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di Luisa Barbaro
La gravidanza comporta cambiamenti del sistema immunitario che possono aumentare il rischio di contrarre infezioni respiratorie virali, tra cui quella da Covid19, anche se, secondo un Report dell’I.S.S., le donne in gravidanza non sembrano essere a maggior rischio rispetto alle non gravide. Le precauzioni che deve adottare una donna in gravidanza durante i controlli in ospedale o in studio privato sono:
Utilizzo della mascherina che è “usa e getta” e deve essere usata correttamente.
Lavaggio frequente delle mani per circa 60 sec. o con gel idroalcolico frizionato per circa 30 sec (ciò secondo uno studio su 400.000 bambini negli Stati uniti, ha ridotto infezioni virali del 70%)
Distanziamento fra persone superiore a 1/1,8 metri per evitare trasmissione per Droplet ed evitare contatti diretti e indiretti con persone infette. Inoltre:
Arieggiare frequentemente i locali in cui si soggiorna,
Pulire le superfici e disinfettarli con candeggina
Evitare di toccarsi naso, occhi, bocca.
Le donne in gravidanza che non hanno sintomi, faranno regolarmente controlli ed esami: l’assistenza al percorso nascita nei Consultori e nei punti nascita procede normalmente ed è sempre garantito a tutte le donne nel massimo rispetto delle norme di sicurezza.
Importante è la prevenzione del contagio con raccomandazioni di prudenza, fuori dai contesti assistenziali; d’altronde le visite ed i controlli in gravidanza sono tempo-dipendenti e non possono esser rimandati a dopo la pandemia. In caso di infezione da SARS_COV-2 durante la gravidanza, vanno programmati controlli con monitoraggio della crescita fetale ogni 4-6 settimane. L’osservazione dei casi di donne che hanno partorito in Cina, mostra che il decorso dell’infezione in donne in gravidanza non appare più grave di quello di donne di pari età non in gravidanza. Al momento non sembra che il virus si trasmetta al feto (trasmissione verticale del virus): secondo i dati scientifici più recenti, nessuno dei bambini nati da madri con covid-19, è risultato positivo. Inoltre il virus non è stato rilevato nel liquido amniotico, né nel sangue del cordone ombelicale. I sintomi sono spesso lievi e moderati e le donne affette da covid-19 al momento del parto non devono necessariamente fare il taglio Cesareo. Una possibile spiegazione dell’assenza di trasmissione verticale del virus, sarebbe la scarsa presenza di recettori ACE2 a livello dell’interfaccia materno fetale osservata in uno studio che ha analizzato decidue e placente. I sintomi a cui bisogna prestare attenzione durante la gravidanza hanno a che fare con le vie aeree, quindi, gola irritata, comparsa di tosse irritativa, mancanza del gusto e dell’olfatto, febbre superiore a 37,5 e difficoltà respiratoria.
Se una coppia avesse deciso di programmare una gravidanza è evidente che sorgono dei dubbi ma la Comunità Scientifica è concorde nel dire che la gravidanza non amplifica gli effetti di un’infezione da Corona virus, così come il Corona virus non va ad interessare il feto. Quindi, non è assolutamente necessario posticipare il concepimento se si è decisi di ampliare la propria famiglia.
In linea generale, posso consigliare alle future mamme di vivere serenamente la gravidanza se non hanno fattori di rischio e se adottano gesti responsabili. Se siamo invece in presenza di comorbilità, come condizioni di rischio, quali l’obesità, l’ipertensione, il diabete o alcune malattie importanti del sistema immunitario o endocrino, sarebbe meglio, oggi, posticipare il concepimento.
Queste condizioni patologiche fanno sì che il virus possa essere aggressivo e determinare lo stato di malattia come i picchi iperglicemici, visto che le “Spine-Spike” del virus si attaccano ai recettori del polmone quando sono legati a molecole di zucchero, secondo studi dell’Università di Haward di Biologia Molecolare. Un aspetto meno patologico ma di sicuro effetto di gioia per i futuri genitori è la presenza al parto del padre. Le ricerche mostrano che le donne attribuiscono un valore elevato alla presenza e al sostegno del partner durante il travaglio, poiché le porta a una riduzione dell’ansia, a un minore dolore percepito, a una maggiore soddisfazione per l’esperienza della nascita.
Quando iniziano le contrazioni o alla rottura delle acque, prima di recarsi al punto nascita, è consigliabile telefonare in sala parto e parlare con un’ostetrica in modo da evitare di andare troppo precocemente in ospedale. Inoltre, se è possibile, è consigliabile raggiungere il nosocomio con i propri mezzi, senza chiamare un’ambulanza. L’assistenza durante il parto e il ricovero, seguiranno le normali procedure, se non si è ammalate. Se si è contratto il virus e i sintomi sono lievi, si applicheranno le misure di isolamento, ma si potrà partorire per via vaginale ed allattare il proprio bambino seguendo le indicazioni dei professionisti, per ridurre il rischio di diffusione del contagio.
Se la gravida e il padre del bambino non presentano alcun sintomo e lo stesso le ostetriche individuate per l’assistenza, non ci sono controindicazioni al parto in ambiente extraospedaliero. L’unico modo possibile di far assistere il padre alla nascita. Deve essere garantita la disponibilità di gel idroalcolico e distanza oltre 1 metro tra i presenti; vanno assicurati il lavaggio delle mani, l’areazione dei locali, la pulizia delle superfici e va eseguito il triage di base per febbre >37,5°C, tosse, difficoltà respiratoria sia sulla donna che su chi l’accompagna al momento del parto.
La speranza che arrivi presto un vaccino per un rapido utilizzo, è l’augurio di ognuno, ma va considerato che deve essere necessariamente preceduto da studi rigorosi, per valutarne efficacia e sicurezza. I trial clinici richiedono lunghe fasi con un processo per cui normalmente si impiegano anni e numerosi investimenti economici. Attualmente vaccini che possano vantare un considerevole vantaggio verso gli altri sono: il vaccino Russo, il vaccino Pfizer, il vaccino Astra-Zeneca e altri in fase III, (circa 40) ma tutti sotto revisione sistematica e metanalisi. Attualmente non esiste nessuna terapia che si sia dimostrata sicuramente efficace nella cura dell’infezione da SARS-CoV-2. Dato che si tratta di un’infezione virale e che la fase avanzata di COVID-19 è legata anche alla risposta infiammatoria dell’organismo, si ricorre quindi a diverse classi di farmaci, quelle attualmente utilizzate sono:
Antiretrovirali- immunosoppressori
Anticorpo monoclonale,
Una molecola che agisce per spegnere l’eccessiva risposta immunitaria causata dalle forme gravi di COVID-19
Plasma iperimmune
Terapie di supporto (Ossigenoterapia – ventilazione meccanica)
Bisogna ancora raccogliere dati in rapporto ad un programma di gravidanza o ad una gravidanza in corso. Infine per quanto riguarda le morti perinatali, sono stati presi in considerazione i nati nel Lazio ad Aprile, Maggio e Giugno, quindi parliamo di controlli degli ultimi mesi o settimane. In realtà la metodologia dello studio è molto debole – Studio retrospettivo, osservazionale, senza approfondimenti sulle condizioni cliniche dei casi e dei controlli storici; né sulle cause di morte.
Probabilmente la causa dei bambini nati morti, è che le donne hanno saltato le visite durante la gravidanza, per paura di contrarre l’infezione in ospedale e non hanno effettuato adeguati controlli.
L’indagine ha preso in considerazione tutti i centri nascita del Lazio dove nasce il 10% dei nati italiani. Si è anche verificata una diminuzione dei parti pretermine dovuta al riposo forzato, alla sospensione del lavoro fuori casa e alla ridotta attività fisica. In Sicilia gli ultimi dati ufficiali sulla mortalità perinatale, sono del gennaio 2020. Sono i risultati di un progetto pilota dell’ISS, “SPItOSS”, durato tre anni, che ha analizzato tre Regioni: Sicilia, Lombardia e Toscana. Tra queste, peggio, la Sicilia con 4 morti ogni 1000 nati vivi (con il 35% di tagli Cesarei, oltre il valore medio nazionale), spesso in ospedali non attrezzati, in presidi di primo livello con rete di trasporto neonatale a volte inadeguata, a rischio immigrati, gravidanze multiple e parti prematuri. Obiettivo dello studio è quello di raccogliere i dati, identificare cause e fattori di rischio per migliorare la qualità dell’assistenza e contribuire a ridurre le morti perinatali evitabili.