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di Teresa Gervasi
Professore Associato di Chimica e Biotecnologia delle Fermentazioni,
Dipartimento di Scienze Biomediche, Odontoiatriche e delle Immagini Morfologiche e Funzionali (BIOMORF) – Università di Messina
Negli ultimi decenni l’interesse scientifico per il microbiota intestinale ha evidenziato una crescita esponenziale, in ragione della sempre più evidente rilevanza dello stesso in relazione ai meccanismi di funzionamento dell’organismo umano.
Si è infatti progressivamente acclarata una diretta correlazione tra l’alterazione dell’equilibrio del microbiota intestinale e l’insorgenza di uno stato pro-infiammatorio, spesso connesso allo sviluppo di diverse patologie, sia a carico del sistema gastrointestinale e metabolico che di natura immunologica e neuropsichiatrica [1–3].
La definizione del microbiota intestinale quale “secondo cervello” dell’uomo [4] riflette l’importante ruolo del microbiota intestinale nella regolazione del sistema nervoso centrale (SNC) e, in tale contesto, la notevole rilevanza che assumono le correlazioni documentate tra l’alterazione del microbiota intestinale e le patologie mentali.
Il progressivo sviluppo e il crescente utilizzo di metodiche analitiche sempre più sofisticate, quali il sequenziamento shotgun, la spettrometria di massa e la metabolomica basata sulla risonanza magnetica nucleare per l’identificazione e la caratterizzazione dei complessi ecosistemi in sviluppo, nonché le recenti innovazioni in campo bioinformatico, hanno contribuito a documentare la molteplicità e la diversità dei piani in cui si rileva l’importanza del microbiota intestinale per il benessere dell’organismo ospite [1] .
Il microbiota intestinale è un complesso ed eterogeneo sistema di microrganismi che colonizzano il tratto gastrointestinale umano (GIT), e costituisce l’ecosistema microbico più importante nell’uomo. Tale comunità microbica è composta da batteri, archei ed eucarioti co-evoluti con l’ospite, e la loro composizione varia longitudinalmente lungo il tratto gastrointestinale.
Lo stomaco e il duodeno sono caratterizzati da un numero modesto di microbi con bassa diversità (circa 10¹-10³ batteri/g), i tratti del digiuno e dell’ileo evidenziano numeri e diversità maggiori (circa 10⁴-10⁷ batteri/g) mentre il colon registra il numero più alto di microrganismi (quasi 10¹¹-10¹² batteri/g)[5].
Più del 90% di questa varietà è costituito dai fila batterici dei Firmicutes – principalmente composti da batteri appartenenti ai cluster XIVa e IV di Clostridium – e dai Bacteroidetes. Altri fila presenti nel microbiota intestinale umano sono gli Actinobacteria i Proteobacteria, i Verrucomicrobia, i Fusobacteria, Cyanobacteria, Spyrochaetes, e i Lentisphaerae [6,7].
Le proporzioni tra le diverse specie dipendono da una complessa e mutevole molteplicità di fattori, quali la modalità di nascita dell’ospite (parto vaginale o cesareo), l’alimentazione in età infantile (latte materno o artificiale), lo stile di vita, l’assunzione di farmaci (tipo, tempi e frequenza) e la genetica dell’ospite [8]. La diversità di un ecosistema intestinale sano in un adulto è generalmente considerata come comprendente un’alta diversità tassonomica e un’elevata ricchezza genetica microbica. Tuttavia, è importante precisare come un’elevata diversità e ricchezza batterica nel tratto gastrointestinale non costituisca un indice massimamente affidabile di un microbiota sano [1].
Il microbiota intestinale svolge funzioni essenziali di natura metabolica, immunologica, strutturale e neurologiche [8,9]. L’intestino infatti è strettamente connesso al cervello, in quanto è innervato da neuroni ed è sede del 70% delle cellule del sistema immunitario [10]. Tale connubio, noto come asse intestino-cervello, ricopre un ruolo fondamentale nel mantenere l’equilibrio dell’organismo umano, chiamato omeostasi [11].
Queste interconnessioni includono sistemi di segnalazione diretti e indiretti tramite trasmettitori chimici, vie neurali e il sistema immunitario. Le vie di comunicazione coinvolgono: il sistema nervoso autonomo, inclusi il sistema nervoso enterico (SNE) e il nervo vago, il sistema neuroendocrino, l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), il sistema immunitario e diverse vie metaboliche [9].
Nell’asse intestino-microbiota-cervello di notevole importanza risultano la barriera intestinale e la barriera emato-encefalica (BEE), queste infatti rappresentano due barriere naturali la cui permeabilità può essere modulata da microrganismi intestinali, stress e infiammazione [12].
Le principali vie di segnalazione del microbiota intestinale al SNC si determinano attraverso la produzione di composti neuro-attivi, quali i neurotrasmettitori (ad esempio l’acido γ-aminobutirrico, la noradrenalina, la dopamina e la serotonina) gli aminoacidi (ad esempio tiramina e triptofano) e i metaboliti microbici (ad esempio acidi grassi a catena corta, gli acidi biliari secondari e i metaboliti del triptofano). Tali metaboliti possono viaggiare attraverso la circolazione portale ed interagire con il sistema immunitario dell’ospite, influenzando il metabolismo o anche le cellule neuronali del SNE e le vie afferenti del nervo vago, che trasmettono il segnale direttamente al cervello. Il microbiota intestinale può, inoltre, l’influenzare l’integrità della barriera intestinale che controlla il passaggio molecole di segnalazione dal lume dell’intestino alla lamina propria, che contiene cellule immunitarie e terminazioni neuronali enteriche, o alla circolazione portale [9].
In tale quadro, si è rilevato come gli acidi grassi a catena corta (SCFAs) rappresentino i principali metaboliti microbici che consentono di mettere in relazione le alterazioni della composizione microbica intestinale con la disfunzione cerebrale[13].
Diversi studi traslazionali e su modelli animali condotti con approcci diversi ma complementari (come quelli condotti utilizzando: topi privi di un microbiota endogeno; antibiotici; somministrazione di probiotici; infezioni del GIT; trapianti fecali di microbiota) hanno evidenziato come il microbioma gastrointestinale, insieme alla risposta immunitaria dell’ospite, costituiscano un fattore chiave nello sviluppo e nella maturazione del SNE e del SNC [9,12].
Contestualmente, recenti ricerche hanno stabilito una correlazione tra la disbiosi del microbiota intestinale e molteplici disfunzioni neurologiche, mentali e comportamentali, quali l’ischemia cerebrale, le malattie di Alzheimer e di Parkinson, la depressione, i disturbi dello spettro autistico e altre patologie [9].
Tuttavia, tale accertata capacità di condizionamento appare effettiva anche in senso contrario. Nel sistema nervoso, infatti, il fattore dello stress può attivare la risposta dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), che coinvolge i neuroni dell’ipotalamo secernenti l’ormone di rilascio della corticotropina (CRH) nel cervello o nella circolazione portale, innescando così il rilascio dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH), il quale a sua volta avvia la sintesi di cortisolo. Il cortisolo regola le risposte di segnalazione neuro-immunitaria che impattano negativamente sull’integrità della barriera intestinale. Gli ormoni dello stress, i mediatori immunitari e i neurotrasmettitori del SNC sono in grado di attivare le cellule neuronali del SNE e le vie afferenti del nervo vago, esercitando una significativa influenza sull’ambiente intestinale e sulla composizione del microbiota [9].
Fig. 1 Comunicazione bidirezionale tra microbiota intestinale e asse intestino-cervello [14]
Quanto alla possibilità di intervenire in positivo sul condizionamento di tali processi, particolarmente attiva risulta l’attività di ricerca funzionale alla definizione di strategie terapeutiche volte a rimodellare la composizione del microbiota intestinale.
Nell’ambito degli studi sull’utilizzo di antibiotici, di prebiotici e di probiotici, che annoverano una letteratura molto ricca ma spesso disomogenea e contraddittoria nelle conclusioni, di particolare interesse si sono rivelati quelli relativi all’impatto sul microbiota di alcune macromolecole o componenti bioattivi alimentari, tra le quali figurano gli antiossidanti e i microrganismi “Psicobiotici”. Gli antiossidanti, ed in particolare i polifenoli, evidenziano una relazione bidirezionale con il microbiota intestinale, in quanto, se da una parte possono influenzare la composizione di tale ecosistema microbico, dall’altra sono gli stessi batteri intestinali a trasformare queste molecole in composti bioattivi che possono apportare benefici all’ospite [15].
Quanto agli “Psicobiotici”, questi hanno dimostrato una significativa capacità di interagire con i segnali microbiota-intestino-cervello, promuovendo un’influenza positiva sulle funzioni neurologiche quali la cognizione, nonché sugli stati psicologici legati all’umore e all’ansia. Tali microrganismi probiotici sembrano influenzare positivamente la salute mentale attraverso l’asse HPA, la riduzione dell’infiammazione sistemica, il sistema immunitario e la secrezione di molecole neuro-attive, inclusi i neurotrasmettitori e i neurormoni [14,16].
Sempre nel novero delle strategie terapeutiche orientate a modificare il microbiota intestinale, benché gli studi clinici di alta qualità risultino allo stato attuale ancora scarsi, la tecnica del trapianto fecale di microbiota (FMT) sta incontrando un sempre maggiore interesse scientifico.
Il FMT, trasferendo le feci di un donatore sano nel tratto gastrointestinale di un altro paziente, consente infatti di modificarne direttamente il microbiota e di normalizzarne la composizione [17]. Tuttavia, nonostante i promettenti risultati ottenuti in varie sperimentazioni, permangono al momento presente molteplici interrogativi relativi alla standardizzazione dei protocolli, alla sicurezza e alla variabilità dell’efficacia a lungo termine.
Per converso, tra le molecole con un impatto negativo rilevante sul microbiota intestinale su cui si è recentemente concentrata l’attività di ricerca scientifica, vi è l’alcol [16,18].
Molteplici studi hanno dimostrato come non soltanto l’abuso, bensì anche il consumo moderato di alcol, evidenzi un significativo effetto negativo sull’organismo a vari livelli, impattando sia sul sistema nervoso centrale che su altri importanti organi.
Limitatamente all’asse Intestino-Cervello, si sta progressivamente rilevando come anche un consumo moderato di alcol determini significative alterazioni nel microbiota e provochi l’aumento della permeabilità della mucosa intestinale [18–21]
Studi condotti su modelli animali hanno rilevato, a fronte della somministrazione di alcol, una comune tendenza alla riduzione di batteri con attività antinfiammatoria, come quelli appartenenti ai phyla Bacteroidetes e Firmicutes, ed un contestuale aumento di batteri con attività pro-infiammatoria, come i Proteobacteria [18].
Quanto finora esposto in ottica divulgativa, ha inteso tratteggiare quella che si sta progressivamente definendo come una nuova frontiera di interesse nell’ambito del contrasto e della prevenzione di molteplici patologie. La scoperta “centralità” del microbiota intestinale rispetto ad una significativa pluralità di processi e di interazioni fisiologiche sta orientando l’attenzione della comunità scientifica verso strategie di condizionamento dello stesso in chiave positiva, nonché verso l’approfondimento degli effetti negativi prodotti da alcune sostanze alimentari di diffuso uso comune. Non appare pertanto velleitario ipotizzare che l’esito di tali attività di studio produrrà, nel breve termine, un impatto significativo sulla capacità di curare e di prevenire importanti patologie.
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