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Usare appropriatamente l’Intelligenza Artificiale evita che questa finisca per configurare la Stupidità Naturale

Usare appropriatamente l’Intelligenza Artificiale evita che questa finisca per configurare la Stupidità Naturale

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di Salvo Rotondo

L’inevitabile trasformazione della sanità in formato digitale deve necessariamente passare attraverso l’intelligenza artificiale (IA). Questa ha la pretesa di prendere decisioni finalizzate alla risoluzione di problemi attraverso la combinazione di enormi quantità di dati gestiti da precise istruzioni processate in un numero finito di passi (algoritmo).
La novità dell’IA sta infatti nella capacità, grazie all’evoluzione delle macchine da calcolo, di seguire rapidamente percorsi decisionali utilizzando informazioni acquisite dalla macchina in modo automatico e veloce e non più attraverso il lento input manuale dell’operatore di turno. Fino a pochi anni orsono i dati gestiti via computer necessitavano di una stretta organizzazione strutturale, le informazioni venivano quindi archiviate e catalogate in forma “strutturata” secondo un calcolo vettoriale in “righe” e “colonne”, vedi ad esempio i fogli Excel, che successivamente sono stati trasformati in “matrici” di vari fogli indefinitamente affiancati aumentando in maniera importante la potenza di archiviazione e di calcolo.
Oggi, grazie all’evoluzione delle macchine da calcolo sono sempre più disponibili informazioni cliniche archiviate con modalità non strutturata bensì attraverso la registrazione di testi, immagini, suoni, nonché dati provenienti da dispositivi indossabili (come, ad esempio, braccialetti e magliette) o da orologi evoluti.
L’obiettivo dell’IA in medicina dovrebbe essere quello di utilizzare questa enorme quantità di dati gestiti al fine di interpretare possibili relazioni causa/effetto e fornire la possibilità di prendere decisioni in ambito medico finalizzate ad una più appropriata diagnosi o a una maggiormente adeguata terapia.
Attualmente il settore più avanzato nell’utilizzo dell’IA in medicina è sicuramente quello diagnostico, soprattutto in cardiologia, in oncologia o in pneumologia. Infatti è oggi possibile istruire le macchine tramite informazioni cliniche pregresse quali radiografie, ecografie, TAC, ECG, EEG, quadri istologici, etc. Questi vengono processati sulla base di diagnosi corrette già eseguite e suggerire soluzioni diagnostiche o terapeutiche venendo in ausilio al medico.

Nel campo della prevenzione primaria esistono filoni di ricerca che cercano di interpretare quadri clinici complessi sulla base di numerosissimi rilevamenti i quali, una volta elaborati, vanno a rappresentare elementi di giudizio finalizzati alla realizzazione della diagnosi di patologie ancor prima che esse si manifestino attraverso l’identificazione di indicatori di rischio capaci di predire l’eventualità di una patologia tumorale, cardiaca, dismetabolica, neurologica, etc.

Uno dei capisaldi base dell’informatica fin da quando l’inserimento delle informazioni da elaborare venivano effettuato manualmente mediante l’inserimento di schede perforate è il concetto espresso dalla frase “garbage in = garbage out”, ovvero “se introduci spazzatura (nell’input), verrà fuori spazzatura (nei risultati)”.
Questo concetto è di estrema attualità, perché rappresenta uno dei rischi più grossi della cosiddetta dell’IA in medicina.
È infatti fondamentale che le informazioni inserite, sulla base delle quali verranno elaborate le risposte, siano adeguatamente testate e validate secondo l’evidenza scientifica (Evidence Based Medicine) come indicato nelle Linee guida sull’uso dei sistemi di intelligenza artificiale in ambito diagnostico del Ministero della Salute (https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_3218_allegato.pdf).

Ma la formulazione di diagnosi elaborate da una macchina non è l’unico campo di applicazione dell’IA. Con l’avvento di ChatGPT che è in grado di scrivere testi semplici e facilmente intellegibili è possibile ottenere testi molto chiari e comprensibili dall’utente anche se non addetto ai lavori. Purtroppo però, bisognerà validare in maniera più precisa la loro affidabilità testando in maniera accurata gli “elementi di giudizio” sui quali si fondano le risposte al fine di evitare che la base di dati su cui si elaborano le conclusioni automatiche generate dalla macchina non vengano assunte in maniera acritica da informazioni trovate su Internet, dove spesso si riscontra una enorme mole di informazioni senza alcuna verifica di appropriatezza o di affidabilità. È indispensabile quindi che le fonti di conoscenza si basino su studi condotti in maniera solida, con disegni prospettici, meglio se randomizzati e in doppio cieco e ancora meglio se su base multicentrica.

L’IA potrebbe ancora essere utilizzata per generare testi complessi quali referti o relazioni cliniche articolate e tradotte in un linguaggio facilmente comprensibile dall’uomo della strada o comunque da non addetti ai lavori, quale potrebbe essere, ad esempio, un giudice che trova difficoltà nell’interpretazione di una relazione medico-legale.

Quindi ben venga l’intelligenza artificiale quale strumento a supporto del professionista per la definizione di una diagnosi, una prognosi o nell’identificare il miglior trattamento possibile da dare al paziente, o ancora per migliorare l’aspetto comunicativo di un referto o di una relazione al fine di renderla intellegibile all’uomo della strada.

Il rischio che si corre è che l’uso dell’IA possa, in qualche modo (per indolenza o per incompetenza), sostituire il medico che raccoglie l’anamnesi secondo criteri logici e professionali costruiti nel corso di decenni di studi e di acquisizioni culturali sul campo, che formula le proprie diagnosi sulla base della semeiotica fisica (ispezione, palpazione, auscultazione, percussione), prescrive esami ematochimici e e/o strumentali e ne valuta, integrandoli, i risultati seguendo i principi del cosiddetto “Real World Evidence”, ovvero evidenze basate su informazioni del mondo reale e non sulle fandonie gratuite spacciate per informazioni affidabili troppo spesso pubblicate in rete.

È un’occasione da non perdere per la classe medica, quella di utilizzare strumenti automatizzati ed affidabili che siano in grado di riacquisire quello che ne gli ultimi anni, a seguito della crescente burocraticizzazione, si è andato in molti casi perdendo: l’umanizzazione. Il tempo risparmiato attraverso l’uso di sistemi automatizzati deve essere investito in una maggiore attenzione e disponibilità al colloquio e alla reperibilità per contrastare sul nascere la vulgata: “l’IA mi garantisce di più, perché è sempre disponibile e contattabile. Il mio medico, invece non si fa trovare mai”.