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di Marinella Ruggeri
Charles Pèpin, filosofo francese, scrisse un libro intitolato: Il magico potere del fallimento. Perché la sconfitta ci rende liberi. Garzanti, 2017.
Viviamo nella società della visibilità e del successo in tutti i campi. L’autore, invece, andando controcorrente, dice che “non c’è storia di vera crescita che non sia stata costruita attraverso errori, sconfitte e delusioni”.
Pertanto il fallimento non ha una connotazione negativa, qualcosa da nascondere e di cui vergognarsi, anzi è il sistema pedagogico più efficace per imparare a vivere; senza le “battute di arresto”, non si scopre il potere della volontà, non si costruisce il carattere.
Sperimentare il fallimento significa scoprire che i propri desideri possono essere più forti delle avversità che diventano utili perché rendono ancora più desiderato ciò che desideriamo, quasi un sogno da realizzare, anche a costo di ripetute sconfitte. Questo processo che qualcuno chiama “sfiga” è la vera dinamica della vita, ci restituisce un senso, ci fa sentire umani. Certo accettare il fallimento è un atto di grande umiltà, perché si entra in contatto con i propri limiti e conoscerli ci consente di diventare perseveranti, impegnati, coraggiosi, determinati, insomma VERI UOMINI.
Non avere il coraggio di fallire significa vivere solo a metà, rinnegando la propria umanità. Bisogna allora “decidere” che significa andare oltre l’evidenza della razionalità, si decide, quando le soluzioni che si hanno non sono sufficienti ad indicarci cosa è meglio. Decidere è un atto di coraggio. Scegliere, invece è seguire la logica, si sceglie quando le informazioni che si hanno sono sufficienti ad indicare cosa è meglio. Pertanto, come ha espresso, uno prima di me, un tale Aristotele..la decisione è arte, la scelta è scienza…e l’Uomo è scienziato ma ha la possibilità di essere anche artista. E di artisti, figli del fallimento, ci sono numerosissimi esempi… David Bowie, Ray Charles, Tiziano Ferro..
….La conoscenza non ha valore in quanto tale, ma relativamente a ciò che potrà cambiare nella vita di una persona….
Per Pèpin l’uomo è l’unico animale che ha bisogno di fallire per crescere, un bambino deve cadere tante volte per imparare e, riuscire poi, a camminare.
Entrando, nello specifico, nel mondo delle neuroscienze, il fallimento è una esperienza emotiva dolorosa, sgradevole, frustante, sottocorticale, che, nella personalità matura, facilmente induce ad una reazione, una risposta corticale da parte di domini cognitivi superiori, come ad esempio l’intelligenza. Il modo diverso di reagire ai fallimenti dipende, dalle esperienze precoci ed infantili, sia a scuola che in famiglia. Se si dice ad un bambino che non è capace, che gli altri coetanei, sanno fare meglio, o, anche al contrario, che lui deve essere un vincente, altrimenti delude le aspettative di insegnanti e genitori. Si favorisce un “autosabotaggio” in cui si ottiene l’assunzione di un comportamento passivo, con ridotta stimolazione delle aree cerebrali competenti a favorire pianificazione, attenzione, esecuzione, intelletto, ne deriva una personalità più fragile. Questo bambino, diventando uomo-adulto difronte alle sconfitte, assumerà un atteggiamento di difesa e di paura e non potrà esprimere sé stesso, o viceversa, diventerà un uomo-adulto arrogante, prevaricatore, preoccupato solo di vincere, di coprire i fallimenti per non deludere le aspettative degli altri, rischiando di non sperimentare mai la sua umanità.
Queste semplici riflessioni, fatte, in un pomeriggio di messa in discussione con la mia umanità, per i vari fallimenti sperimentati, ieri, oggi, e probabilmente, anche domani, esprimono il desiderio di condividere e di migliorarsi.
Concludo con un messaggio scritto da un altro uomo-artista, che ringrazio, per la consolazione prima e, l’entusiasmo poi, che mi ha regalato….
…Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta, alla sua gestione, all’umanità che ne scaturisce, a costruire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della “gente che conta” che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare… a questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde.
È un esercizio che mi riesce bene. Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…
Pier Paolo Pasolini