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di Filippo Cavallaro
Autobiografico ed umoristico è il romanzo scritto nel 2006 da Daniel Frederick Wallace nel 2006, dal titolo Yes man, che poi (2008) ha ispirato l’omonimo film interpretato da Jim Carrey.
L’autore si dedica da quando aveva 18 anni alla scrittura di opere umoristiche.
Nel romanzo racconta un anno della propria vita, durante il quale decise di dire “sì” a tutte le proposte che gli sarebbero state fatte.
Se potrebbe essere un fastidio accettare tutte le offerte ricevute per posta o via internet, scopre che dicendo “si” durante le riunioni di lavoro favorisce la propria carriera.
Chissà quanti ne conosciamo di persone così visto che una indagine della rivista Riza Psicosomatica anni fa contava il 60% dei cittadini italiani incapaci di dire no. C’è chi lo dice per non fare inutili discussioni, chi per pigrizia, altri per vergogna, una parte dice sì perché è letteralmente terrorizzato dal giudizio altrui, mentre una piccola parte lo dice per non apparire scortese o maleducato. Questa tendenza rischia di generare un “addomesticamento dell’anima” che di contrasto porta l’autostima a svilirsi per viltà o falsità.
Tanto che viltà, servilismo e falsità vengono eretti a stile di vita.
Questo atteggiamento non può essere impersonato da chi si interessa di riabilitazione, questi professionisti infatti affiancano nel recupero funzionale le persone affette da varie patologie, combattendo insieme la malattia e gli eventuali rischi di esito che essa può condizionare. Ammalato e terapista si trovano dallo stesso lato della barricata per affrontare la malattia e la sua deriva patologica. Oggi, molto di più che nei decenni passati, farmaci e procedure, tecniche chirurgiche e linee guida, vaccini e stili di vita, diversità delle competenze e multiprofessionalità, possono essere spesi per contrastare in modo virtuoso molte malattie.
Ancora di più da quando si lavora in modo aziendale senza cadere nell’assistenzialismo.
Proprio in “azienda” si sa che lo yes man non porta benefici, non porta nessun valore, questo lo rende capace solo di stare a fare lavori che sono governati da altri.
Ricordo bene la prima lezione per la presentazione del corso all’Università di Siena, nell’intraprendere la mia carriera da fisioterapista, era l’ottobre del 1977, la tennero il prof. Virgilio Lazzeroni e la prof.ssa Adriana Celesti, dettarono dei principi fermi, rigorosi.
Sarete professionisti, imparate ad esprimere il vostro punto di vista, nel lavoro in equipe si è tutti uguali … ogni testa un voto.
Era il mio imprinting, e, tra quello che imparai al corso, dalla prima informatizzazione dell’ospedale, alla sperimentazione della futura riforma sanitaria, e ciò che imparai nelle attività studentesche, per gestire case dello studente e mense universitarie, dalle graduatorie per il diritto allo studio, alle proposte di rimodulazione delle attività di didattica, ho imparato a ragionare con la mia testa, a fare tesoro delle esperienze, a non vergognarmi nell’esporre il mio punto di vista.
Il professionista che lavora in sanità deve essere pronto e capace, deve ragionare in autonomia, deve trovare le giuste soluzioni ai problemi complessi del paziente.
Con l’ingresso anche negli ospedali di tanti nuovi professionisti , dal 1994, si è data una opportunità di confrontarsi e migliorarsi a tutti i professionisti. Sicuramente per la fisioterapia si è aperta un’era, da essere chiamati a seguire i soggetti cronici, con patologie ormai strutturate che comportavano una sequela di esiti, anche alle strutture corporee non danneggiate dalla malattia, ma costrette ad una deriva patologica, si è passati a lavorare al letto del paziente anche in terapia intensiva nelle fasi acute, a guidare nel recupero i trapiantati, ad assistere negli hospice i pazienti oncologici, a monitorare gli effetti delle nuove terapie ASO con gli oligonucleotidi antisenso che altro non sono che frammenti di DNA o RNA che permettono di differenziare la trascrizione del patrimonio genetico del soggetto creando una opportunità di cura della sua malattia rara.
Nell’anno in cui Danny disse sempre si, partecipò anche ad un gruppo che sosteneva che le piramidi d’Egitto fossero opera di una popolazione aliena, e ad un altro di persone ‘borderline’ fanatiche di complotti. Ogni capitolo introduce il successivo con un colpo di scena costringendo a leggere fino alla fine.
Alla fine gli yes man possono essere anche imbroglioni oltre che “leccapiedi”, così come vengono definiti con uno specifico vocabolo della lingua italiana.