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di Maurizio Cinquegrani
Guardo e vedo nel mio silenzioso scrivere, al di là di barriere metalliche, dopo sabbie disordinate e resti di plastica umana coperti, fra rotti muri di giovani massi fratti, incapaci a trattener le onde, un amalgama primordiale “l’E410”, l’addensante, l’estratto del carrubbo, la pianta millenaria, con le braccia rubee nelle fratture segno di una convivenza difficile; Noto, Modica, Scicli, il Caschetto. Millenni di storia strappata dall’uomo per far luogo alle serre, diceva Piero Guccione “Andando, per esempio, verso il mare si attraversava questa campagna sanguinolenta, … cioè, questi carrubi che hanno all’interno…, hanno come la carne umana, il sangue, braccia spezzate..”.
Poco oltre, fra le correnti dello Stretto che argentee si alternano repentine come lunghe spatole danzanti, proprio sul fil della corrente montante va una piccola barca, il piccolo vascello di noi uomini portati a correr soli anche verso le colonne d’Ercole.
Poco oltre, ma lontana, la ghiaia di quadretti dell’uomo che ha inciso con case le spiagge, poi un monte e alto, più in alto un cielo infinito di un giorno che volge al tramonto, di qualcosa che va, per una speranza del domani che torna, che torni nuovo giorno di pace, dopo la pace vestita del sonno.
Buon domani a tutti.