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“Giornalismo scientifico e panicodemia mediatica”

“Giornalismo scientifico e panicodemia mediatica”

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di Giuseppe Ruggeri

Il rapporto tra scienza e giornalismo è da sempre complesso e soggetto a continua evoluzione. L’imprenditoria editoriale impone logiche di mercato che non sempre consentono di trovare un giusto equilibrio tra informazione e deontologia. Nell’informazione di salute sempre, ma soprattutto in momenti di emergenza sanitaria, il diritto/dovere all’informazione va difatti costantemente contemperato con la tutela non solo degli ammalati ma anche di quanti, nello stesso momento in cui la notizia arriva all’opinione pubblica, vanno protetti dallo stillicidio indiscriminato di notizie.

E’ necessaria una sensibilità imprescindibile per svolgere informazione scientifica (vedi in proposito il richiamo nel TU dei Giornalisti che, all’art.6, fissa alcuni paletti per gli esercenti l’attività giornalistica su temi di salute e farmacologia. Un’attività mirata alla difesa dei soggetti deboli, intendendosi per tali non soltanto i pazienti, ma anche i minori e quanti sono affetti da menomazioni fisiche, psichiche o sensoriali. Va inoltre tenuto presente che non di rado può capitare che alcune notizie siano spacciate per fatti certi senza che ciò corrisponda al vero. Ciò avviene quando personaggi, in altre circostanze poco credibili, in momenti di particolare allarme sociale come quello attuale, si lasciano andare a dichiarazioni prive di sufficienti basi scientifiche nel tentativo di occupare spazi di notorietà, trovando il sostegno di certa stampa superficiale o, peggio, tendenziosa. Quando si scrive di salute e medicina, viceversa, è indispensabile il ricorso a fonti scientificamente attendibili, autorevoli e validate. Rispetto a un giornalismo per così dire “generalista” – sia pure nel massimo rispetto del pluralismo delle fonti che deve caratterizzare uno Stato di Diritto – in questo specifico settore il problema della fonte della notizia richiede una particolare attenzione. Va in tal senso privilegiato il criterio della peer-review (revisione dei pari), che consiste nel sottoporre un articolo scientifico – relativo a una scoperta, un trial, una ricerca, una cura e/o una news di salute – alla lettura critica di uno o più esperti di quella materia, per decidere se pubblicarlo o meno. Questo, naturalmente, non può garantire sull’assoluta qualità dei risultati, ma costituisce un filtro importante.

In ambito medico-sanitario e nella ricerca scientifica, la valutazione dell’interesse generale è sempre prioritaria in tema di divulgazione di notizie e informazioni. Giornalisti, medici e ricercatori sono ivi tenuti a collaborare strettamente tra di loro nel rispetto del diritto d’ogni cittadino alla tutela della sua dignità, assicurando che l’informazione medico-scientifica sia quanto più corretta e completa, oltre che redatta in modo da non creare false attese o timori infondati in chi legge. Il sensazionalismo, peraltro, è vietato dallo stesso art.6 del TU. Applicare queste regole all’informazione scientifica diviene particolarmente complicato nel momento in cui si registra una sovraesposizione mediatica su un particolare tema di sanità pubblica, come avvenuto, ad esempio, per la pandemia da Coronavirus. Il problema è ancor più grave quando, alla base di siffatta tipologia d’informazione, è assente il filtro di colleghi qualificati.

Detto questo, va comunque ribadito che il giornalista medico-scientifico dev’essere rispettoso della Scienza e delle Istituzioni ma giammai supino a esse. Il concetto si evince bene da una frase di Maryn McKenna, giornalista esperta di emergenze sanitarie: “La sudditanza dei giornalisti scientifici nei confronti degli scienziati è un fenomeno da combattere in nome del ruolo sociale della Stampa, esattamente come qualsiasi sudditanza di un giornalista nei confronti della propria fonte”. McKenna, al contempo, ammonisce che: “solo acquisendo strumenti autonomi nella comprensione delle fonti scientifiche, e grazie alla visione d’insieme degli argomenti che deriva dal nostro lavoro, noi giornalisti possiamo svolgere il compito di ‘controllori’ della scienza e fornire ai lettori informazioni obiettive, il più possibile scevre da influenze politiche, economiche, religiose o da conflitti di interesse”.

La valutazione critica rispetto a una fonte informativa, pertanto, può essere esercitata appieno solo a condizione che si possiedano strumenti formativi in grado di “pesare” la notizia. Chi però si affaccia al settore della salute e della medicina senza possedere, di base, uno specifico background (posto che nasciamo tutti giornalisti generalisti), oggi si può trovare in seria difficoltà. La formazione nel settore specifico non può essere assolta unicamente attraverso gli obblighi di legge da ottemperare mediante l’ODG (che comunque ha il merito di avere inserito nei propri eventi di aggiornamento professionale anche la deontologia dell’informazione sanitaria), ma esige un investimento fondato su risorse economiche individuali che di certo non possono essere richieste ai collaboratori spesso sottopagati nella gran parte delle redazioni. Ne deriva che questo tipo di giornalismo finisce per essere svolto da professionalità che hanno competenze troppo generiche al fine di assicurare un’attenzione puntuale alle notizie di medicina e salute, anche perché nelle redazioni generaliste manca la supervisione di un comitato tecnico-scientifico di cui sono in atto dotati solo le riviste e gli strumenti informativi di settore.

I giornalisti medico-scientifici rappresentano a tutt’oggi in Italia una minoranza, tanto per colpa di una cultura miope che per molti anni li ha relegati quasi a professionisti di serie “B”, quanto a motivo delle difficoltà di specializzarsi in questo campo. Un gap che si è ridotto man mano che l’attenzione alla salute è diventata centrale da parte dei lettori e dei fruitori dei mezzi di informazione, sicché gli argomenti sanitari hanno cominciato a occupare sempre più spazio su varie testate anche non specializzate.

Il rapporto tra cittadini, scienza e giornalismo scientifico rimane insomma tormentato, malgrado già la “Dichiarazione di Erice” del 2010 rilevi che: «i media e i comunicatori professionisti hanno un ruolo importante non solo come partner in tema di sicurezza, ma anche nel valutare con attenzione il funzionamento dei sistemi di vigilanza».  Pesa inoltre una certa dose di analfabetismo scientifico, restando in definitiva a carico delle Associazioni di categoria e dell’Ordine dei Giornalisti la responsabilità di fare dell’etica il baricentro intorno al quale ruota la diffusione di notizie che riguardano la salute pubblica, mentre è rimesso alla volontà e alle possibilità economiche dei singoli giornalisti approfondire percorsi formativi specifici in materia. Perché non c’è momento peggiore della logica emergenziale per costruire una solida informazione in tema di salute.

La fibrillante informazione cui ci è toccato assistere durante l’emergenza pandemica da coronavirus è la palmare dimostrazione di tutto questo. Ogni emergenza, di per sé, estremizza i punti di vista e i comportamenti che ne conseguono, e ciò vale anche e specialmente per la comunicazione. La necessità, da parte dei mass-media, di mantenere alta la soglia d’attenzione degli utenti sull’evoluzione della virosi ha condotto difatti, nel corso del biennio pandemico, a un’informazione martellante e ossessiva che ha sconfinato spesso nel terrorismo mediatico, con correlati riflessi sulla psiche soprattutto dei soggetti più deboli e configurandosi, pertanto, come una vera e propria “panicodemia”.

Appare evidente che questo genere d’informazione vada evitata in ogni caso, anche in circostanze nelle quali sia supportata da una realtà fattuale la cui conoscenza da parte del pubblico si rivela tuttavia traumatica e dunque potenzialmente più pericolosa dello stesso evento in sé. Compito di un bravo giornalista scientifico, alla luce di quanto finora esposto, resta pur sempre e comunque, secondo il dettato dell’art. 32 della nostra Costituzione, la tutela della salute, vale a dire uno stato di “completo benessere bio-psico-fisico e non solo assenza di malattie” come ci insegna l’O.M.S.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

  1. Elfio M.G., Ruggeri G., “La deontologia dell’informazione medico-scientifica: riflessioni e consigli per i giornalisti di salute”, Gruppo Assostampa Sicilia
  • T.U. Giornalisti (approvato dal consiglio Nazionale dell’Ordine il 27 Gennaio 2016)
  • Bennet P., Calman K., “Risk Communication and public health”, Oxford University Press
  • L. 150/2000 “Disciplina delle attività d’informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni” (pubbl. GURI n° 136 del 13/06/2000)
  • “Dichiarazione di Erice” (pubblicata nel 2010)