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Pace in Ucraina: ossessione inutile?

Pace in Ucraina: ossessione inutile?

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di Giuseppe Ruggeri

In che mondo viviamo se Vittorio Emanuele Parsi, politologo di fama presente su tutti gli schermi e a tutte le ore, bolla con sufficienza i tentativi di pacificazione del conflitto Russia-Ucraina – ultimo dei quali la missione in Russia e Ucraina della Santa Sede – come un’”ossessione inutile”? Quale società lasciamo ai nostri figli, e loro, se ne avranno il tempo, lasceranno ai nostri nipoti se le basi di questa società sono minate alle radici dalla crescente mentalità di morte che devasta oggi il sempre più debole impianto delle nostre vite sospese sull’abisso della minaccia globale?
Questo apprendo oggi dalle colonne di una testata – Il Fatto Quotidiano – forse meno “seriale” delle altre colleghe, per lo più unificate dallo sforzo incondizionato di sostegno a un clima d’ostilità nei confronti non solo della pace ma del pensiero stesso, quella sublime attività dell’uomo, ovvero, che dovrebbe distinguerlo dal resto dei viventi. Perché il pensiero – vale a dire il risultato di continue e tesi e antitesi che contrapponendosi tra loro producono sintesi destinate poi a diventare, a loro volta, nuove tesi e nuove antitesi, non si fonda sulle certezze, ma sul dubbio. Dubito ergo sum insomma – con licenza filosofica e non me ne voglia Descartes – a scongiurare il periglioso sorgere degli assiomi incrollabili che, oggi più che mai, governano il faticoso assetto del pianeta.
Usciremo mai fuori da questa mai abbastanza obsoleta “dittatura del pensiero” cui i regimi totalitari del secolo scorso ci hanno forse abituato al punto da non poterne fare a meno? Mi rendo conto che, specie in epoche buie, sia fisiologico andare a caccia di certezze a buon mercato, ma probabilmente abbiamo passato il limite. Perché osannare la guerra, sia pure e in modo abbastanza goffo spacciata per metodo di risoluzione dei conflitti in quanto, secondo Giorgia Meloni, riequilibra le forze, si configura come un’autentica fuga dalla realtà. D’altronde, gli interventisti che nel 1915 spinsero l’Italia verso l’ecatombe marciavano al soldo degli epigoni del Futurismo marinettiano i quali giunsero al punto di definire la guerra “igiene del mondo”.
In che mondo viviamo se l’informazione pubblica, che dovrebbe garantire un’equa – ed equilibrata – acquisizione di fatti e notizie riguardanti l’attualità, è sempre più sbilanciata verso un’estremizzante semplificazione di concetti e pertanto non si estenua di ripetere, con logorante assiduità, il mantra dell’”aggredito” e dell’”aggressore” senza voler entrare in merito alle motivazioni alla base del conflitto? Da queste premesse non si arriva a una pace che, evidentemente, non solo non è cercata, ma rappresenta l’esatto contrario di una situazione – quale quella attuale – che comunque e in ogni caso avvantaggia i grossi gruppi economico-finanziari, armi e imprese di ricostruzione in testa.
No, non credo proprio, come ritiene il professor Parsi, che la pace sia un’ossessione inutile; la mia parola varrà certo meno della sua, perché è appena la parola di un uomo qualunque – probabilmente “senza qualità” come direbbe Musil – contro la parola di un docente universitario esperto nella materia. Ma è solo pronunciandola che riesco a sentirmi cittadino di quel mondo che vedo, sotto il peso di tante parole, disgregarsi. Parole come pietre.