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La memoria peggiora sempre con l’età?

La memoria peggiora sempre con l’età?

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 di MARIA FREGA (PENSIERO SCIENTIFICO EDITORE)

Perdere il filo del discorso, tardare a ricordare il nome di un familiare, perdere oggetti per casa: i vuoti di memoria diventano più frequenti in età matura. Occorre allarmarsi? Non sempre. Il timore, nei soggetti che sperimentano queste difficoltà quotidiane, è che una semplice dimenticanza possa essere l’esordio di una malattia neurodegenerativa.

Del resto, anche il cervello invecchia, insieme con ognuno degli organi del nostro corpo. In attesa di cure per il declino cognitivo, per le quali a ricerca scientifica è molto impegnata, esistono delle strategie per prevenire o ritardare l’oblio. Tutto, o quasi, dipende da uno stile di vita sano.

Dottore, invecchiando è normale avere vuoti di memoria?

Sì, è fisiologico. Come accade a ogni organo del corpo umano, anche nel cervello si verificano cambiamenti con l’età. Così, con la vecchiaia, le attività mentali, la capacità di ragionamento e la memoria rallentano progressivamente.

Le cause sono diverse: si restringono alcune parti del cervello, il flusso sanguigno è più lento, i neuroni non comunicano con la stessa efficienza del passato. Quando questa situazione è presente regolarmente si può trattare di decadimento cognitivo lieve (mild cognitive impairment, MCI), che si manifesta soprattutto con i vuoti di memoria.

Il soggetto che ne soffre ha difficoltà a ricordare, sente che il pensiero è un po’ confuso ma ciò non compromette la vita quotidiana. Anzi, in alcuni casi, si tratta di disagi sporadici e transitori. Il deterioramento delle facoltà cognitive varia per ogni soggetto secondo modalità e tempi diversi. In generale, questi disturbi colpiscono persone che hanno superato i 65 anni di età e, in misura maggiore, gli over 80 [1].

Come distinguere i vuoti di memoria da problemi più gravi, come la demenza?

Occorre fare attenzione alla frequenza di episodi come questi: ripetizione della stessa domanda a breve distanza di tempo; disorientamento in luoghi familiari; confusione sui nomi e sui volti di parenti e amici; poca cura di sé stessi (ad esempio non mangiare o mangiare male, non lavarsi). Il rischio è che il soggetto perda autonomia, che si crei una situazione di disabilità per la quale sono necessarie cure e assistenza continue [2].

Bisogna inoltre fare attenzione alla qualità della vita per i pazienti con decadimento cognitivo lieve. Infatti è stato riscontrato che la depressione, per questi soggetti, è molto comune (la prevalenza è del 32%) [3,4]. In misura minore, i deficit di memoria possono essere legati anche a traumi, a patologie del cervello o di altri organi, ad abuso di sostanze o alcol, oppure nascere come effetto collaterale di alcuni farmaci.

In presenza dei sintomi citati, è opportuno consultarsi con il medico di medicina generale; egli valuterà se tali comportamenti siano fisiologici oppure no ed eventualmente indirizzerà il paziente e i suoi familiari da uno specialista, un neurologo o un geriatra. Per valutare la salute cognitiva esistono diversi test ed esami, effettuabili anche nelle strutture specializzate di ogni servizio sanitario locale [2].

Ma cos’è la demenza?

Oggi si parla in realtà di demenze, al plurale, per comprendere varie forme e diversi livelli di gravità. Come abbiamo visto, le demenze mostrano un insieme di sintomi dipendenti da più cause. Sotto la stessa definizione sono comprese sia condizioni come il declino cognitivo lieve sia malattie come quella di Alzheimer.

Nel primo caso, il paziente è consapevole che le proprie facoltà cognitive sono ridotte o rallentate, mentre una malattia neurodegenerativa importante, come quella di Alzheimer, comporta sintomi più complessi e irreversibili [5]. I sintomi di MCI non sempre sono segni precoci della demenza né della malattia di Alzheimer. Non tutti coloro che soffrono di decadimento cognitivo, quindi, vivranno un peggioramento [2].

Dottore, sono disturbi molto diffusi?

In Italia le persone con declino cognitivo lieve sono circa 950mila, secondo le ultime stime Istat. La malattia di Alzheimer, invece, oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni. Nel nostro Paese si stimano circa 500mila ammalati. Nel mondo, oltre 50 milioni di persone vivono con la demenza e le stime sul futuro sono allarmanti: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità i pazienti aumenteranno fino a 139 milioni entro il 2050 [6]. Sono dati in costante incremento da anni, a causa dell’aumento della popolazione e della longevità: viviamo più a lungo e siamo maggiormente esposti al rischio di disturbi cognitivi.

Cosa possiamo fare per prevenire le demenze?

Tutti i più autorevoli studi sul tema concordano sulla necessità di adottare uno stile di vita salutare, che ha ricadute positive anche sul benessere cognitivo. Si può, insomma, tentare di prevenire la demenza evitando i dodici fattori di rischio modificabili [7,8]: inattività fisica, fumo, alcol, esposizione all’inquinamento atmosferico, traumi cranici, isolamento sociale, basso livello di istruzione, obesità, ipertensione, diabete, depressione, problemi di udito.

Escludendo, ove possibile, queste abitudini scorrette dal proprio stile di vita il rischio di demenza può ridursi fino al 40%. Questa strategia di prevenzione va mantenuta per tutto l’arco della vita fino all’età matura; è provato che, persino dopo i 65 anni, sia ancora possibile ridurre le probabilità di sviluppare forme di demenza [6].

Dottore, mi sembra di capire che non esistono cure per il declino cognitivo…

Purtroppo no. Non abbiamo ancora terapie specifiche per rallentare il declino cognitivo né per prevenire le demenze. La ricerca scientifica è molto impegnata nella comprensione delle cause delle demenze, nel perfezionamento degli strumenti diagnostici e, naturalmente, nell’individuazione di trattamenti per prevenire o ritardare la comparsa delle malattie [2]. Per approfondire l’argomento potete leggere la nostra scheda “Sono in arrivo farmaci per l’Alzheimer?”.

(Fonte: dottoremaeveroche.it)