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di Filippo Cavallaro
Capita di rileggere un romanzo e trovarlo diverso, forse è sempre così, ed è colpa nostra non provare l’esperienza della rilettura, della rivisitazione, perché lo riteniamo cosa nota, invece capita come quando per andare da qualche parte decidiamo di cambiare strada e scoprire che di alternative al primo percorso ce n’erano tante.
Mi è successo con il romanzo “La Santuzza è una rosa” di Giuseppina Torregrossa pubblicato lo scorso novembre da Feltrinelli. Lo avevo letto nel periodo natalizio, ed avevo considerato, con degli appunti, che poteva essere stimolo per una noterella. Rileggendolo in questi giorni ha fatto coppia con una mia telefonata per chiedere di Clarenza.
Nel romanzo la protagonista è Viciuzza una ragazza di via degli Schioppettieri a Palermo che viene stuprata in un vicolo alla Mezquita la notte di mezzagosto.
Ha sempre vissuto in casa, senza permesso di uscire, e solo quella notte, inseguendo le lucciole, aveva avuto il coraggio di affrontare la strada.
Nel maggio dell’anno successivo è infastidita dell’aumento di peso, non capisce perché si è bagnata lungo le gambe, e le forze non l’aiutano a fare i servizi di casa. La madre l’ha sempre considerata una servetta.
Fortuna che è in compagnia di una ragazza, che spesso fa visita a lei ed altre bisognose del rione Tribunali. E’ proprio questa amica che la assisterà nel momento in cui, perse le forze, sviene e sarà da lei gentilmente risvegliata per essere guidata nel travaglio e nel parto. Nasce una bimba, e Viciuzza decide che deve chiamarsi Liuzza come la sua amica.
Viciuzza è magrissima e debolissima, ha la testa grossa per il suo collo esile e non riesce a tenerla dritta, ha le spallucce magre che si aprono sul dorso come ali rachitiche. E’ “pizzudda pizzudda”. Una pezzuola lisa e floscia, le braccia e le gambe spesso non hanno alcuna forza per essere mosse, oppure vanno per i fatti loro.
L’amica per aiutarla nel travaglio l’ha massaggiata per farle sentire meno male, l’ha confortata nel momento in cui i dolori erano inevitabili per partorire, l’ha consigliata su come comportarsi in quel momento che non si dovrebbe mai assolutamente vivere da sola.
Poi nata la bimba si addormentano.
Verranno subito separate e dopo vicende fortunose si ritroveranno. Una famiglia si prenderà cura di loro, ed è da questo primo incontro tra loro e la famiglia che le accoglie, che nasce la scintilla di collegamento tra Liuzza e Clarenza. La signora vede Viciuzza preoccupata per la sua bambina, per la nuova casa dove andranno a vivere e la nuova vita che dovranno affrontare, e le dice: “la bambina è tua e fai bene a tenerla stretta. Difendila sempre e nel dubbio dà retta al tuo istinto.”
Clarenza e sua mamma erano preoccupate per una visita, che avrebbero dovuto ripetere con una dottoressa, per i vari problemi cerebrali e neurovegetativi che l’accompagnano dalla nascita. Nella precedente la neurologa era stata molto dura, severa nei loro confronti. A casa la dottoressa, impressionata per la voglia di vivere di Clarenza e la combattività della madre, ne aveva parlato con la propria mamma, e quella signora, senza conoscere Clarenza e la sua famiglia, aveva fatto capire alla figlia medico che la mamma segue un istinto, per il legame che c’è sempre con i figli, li difende sempre, e spesso ha ragione.
Di fatto Clarenza è affetta da una grave patologia, ma sta crescendo, lentamente sta imparando a relazionarsi con il suo corpo. Riconosce la mamma rispetto agli altri, e questo basta per cominciare.
La vita di Viciuzza cambiò, il suo corpo ebbe una metamorfosi. Si era rimpolpato. Il busto si era allargato e sosteneva il petto florido. L’andatura era stabile, la postura dritta, sembrava anche più alta. Non aveva avuto una madre da piccola e tante paure a volte rinvenivano e lei sembrava regredire al che la signora la cingeva con le sue braccia anche se anchilosate.