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In Italia oltre 3 milioni di microcitemici, nel Lazio sono il 3,5%. Amato: dopo 8 anni riapre centro specializzato a Roma

In Italia oltre 3 milioni di microcitemici, nel Lazio sono il 3,5%. Amato: dopo 8 anni riapre centro specializzato a Roma

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“La talassemia, nota anche come ‘anemia mediterranea, è la malattia genetica più diffusa al mondo. È una condizione gravissima che si manifesta quando entrambi i genitori sono portatori di microcitemia, secondo le leggi di Mendel, quindi nel 25% per ogni concepimento. In assenza di prevenzione, erano gli Anni 50-60, in Italia nascevano oltre un migliaio di talassemici ogni anno. Oggi, invece, si contano 50-60 malati ogni anno, concentrati nelle regioni e nelle città a più alta incidenza di questa alterazione genetica”. Lo spiega il direttore sanitario di Alma Vita Scs Centro Microcitemie Roma, Antonio Amato, in occasione della Giornata mondiale dedicata a questa patologia, istituita dall’Oms e che si celebra ogni anno l’8 maggio.
“Nel nostro Paese- prosegue- parliamo di microcitemia nel 5% della popolazione italiana autoctona, quindi oltre tre milioni di italiani. La distribuzione non è, però, uniforme: la microcitemia raggiunge il suo picco in Sardegna e nel Delta Padano, ovvero Ferrara e Rovigo. Poi troviamo la Sicilia e tutte le regioni meridionali che, mediamente, sono intorno all’8%: la Sardegna al 13-14%, il Ferrarese all’11-12%, poi la Sicilia all’8-9% e più o meno le stesse percentuali per Calabria, Puglia e Basilicata. La Campania ha il 6-7%, il Lazio ha il 3,5% della popolazione. Quindi, solo per la città di Roma parliamo di circa 100mila microcitemici”.
“La microcitemia- precisa Amato- è la condizione di portatore sano della talassemia. È una condizione anemica, a volte anche modesta, che si manifesta con una riduzione del volume dei globuli rossi, presente più o meno costantemente per tutta la vita. Ha caratteristiche analitiche particolari, legate alla natura genetica di questa alterazione: la trasmissione da genitore a figlio, come ereditarietà diretta”.
Oggi i pazienti possono contare nuovamente su una struttura a loro dedicata. Dopo otto anni ha infatti riaperto le proprie porte il Centro delle Microcitemie della Capitale. “Il Centro- informa Amato- è una istituzione molto antica: i primi casi descritti come condizioni microcitemiche vengono presentati dal professor Silvestroni e dalla professoressa Bianco il 26 novembre del 1943. Successivamente, questa alterazione dei globuli rossi viene riconosciuta come responsabile della anemia mediterranea, ovvero la ‘Talassemia major’. Nel 1947 i due ematologi dimostrano che i malati di Talassemia nascono quando entrambi i genitori sono portatori di microcitemia”.
Nel 1954 Bianco e Silvestroni fondano a Roma il primo Centro delle microcitemie al mondo e nel 1975 viene realizzato un Piano di prevenzione che prevede lo screening degli studenti della terza media: tra il 1975 e il 2015, nel Lazio vengono studiati circa 1 milione e mezzo di ragazzi, con 600 sedi scolastiche e oltre 35mila prelievi effettuati ogni anno.
Il Centro per le microcitemie di Roma, intanto, diventa il punto di riferimento per la prevenzione della talassemia in tutta la regione: dalle coppie ai giovani fino ai soggetti anemici e agli stessi malati.
Nel 2015 il Centro viene chiuso poichè privo dei necessari sostegni economici ma, dopo pochi mesi, un gruppo di ex dipendenti fonda la cooperativa sociale Alma Vita Scs. Siamo nel 2023: il Centro riapre con i suoi ambulatori e con i suoi laboratori e oggi vi operano ematologi, biologi del vecchio Centro e personale idoneo e competente a gestire la diagnostica e la prevenzione.
La cura principale della talassemia, che inizia nei primissimi mesi di vita, è la terapia trasfusionale. “I bambini- afferma il dottor Amato- manifestano già subito dopo la nascita una anemia ingravescente che arriva a gravità tale da essere incompatibile con la vita se non si procede alla somministrazione di globuli rossi: ecco che i bambini vengono trasfusi già dopo i primi mesi di vita e le trasfusioni durano per sempre, in età adulta parliamo di 25-30 trasfusioni l’anno”.
Non sono poche, però, le complicazioni che possono presentarsi. “La terapia trasfusionale- tiene a sottolineare- comporta un sovraccarico di ferro ed è necessario attuare terapie ferrochelanti. Ci sono anche danni d’organo, soprattutto a livello endocrinologico, ci può essere danno tiroideo, dobbiamo fare attenzione ai danni epatici e anche alle complicanze di natura cardiaca”.
Oggi i pazienti talassemici hanno importanti armi a loro disposizione. “Già da circa 20 anni- rende noto Amato- è possibile praticare trapianti di midollo, individuando però dei donatori altamente compatibili con il soggetto talassemico: in questo caso si predilige l’ambito familiare ma non è sempre facile. Da dieci anni, invece, si può fare affidamento sulla terapia genica, con cui si tenta di correggere il difetto genetico nel precursore del globulo rosso. Su questo aspetto si è fatto tanto e bisogna ancora lavorare molto: siamo in una fase tra l’applicativo e lo sperimentale, tra il progresso e la precauzione”.
La prevenzione rimane sicuramente la misura migliore per combattere la talassemia, non solo in Italia ma in tutto il mondo. “Penso- conclude Amato- all’India, al sud-est asiatico, alla Cina, Paesi dove si insiste molto e dove si realizzano programmi di prevenzione di ampio respiro che coinvolgono milioni di persone”.