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Addio al ‘vecchio’ medico di famiglia, che visita da solo nel suo studio, armato di sfigmomanometro, fonedoscopio e della sua esperienza di clinico: la medicina territoriale del futuro si farà in team multiprofessionali. E, portando i professionisti ‘al letto del paziente’, migliorerà la presa in carico degli assistiti.
È questa la visione della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici (Fnomceo), presentata in Audizione presso la Commissione Igiene e Sanità del Senato dal suo Presidente, Filippo Anelli.
Una visione condivisa, nella sostanza, anche dal Ministro della Salute: “Vorrei che la parola chiave, la parola madre, del piano di investimenti sul Recovery Fund, fosse la parola `prossimità´, cioè ricominciare a pensare un Servizio Sanitario Nazionale prossimo, vicino, nell’immediatezza delle esigenze del cittadino” aveva anticipato Roberto Speranza il mese scorso, riferendo alle Camere sull’individuazione delle priorità nell’utilizzo del Recovery Fund.
Detto, fatto: partono al Senato, presso la Commissione Igiene e Sanità, le audizioni sull’”Affare assegnato sul potenziamento e riqualificazione della medicina territoriale nell’epoca post Covid (n. 569)”, relatore il Presidente della XII, Annamaria Parente. E, tra i primi attori ad essere ascoltati, c’è la Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici.
Che, da parte sua, non si è fatta trovare impreparata all’appuntamento: già il 15 luglio scorso, il Comitato Centrale aveva approvato il documento partorito dal gruppo di lavoro ‘Medicina territoriale’ del suo ‘Cantiere delle Riforme’: un piano articolato e complesso, che prende in esame criticità attuali e propone soluzioni possibili sui diversi versanti. Dalla medicina di famiglia alla continuità assistenziale, dalle Usca agli ospedali di comunità, dalla medicina scolastica alla formazione e al ricambio generazionale, la Medicina territoriale viene presa in esame in tutte le sue declinazioni.
Ed è proprio questo il testo che che è stato portato in audizione dal Presidente della Fnomceo, Filippo Anelli.
“Appare necessario pensare ad una sanità territoriale “nuova”, ispirata ad una vision in grado di rispondere alla domanda di salute presente e futura del Paese, che possa essere realmente integrata da un punto di vista organizzativo sia al suo interno sia con le strutture ed equipe ospedaliere e che possa essere in grado di valorizzare le specificità di tutti i suoi attori, pur nelle diverse peculiarità, al fine di rispondere al crescente bisogno di salute della popolazione nel nostro Paese” afferma la Fnomceo.
Che inizia la sua analisi dall’organizzazione attuale: diversa nelle varie Regioni ma accomunata da una logica ‘a silos’, che rende difficile il lavoro in team, l’interazione tra i professionisti, la sinergia delle competenze, e che è sostanzialmente passata indenne attraverso le varie riforme.
Come cambiare, allora?
“Ferma restando la necessità di un riferimento definito a livello della catena delle responsabilità aziendali, riferimento da definire a seconda dei modelli regionali, ma più prossimo a un dipartimento di cure primarie – che coinvolge nei livelli direzionali i medici convenzionati – che a un distretto – propone la Fnomceo. -L’organizzazione dovrà essere rafforzata rispetto alle modalità di lavoro più vicine alla realtà della popolazione, privilegiando un’integrazione tra le diverse figure professionali, più prossime per poter stabilire un reale rapporto fiduciario e che sia un riferimento diretto per i cittadini, definita nella sua unità di base che è quella del microteam”.
“All’interno di tale modalità di lavoro diventa essenziale tener conto delle spinte motivazionali dei professionisti – esplicita ancora la Federazione – Il medico di famiglia ha come proprio obiettivo lavorativo il rapporto continuativo con il cittadino, con il quale stabilisce un rapporto di fiducia, con un approccio mirato non alla semplice intercettazione dei problemi, ma al “problem solving”. Il medico di medicina generale si rapporta con le altre figure professionali integrandosi con le loro specifiche competenze e autonomie. L’infermiere e l’assistente sanitario svolgono la funzione di “case manager” mentre al medico di medicina generale è attribuita la funzione di “clinical manager”. Tale funzione può essere svolta con efficacia con un approccio che veda la presenza dell’infermiere e dell’assistente sanitario come componenti di un microteam insieme al medico. In tal senso il rapporto di convenzione comune per tutti i professionisti del team appare il più rispondente a questo modello di presa in carico basato sulla condivisione di azioni, obiettivi, risultati anche economici rafforzato dal rapporto di fiducia con i propri pazienti”.
“Lo specialista ambulatoriale interno deve integrarsi nel microteam, laddove possibile, in alcuni casi con presenze decentrate ambulatoriali e domiciliari, ordinariamente nei presidi territoriali, ma anche utilizzando gli strumenti di telemedicina, collaborando al telemonitoraggio e mettendo in campo una disponibilità non solo prestazionale, ma di presa in carico attraverso il rapporto continuativo “a tre” con il paziente e il suo medico di medicina generale” auspica ancora la Fnomceo.
Che, per i pazienti cronici, propone un modello organizzativo articolato in quattro aree di presa in carico, secondo la loro stratificazione statistico-epidemiologica:
a) un’area per la gestione di uno strato della popolazione “sana o apparentemente sana” con un’attività di prevenzione, educazione e promozione della salute, a carico principalmente del Micro-team della medicina generale o pediatria di libera scelta, con la gestione delle cosiddette “acuzie semplici” attraverso una attività consulenziale da parte dello Specialista Ambulatoriale Interno, presso lo studio MMG, ambulatori o il domicilio,
b) un’area di presa in carico delle cronicità “semplici” sulla base di Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) di tipo specialistico territoriale attuabile sempre presso lo studio MMG/PLS, ambulatori o il domicilio,
c) un’area della gestione della cronicità “complessa” di tipo prettamente specialistico territoriale per la gestione di pazienti complessi (cardiopatici, pneumopatici, neurologici, diabetici, ecc.) sul territorio che non richiedano ricovero e siano gestibili nell’ambito dei percorsi strutturati di Cure Domiciliari, in RSA, ambulatori, presso Centri/Nuclei di Cure Intermedie e infine
d) un’area avanzata per casi gravi, terminali di cure palliative presso il domicilio (ADI/UOCP) Hospice, RSA o Nuclei dedicati (SLA, Alzheimer, ecc.)
Lo strumento elettivo per la realizzazione della presa in carico secondo tale modello è costituito dal Piano Assistenziale Individuale (PAI) elaborato dal Medico di Medicina Generale o dal Pediatra di Libera Scelta, con l’apporto delle necessarie consulenze specialistiche, monitorato individualmente e rimodulato secondo le necessità e le modalità evolutive del paziente, con il supporto degli adeguati mezzi tecnologico-digitali (electronic health records e telemedicina) particolarmente per le aree disagiate del Paese.
Altri target di intervento, la medicina scolastica, che, “organizzata e gestita dai Medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta, può essere presidio importante di prevenzione ed educazione sanitaria”. E poi, la continuità assistenziale, che andrebbe estesa anche alle ore diurne; l’esperienza maturata dalle Usca; gli Ospedali di Comunità, gli Hospice, le Rsa; le equipe specialistiche multiprofessionali; la telemedicina.
Infine, ma alla radice del tutto, la formazione e il necessario ricambio generazionale.
“La scarsa disponibilità di MMG, dotati dei requisiti professionali necessari allo svolgimento dell’attività e l’importante ricambio generazionale in atto devono far prevedere un adeguamento degli accessi e delle relative borse di studio al corso di formazione specifica in medicina generale, tuttora insufficienti, da decidere in accordo con la FNOMCeO sulla base di un’accurata programmazione di demografia professionale – afferma ancora il documento -. Andranno equiparati i contenuti economici delle borse di studio a quelli previste per le specialità universitarie, anche attraverso meccanismi retributivi legati all’inserimento in convenzione dei medici del corso di formazione specifica in medicina generale, compatibilmente con le esigenze dell’attività didattica e a integrazione della stessa”.
Sì, perché, secondo la Fnomceo, la riorganizzazione del territorio passa anche e soprattutto dal riconoscimento della Medicina Generale quale disciplina specialistica a tutti gli effetti.