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Noterelle riabilitative del padre del libraio “Cane e contrabbasso”

Noterelle riabilitative del padre del libraio “Cane e contrabbasso”

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di Filippo Cavallaro

Saša Ilicć con Cane e contrabbasso, uscito per Keller editore, è la storia del musicista Filip Isakovicć, ex veterano di guerra e contrabbassista jazz, che viene ricoverato all’ospedale psichiatrico di Kovin, in Serbia, a due passi dal Danubio, per un percorso di riabilitazione legato alla problematica di essersi ammutolito nel suono.
L’Italia ha un ruolo da protagonista, sin dalle prime pagine del romanzo, per il dott. Marko Julius, psichiatra basagliano, e nell’ultima parte del romanzo, quando il protagonista si sposta a Genova.
Nel romanzo la vita dell’ospedale è fuori dal tempo, mentre in città le norme diventano sempre più costrittive per i cambiamenti nazionalistici e repressivi che venivano decise dai potenti, le regole dell’ospedale rimangono stabili, anzi arricchite dalle posizioni del dott. Julius, e della sua esperienza innovativa, o dagli approcci sperimentali e le cure riabilitative dell’ambiziosa dottoressa Larisa Sibinović.
Nella seconda metà degli anni settanta del secolo scorso, con gli amici del volontariato scout, frequentammo un ospedale psichiatrico e lì scoprii un mondo di reclusi. Una popolazione di isolati, condannati all’anonimato, per una vera o presunta patologia che li segregava per tutta la vita. Grazie alle intuizioni di Franco Basaglia, di altri psichiatri ed artisti, che intendevano rispettare la persona malata come tale e non focalizzarsi solo sulla malattia, di cui avevamo saputo che, in quel periodo a Trieste, aveva realizzato l’opera collettiva itinerante “Marco cavallo”. Proponemmo, nel 1976, al prof. Mario Scarcella un’attività di teatro sociale. Lui ci permise di realizzarla all’interno delle mura dell’ospedale psichiatrico. Frequentando quel luogo, man mano che passavano i giorni, accettati quegli odori, quegli ambienti, quegli orari. Diventati frequentatori di quel posto cominciammo ad andare in giro nell’immensità dell’ospedale, scoprendo che quei pazienti che frequentavano il nostro/loro teatro sociale erano quelli che vivevano una reclusione legata al confine del muro di cinta, nel senso che potevano uscire dalla stanza ove erano ricoverati. La stessa che vivono Julius e Isaković nel romanzo. Purtroppo, in quel luogo, altri ricoverati vivevano una costrizione maggiore, chi recluso del padiglione circondato dalle cancellate – gabbie, altri che non potevano uscire dal reparto, altri ancora potevano stare solo nella stanza, ed alcuni addirittura solo a letto, spesso di contenzione, dove stavano sempre legati, e venivano lavati con secchio e scopa.
Avevo letto su Famiglia Cristiana delle potenzialità di interventi volti al recupero della persona dopo una malattia e che esisteva una professione universitaria di Terapista della riabilitazione che avrebbe dato aiuto alle persone con vari tipi di difficoltà motoria o relazionale.
Il romanzo descrive le vicende che si susseguono senza perdere mai di vista la speranza, lo spiraglio di un futuro migliore, il lieto fine. E pare che questa speranza sia alimentata della cultura, dalla musica, dalla letteratura. Filip riprenderà in seguito a suonare, ma in modo diverso da prima, meno condizionato. Così sviluppa il percorso per la sua liberazione,
L’azione di portare il fuori dentro il manicomio ed il dentro fuori fu utile a rivelare la violenza di quell’istituzione psichiatrica, dimostrando la gratuità ed il carattere puramente difensivo delle misure repressive del manicomio verso i ricoverati, e portò a cominciare la costruzione di un approccio diverso, dove il malato potesse gradualmente ritrovare un ruolo attivo, che lo togliesse dalla passività in cui sia la malattia che la struttura manicomiale, lo avevano incarcerato.
Queste erano le ragioni che mi portarono a scegliere quel percorso di studi, mi avventurai nei concorsi per l’accesso, e trovai a Siena il corso Universitario che avrei frequentato per tre anni.
La Legge Basaglia, proclamata come legge il 13 maggio 1978 con il n.180, rappresentò un caposaldo nella storia della psichiatria, segnando una rivoluzione nel trattamento delle persone con disturbi mentali. Questa legge ha posto fine all’era dei manicomi in Italia, abolendo l’ospedalizzazione coatta e introducendo nuovi principi per la cura e l’inclusione sociale dei pazienti psichiatrici. Nello stesso anno venne istituito il Servizio Sanitario Nazionale fondato su: universalità, salute come diritto dell’individuo e della collettività; globalità, promozione, mantenimento e recupero della salute fisica e psichica; eguaglianza, dei cittadini. Per questo la 833/78 all’articolo 6 elencava gli indirizzi e le funzioni che avrebbero dovuto governare gli organi amministrativi ed economici.
Avevo visto in quell’esperienza di volontariato, ben delimitati i confini, ed avevo chiaro il nostro tentativo di vitalizzare le idee di Basaglia, portando fuori quello che c’era dentro il manicomio, e portandovi dentro ciò che c’era fuori quelle mura. Pensando a quei confini, da studente vidi che per legge sarebbe cambiata anche la struttura dell’ospedale. Sarebbe stata garantita l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini italiani, anche all’estero, e che in Italia l’assistenza sarebbe stata offerta anche agli stranieri ed agli apolidi. Vedevo che si sarebbe investito sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali. Leggevo che le nuove professioni, come quella a cui mi stavo preparando a Siena, sarebbero state protagoniste di questa riforma.
Si trattava di progetti ambiziosi.
Si trattava di aver declinato sulla salute i principi della Costituzione Italiana.
L’Università a Siena mi preparò a svolgere un ruolo attivo nel Gruppo di lavoro, nel Team, nella Equipe … comunque si chiamasse, era un insieme interprofessionale di esperti, ed il Prof. Virgilio Lazzeroni non smetteva mai di sollecitare i nostri interventi, di sentirci esporre le nostre idee. La sua posizione era da comportamentista con un pessimismo circa gli effetti della società sull’uomo, affermando l’esistenza di un conflitto permanente tra il “sistema uomo” ed il “sistema società”. Conflitti che continuamente, purtroppo colpiscono più i deboli, i fragili, i reclusi …
… infatti giorni fa ho letto che “il privilegio dello status di schiavo, in Florida, permise alle persone di origine africana di acquisire competenze che potevano essere applicate a loro vantaggio personale.”