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di Filippo Cavallaro
Dopo la noterella su Collodi ho cercato tra le autobiografie, che mi avevano colpito e di cui, a casa, ho il libro, spesso autografato.
Ricordavo bene. Nello scaffale ho trovato il testo scritto da Antonio Guidi dal titolo “Con gli occhi di un burattino”. Il volume venne presentato a Messina in un evento molto partecipato all’Hotel Royal. L’autore racconta la sua avventura per vivere una vita autonoma, malgrado tutte le difficoltà legate ad un corpo che come al famoso burattino è: “rigido, spastico, legnoso nei movimenti e impacciato in tutto.”
Guidi percorre tutta la sua vita di successo. Impensabile alla nascita quando esanime venne poggiato come un cadaverino su un lavandino di marmo.
La famiglia lo aiuta tanto: la nonna Francisca che gli racconta favole avventurose piene di animali esotici, uno più strano dell’altro;
la mamma Nilde che di lui dirà sempre a tutti: “E’ la cosa più bella che ho!”;
il padre Giancarlo, con cui Antonio, bambino, fa bella mostra di sé nella copertina del libro, ritratto sulle spalle a cavalluccio.
Un libro di ricordi. Uno è legato a nonna Francisca, lei che lo porta con sé al cenacolo artistico di Carlo Socrate, pittore dallo stile neoclassico amico di famiglia. Qui Antonio si trova ad essere un modello apprezzato dagli artisti che lo ritraggono in molte pose. La sensazione che descrive per questa esperienza è che si sente bello ad essere il soggetto, contemporaneo, di schizzi e disegni. Un altro ricordo è legato all’estate, al mare, è la libertà che sentiva in acqua contrapposta alla rigidità, che sentiva di non poter evitare con le gambe dure, legnose … e che stringevano il collo di suo papà. Si aggiunge una sensazione, su quella spiaggia, ed è forte, è quella di essere un gigante, di sentirsi altissimo.
Antonio l’ho visto cadere più volte, rialzandosi sempre con una misteriosa eleganza, ha un modo di muoversi estremamente veloce. Corre più che camminare ed è uno spostarsi con sbilanciamenti continui, con le braccia che continuamente recuperano il corpo nell’equilibrio.
Da ragazzo, con la fisioterapia, i tentativi per correggerlo furono faticosi, per cui, complice la fisioterapista Lidia, la mamma decise: “lasciamolo camminare un po’ storto, meglio che non soffra.”
La capacità di apprezzare la libertà, e di vivere al massimo il corpo è ben descritta nella biografia, così come la ricerca continua dell’autonomia.
…
Poter raccontare dei propri amori, dei propri figli, dell’essere nonno.
Poter descrivere le proprie difficoltà che non gli tolgono il sorriso.
Poter raccontare delle strategie strumentali a sottolineare la sua condizione ma al contempo la sua forza.
Questo è la potenza di Antonio una forza che sicuramente hanno apprezzato coloro che hanno avuto modo di ascoltarlo nei suoi interventi sindacali e politici anche in questi giorni a tutelare le persone con disabilità, i cui problemi non possono andare in lockdown causa corona virus.