di cui non vorremmo fare a meno. “.
Trenta ragazzi, 16 calabresi e 14 siciliani, che nel lontano 1952, portammo alla parifica il liceo dell’Istituto salesiano S. Luigi, costituivamo una classe eccezionale. Mommo Cuppari, il primo della classe, era figlio di contadini di Spilinga, sopra Tropea che, per mantenere il figlio in collegio fin dalla III media (1946) erano emigrati nel New Jersey. Gli ultimi due anni del Liceo li aveva frequentati da esterno, ospite della mamma di Gino Centofanti, rimasta vedova, alla quale lo aveva segnalato mia madre. Non sapendo quale laurea gli sarebbe servita in America, visto per era difficilissimo superare i test per iscriversi all’Ordine dei Medici, si laureò, grazie ad una borsa di studio, in Medicina alla Sapienza di Roma con 110 e la lode ed in legge presso l’Università di Palermo. Ma superò i test facilmente, diventando poi Rettore, (ruolo diverso dal nostro) di una Università americana e divenne medico personale del Cardinale Casaroli, che lo fece insignire dell’ordine cavalleresco vaticano di S. Gregorio Magno.
Nel 1986 due nostri compagni del Ginnasio avevano ricevuto altissimi riconoscimenti, in campi diversi, il primo Franco Sgalambro, da papa Giovanni Paolo II il 5 aprile era stato nominato vescovo di Minturno, ed Ausiliare di mons. Ignazio Cannavò, presso l’Arcidiocesi di Messina, Lipari e S.Lucia del Mela, mentre il secondo, Totò Ragno, il 22 giugno dello stesso anno era stato eletto deputato regionale. Successivamente il primo sarebbe stato anche nominato Vescovo di Cefalù mentre il secondo, più volte, eletto senatore della Repubblica. Provenivano da esperienze molto diverse. Il primo rimasto orfano della madre in tenera età, aveva seguito, con il fratello più piccolo, il padre, bancario, che da Sortino era stato trasferito a Messina. La madre del secondo, la signora Aldea Righetti Crisafulli Mondio, lo aveva dovuto mettere in collegio, perché il marito, l’avv. Luigi Ragno, era stato internato come fascista, nel campo di concentramento, organizzato dagli anglo-americani, nella Certosa di Padula, in provincia di Caserta. Poiché le notizie che filtravano da Padula descrivevano situazioni insostenibili per gli internati, (gli inglesi non avevano niente da invidiare ai nazisti!) Totò, sempre triste ed angosciato, cercava conforto in don Panascì. Nonostante tale stato d’animo, nel biennio del ginnasio, era stato il primo della classe. Chi era sua madre, Aldea Righetti Crisafulli? Il nonno, l’on. Michele Crisafulli Mondio, ricchissimo proprietario terriero ed esportatore di agrumi della zona jonica, aveva sposato una donna bellissima, e per questo qualcuno aveva pensato che fosse stata attrice, Gigliola Artiglia, nata in provincia di Verona, a Legnago, una delle ex piazzaforti del famoso quadrilatero, che aveva una nipote, Aldea Righetti, figlia della sorella che, nel 1916, decenne, venne in Sicilia per la stagione balneare. Il Crisafulli si affezionò alla bambina e, con il consenso dei genitori, la adottò. In seguito Aldea Righetti Crisafulli avrebbe sposato l’avv. Luigi Ragno. Per festeggiare Franco e Totò, pensai di organizzare un incontro conviviale, coinvolgendo i vecchi compagni, Mimmo Germanò, professore di Medicina del Lavoro presso il Policlinico di Messina, Pippo Ferrante, provveditore agli studi di Messina, Poldo Biondo, ispettore superiore delle Poste e sindaco di Castelmola, Domenico Mittiga, farmacista a Catanzaro, Ubaldo Raco di Reggio Calabria, Italo Polimeni, anche lui di Reggio Calabria, che a 16 anni già scriveva sulla “Fiera Letteraria”, e che era già noto, a livello nazionale, come consulente economico con relativa agenzia di stampa ed anche televisiva (Telelombardia), il giornalista RAI e scrittore Melo Freni, lo psicoterapeuta, giornalista (Lo Specchio) e scrittore Basilio Reale, Teto Aragona, presidente della Corte d’Appello di Torino, Turi Rizzo, presidente dell’Ordine degli Ingegneri e vice sindaco di Messina, Turi Scalia avvocato e responsabile del servizio legale di vari Istituti Bancari, Mario Noto, Primario Ortopedico preso lo G.I.O.M.I. di Ganzirri. e tanti altri, che mi diedero la loro entusiastica adesione. A settembre ci incontrammo in un ristorante della città. Naturalmente all’incontro non poteva mancare don Panascì, al quale tutti noi eravamo rimasti legatissimi, sia come professore, ma soprattutto come uomo, nonostante gli oltre trentacinque anni trascorsi dalla nostra licenza liceale (1952). Conoscendo la sua ben nota ritrosia a partecipare ad eventi pubblici gli telefonai dicendogli, “Vossia mi deve fare un grande favore”, lui subito mi rispose “se posso senz’altro”. Ed io “può, può! Abbiamo deciso di festeggiare Franco Sgalambro e Totò Ragno e lei non può mancare.” Preso alla sprovvista mi disse “Non posso venire, perché non ho le chiavi dell’istituto.” Ed io “Non si preoccupi”. Subito telefonai a don Calcagno, che conoscevo da chierico, perché avevamo giocato a pallone assieme, e che allora era il Direttore del Collegio, il quale, dopo che gli riferii la scusa addotta da don Panascì, mi disse “vieni che ti dò dieci mazzi di chiavi!!!”.
Quindi la sera passai a prendere don Panascì con mons. Domenico Amoroso, che oltre ad essere l’altro vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Messina, era anche salesiano. La prima classe del liceo era stata integrata con alcuni giovani provenienti dal ginnasio del Domenico Savio tra i quali Tino Santoro con il quale, da subito, diventammo amici inseparabili, studiando assieme sia durante il liceo ed anche nei successivi sei anni del corso di Laurea in Medicina e Chirurgia. Ci laureammo tutti e due con 110 e la lode accademica, ma lui ebbe anche il diritto alla pubblicazione. Poi le nostre strade si divisero, per cui quanto riporto qui di seguito lo debbo alla professoressa Italia De Simone, vedova di Tino e prima donna professore ordinario della facoltà di MEDICINA ed al professore Domenico Puzzolo. Per loro Tino Santoro era un uomo del Rinascimento, ricco di curiosità ed interessi, che spaziavano dalla musica classica alla storia delle religioni, dall’archeologia alla storia dell’arte, appassionato di danza classica, cultore di letteratura italiana e straniera, radio-amatore, esperto di fotografia, profondo conoscitore della fisica. Fu quest’ultima passione, a fargli occupare, a soli 26 anni, un posto significativo nella storia della medicina. La sua carriera era iniziata quale Professore incaricato di Istologia ed Embriologia Generale della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Messina. Era stato quindi chiamato alla I Cattedra di Anatomia Umana Normale dell’Università “La Sapienza” di Roma. Ma presto tornò a Messina, sua città natale, in quanto riteneva che “non è la Cattedra a fare l’Uomo, ma l’Uomo a fare la Cattedra”: qui venne chiamato a dirigere l’Istituto di Anatomia Umana Normale, che sotto la sua direzione divenne Dipartimento di Biomorfologia. Istituiva la Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport, di cui divenne il primo Direttore. Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Messina per 12 anni e Segretario Generale della Conferenza Italiana dei Presidi delle Facoltà di Medicina e Chirurgia. E’ stato anche Prorettore Reggente dell’Università degli Studi di Messina, per finire Professore Emerito. La sua attività era iniziata da studente interno presso l’Istituto di Anatomia Umana Normale: la sua tesi di laurea “Sulla protezione con agenti chimici”, venne giudicata degna di lode e con diritto alla pubblicazione, ha vinto il premio Lepetit. Quindi ha approfondito la sua preparazione dapprima a Novara presso l’Istituto del Cancro con annesso l’Istituto di Radiologia, poi ad Amburgo presso gli Istituti di Anatomia Umana Normale e di Anatomia Patologica, dove ha appreso l’uso del microscopio elettronico a trasmissione, ed infine a Berlino presso la Ditta Siemens. Al suo rientro a Messina, ha dotato l’Istituto di Anatomia Umana Normale di microscopi elettronici a trasmissione ed a scansione e il Dipartimento di Biomorfologia del microscopio confocale laser.
Nel 1961 ha pubblicava in collaborazione con Walter Gusek dell’Istituto di Anatomia Patologica dell’Università di Amburgo, un lavoro sulla ultrastruttura dell’epifisi cerebrale del ratto. Si trattava della prima ricerca in cui veniva riconosciuta una funzione secernente, quindi un ruolo attivo, a quest’organo, che fino ad allora era stato considerato un “relitto filogenetico”. Tutti i successivi lavori sull’argomento (in particolare quelli di Lutz Vollrath) hanno richiamato nella bibliografia la ricerca di Gusek e Santoro come punto di partenza per un’analisi strutturale della ghiandola. Tino possedeva una grande umanità; il mettersi nei panni dell’altro, l’empatia, faceva parte del suo essere. Diveniva l’altro, diveniva tassista con il tassista, falegname con il falegname, meccanico con il meccanico. Questo viene ricordato, da quanti lo hanno conosciuto, sempre con affetto ed ammirazione, memori dell’aiuto ricevuto. Ha sempre seguito i suoi allievi negli studi e nella carriera, compiacendosi dei loro successi, perché li considerava i “suoi figli scientifici”. Gli allievi interni dell’Istituto di Anatomia Umana ricordano con grande piacere il “ritiro di studio” a Gambarie, durante il quale, provvisti di microscopi e di proiettore, si preparava l’esame di Anatomia insieme a lui, con risultati ricchi di contenuti e di soddisfazioni.
TINO RICEVE CHRISTIAN BARNARD
FRATERNIZZA CON I SUOI ALLIEVI
VIENE RICEVUTO DA PAPA GIOVANNI PAOLO II
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