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di Diego Celi
“Vedere con il cuore”, consigliava il Piccolo Principe. Occorre tempo per restare soli, in silenzio, e dimorare nelle domande. Se non facciamo mai questo lavoro, rischiamo di vivere alla superficie, senza essere consapevoli, senza riuscire a leggere la nostra vita e a misurarla nelle sue attese e nei suoi fallimenti. I latini dicevano che ogni essere umano maturo deve giungere ad abitare secum, ad abitare con sé, ad ascoltarsi. Più recentemente Schopenhauer scriveva che “l’uomo è un animale metafisico”, abilitato a farsi delle domande che vanno oltre il visibile. Quanto di seguito riportato vuole, in piccola parte, mitigare la colpevole rimozione di una entità storica-culturale-religiosa che ha contribuito a creare “la natura” della Sicilia: il monachesimo italo-greco.
Dall’VIII al V secolo a.C. la Sicilia fu terra greca, successivamente divenne romana sino al VI secolo d.C. Il lunghissimo periodo di pax romana fece dell’isola un’area privilegiata del Mediterraneo, ma dopo lo spostamento del centro dell’Impero da Roma a Costantinopoli nel V secolo, la Sicilia, investita prima dalle incursioni vandale (440), poi dal breve dominio gotico (491-551) entra con la veloce campagna di Belisario (553-551) a far parte dell’Impero d’Oriente. I centri della vita politica, economica e religiosa dell’isola bizantina continuavano ad essere costituiti dalle città portuali di Siracusa, Palermo, Messina, Agrigento, Milazzo, Termini, Cefalù e dalle acropoli di origine protostorica o greca soprattutto delle zone interne quali Enna, Lentini, Agira, ma anche costiere (Taormina), anche se la maggior parte della popolazione continuava a vivere sparsa nei numerosi borghi, villaggi rurali e casolari disseminati per la campagna, cioè in tutte quelle strutture alla base di una economia di tipo estensivo basate sulla cerealicoltura. La Sicilia tardo romana, barbarica e inizialmente anche quella bizantina, è quindi caratterizzata da una moltitudine di abitati aperti e sparpagliati nei vasti territori rurali. Nel VII secolo la travolgente avanzata islamica in Egitto e nel Maghrib fece dell’isola un obiettivo musulmano, ma fu solo nel terzo decennio del IX secolo che gli arabi intrapresero la conquista della Sicilia, per la quale occorsero circa cento anni. Nel 827 avveniva lo sbarco nei pressi di Mazara, seguito dalla caduta di Enna (859) e quindi la presa di Siracusa (878), il principale porto verso l’Oriente bizantino; ultima roccaforte rimarrà il triangolo S. Marco-Taormina-Rometta (965), cioè quell’area Nebroidea-Peloritana-Etnea (Valdemone), zona caratterizzata da una geografia aspra e montuosa scarsamente permeabile all’elemento musulmano, che conservò la propria fisionomia di terra profondamente grecizzata. Non appare impropria la similitudine con i monti Cantabrici dove si arrestò l’invasione araba in Spagna.
Durante il predominio arabo si mantennero le istituzioni locali e, nonostante numerose trasformazioni di chiese in moschee, i cristiani pagando un tributo richiesto (geiza) potevano mantenere la propria religione con delle proibizioni: fare proseliti, mostrare in pubblico i segni del culto, leggere i libri sacri a voce alta, in modo da non essere intesi dai musulmani, edificare chiese e monasteri, accompagnare i loro morti alla sepoltura con pompe funebri e piagnistei.
La conquista dell’isola da parte dei Normanni cominciò nel 1061. Questa avvenne con sbarchi contemporanei sulla costa ionica e su quella tirrenica nei pressi dello Stretto di Messina, avanzando in direzione di Milazzo. Ruggero in soli quattro anni conquistò la Valdemone, mentre il resto dell’occupazione si concluse nel 1091. La facile penetrazione nell’area nord-orientale è spiegabile con fatto che qui gli abitanti erano rimasti per lo più greci e latini e videro nei Normanni (cattolici) i liberatori (da: Fazio S. e Guazzotti S. “Alla ricerca di leggende e luoghi sacri nella Sicilia orientale. Tra Saraceni e cavalieri normanni: i Monaci Basiliani”). A tal proposito ci pare opportuno riportare un passo molto suggestivo a cura di G.Rossi-Taibbi (1954) tratto da “La conquesta di Sichilia fatta per li normandi translata per frati Simuni da Lentini”: <(i Normanni) Et partendosi di Rametta vinniru a la Scala di Tripi et di Tripi vinniru a li Frassini et poi vinniru ad una pratu inpressu Maniachi. Et chili di Maniachi eranu cristiani, subta la signoria di li Sarachini paganduli tributa; et audendu la venuta di li Cristiani, zo è di Normandi, ki erunu cristiani, foru multu allegri et ascuntraruli cum multi presenti et doni>. Per quanto sia molto difficile (se non impossibile) datare il periodo della evangelizzazione cristiana della Sicilia, è certo che il monachesimo Italo-greco è stato determinante, e anche durante la dominazione araba non si spense mai. Nel 1061 quando il Conte Ruggero varcò lo Stretto apparve come il “cristianorum adiutor”, cioè l’aiuto di quella minoranza greca che per due secoli aveva subito il giogo saraceno. Il normanno riorganizzò il clero sia greco che latino secondo una struttura gerarchica a capo della quale pose sé stesso, avvalendosi dell’appoggio del Papa. Il ripristino del monachesimo greco-siculo, rientra nei calcoli della politica normanna: infatti i cenobi basiliani raggiungono alla fine del periodo normanno un numero considerevole (Scaduto M. “Il monachesimo basiliano nella Sicilia medievale. Rinascita e decadenza, Roma 1947). Basti riportare, per comprendere ciò, l’atteggiamento che quando il Conte Ruggero morì, la moglie Adelaide (durante la reggenza e prima che Ruggero II fosse incoronato Re di Sicilia nel 1130), ebbe verso i monasteri greci non solo di tolleranza, ma di aperta protezione come fanno fede i numerosi privilegi rilasciati in favore dei cenobi basiliani del Valdemone. Adelaide addirittura andò ad invocare presso il monastero di San Filippo di Frazzanò la guarigione del figlio Ruggero. Il monachesimo italo-greco, nasce in Sicilia già nel IV secolo e si sviluppa nei due secoli successivi, quando invasioni barbariche spinsero almeno inizialmente i profughi verso un luogo più sicuro. Quando nel VI secolo Gregorio Magno salì al trono pontificio fondò in Sicilia sei monasteri che accolsero una moltitudine di monaci cattolici. L’isola, però, non poteva sottrarsi alla influenza della Chiesa d’Oriente, anche per la presenza di una numerosa popolazione ellenica indigena, e di conseguenza il bizantinismo piantò profonde radici soppiantando gli elementi latini e producendo una cultura puramente greca che fiorì fino alla fine del IX secolo quando si imposero i saraceni. È bene sottolineare, tuttavia, che la rinascita e lo sviluppo del monachesimo italo-greco, durante il regno normanno, fu frutto della linea governativa tesa ad eliminare l’influenza di Costantinopoli sui greci in Sicilia, non un atto d’amore. Ma dopo la morte di Ruggero II incomincia un lento e inesorabile declino per il monachesimo italo-greco: mancanza di ricambio di uomini, riduzione delle donazioni, perdita di protezione, forte contrazione di vocazioni. I greci si ridussero ad una minoranza ed in più avevano perduto l’importanza dei primi tempi della conquista, quando i normanni sentivano il bisogno di appoggiarvisi, per fronteggiare gli arabi. Né bisogna dimenticare che i Normanni erano latini. La antichissima storia dei monaci greci si arresta bruscamente nel 1866, dopo secoli di alterne vicissitudini, culminate con le violenze subite a seguito dell’impresa garibaldina e le successive soppressioni degli Ordini monastici decretate dal governo unitario d’Italia (1866-1873). Come nel VI secolo, anche adesso, ci sono migrazioni; ma a differenza di allora i monaci di oggi non hanno la forza e l’influenza di quelli di un tempo. Bistrattati e a volte derisi, offrono una testimonianza che ai più appare assurda è incomprensibile. Eppure, furono questi monaci che riuscirono a salvare l’Europa con la sola forza della fede. Con l’efficacia di una formula “ora et labora” antitesi dell’uno vale uno. Lo fecero nel momento peggiore, negli anni di violenza è anarchia che seguirono la caduta dell’Impero Romano, quando le travolgenti invasioni erano una cosa seria, non una migrazione di diseredati. Ondate violente, spietate, pagane. I monaci li cristianizzarono e li resero europei. Con il loro esempio salvarono una cultura millenaria, rimisero in ordine un territorio devastato e in preda all’abbandono e costruirono, grazie ai monasteri, tralicci luminosi di cultura e civiltà. Il meridione d’Italia e la Sicilia furono la loro patria, in queste terre coabitarono le tre grandi religioni monoteiste (cristiana, ebraica, islamica) innestate sulla cultura greco-latina. L’integrazione e l’interazione di queste culture hanno sorretto e costituito l’impalcatura dell’umanesimo. La peculiarità dell’identità europea, e di quella italiana, nasce proprio da questa integrazione. Questo patrimonio storico, culturale e religioso è stato dilapidato, colpevolmente rimosso. È una ferita, una delle cause per le quali l’Isola è senza sogni.