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Noterelle riabilitative del padre del libraio “Afefobia”

Noterelle riabilitative del padre del libraio “Afefobia”

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di Filippo Cavallaro

Se non ho capito male, sembrerebbe che la Fisioterapia debba diventare una disciplina per professionisti afefobici.
A me sembra che, sempre più frequentemente, si propongano attività di fisioterapia eseguite con le macchine di terapia fisica, circoscrivendo il contatto con il paziente a connessione, comunicazione, emotivo, ma non fisico, abbandonando l’aspetto di corporeità che ci accomuna a tutti gli esseri viventi.
Nel tocco terapeutico si va sempre più affermando la logica della aptonomia; un contatto di sguardi, di accoglienza, senza sostegno fisico, senza conforto dell’abbraccio, senza lenire il dolore con una carezza.
Tanto utile, sicuramente, l’aptonomia per accompagnare la persona a comprendere che la collaborazione supera la competizione, promuovendo un rapporto di tipo cooperativo piuttosto che individualista.
In aiuto, su questa mia consapevolezza professionale, demodé, mi viene il notiziario, di epoca pre Covid edito da “La nostra famiglia” dal titolo “Il tocco della vicinanza”, che ben descrive l’attività a cui è chiamato il fisioterapista, considerando sia gli aspetti relazionali legati al tatto e al contatto, sia l’importanza del tatto come mezzo attraverso il quale conoscere la realtà clinica del corpo del paziente.
Nella professione di Fisioterapista il rapporto di cura, l’atto terapeutico è legato ad un contatto corporeo, ad indirizzare, guidando con le mani, le strutture corporee, verso una deriva di recupero, di partecipazione all’attività, di coordinazione, di apprendimento.
Organizzando nella Terapia Manuale i dati percettivi, della costante attenzione valutativa, riconoscendo le rigidità, le limitazioni, le tensioni, sia superficiali con semplici sfioramenti, che in profondità con manipolazioni, prese, pressioni. Analizzando le strutture corporee, ipotizzando una propria dimensione identificativa delle problematiche motorie del soggetto, identificandone localizzazione, tipologia e qualità.
Nel rispetto della sua peculiare modalità di accettare la vicinanza e il contatto, il terapista propone al soggetto, piccolo o grande che sia, sollecitazioni tattili, per promuovere lo sviluppo della consapevolezza dei propri distretti corporei. Guidando attraverso le sensazioni tattili lo sviluppo di altre abilità, derivanti dalla costruzione della rappresentazione mentale del gesto, la strutturazione dello schema corporeo e la rappresentazione del sé.
Utilizzando essenzialmente la prima funzione sensoriale che si è sviluppata già nella fase embrionale, sin dalla settima settimana di gravidanza, segnando a livello biologico lo stretto legame tra il tatto e l’apprendimento.
Una relazionalità, quella tattile, che è rafforzata da una caratteristica peculiare del tocco, ossia che, a differenza degli altri sensi, è per sua natura bidirezionale. In altre parole, si può vedere e non essere visti, parlare e non essere ascoltati, ma non si può toccare o essere toccati senza entrare in contatto diretto con il corpo dell’altro. Il toccare e l’essere toccati sono quindi un canale comunicativo un po’ speciale che promuove, perfino nei neonati, uno scambio reciproco di sensazioni e di percezioni.
Conoscere il vissuto, almeno quello fisico, di una persona, toccando il suo corpo, quell’insieme di precisissime strutture che non nasconde nulla. Guiderà il fisioterapista nelle scelte terapeutiche e nel riconoscerne l’efficacia. Scegliere di fare il fisioterapista significa scegliere di entrare in contatto col corpo di un’altra persona. Trovarsi davanti ad un corpo che chiede aiuto. Un corpo malato che ha perso la sua energia se non addirittura il contatto con sé stesso.
Il Fisioterapista ha un impegno legato ad aver competenza e conoscenza del suo corpo, il suo linguaggio, i suoi silenzi, i suoi blocchi, le sue paure, le sue durezze. Con la consapevolezza che se le proprie mani sono morbide anziché rigide lo stesso trattamento ha un risultato diverso, e che l’abilità ad essere morbido o rigido non deve essere legato al caso ma deve essere voluto e modificabile al momento.
Pensavo a l’afefobia, o aptofobia, che mi pare si faccia strada, portando il corpo ad essere tale solo nella malattia o nella relazione sessuale. Non vorrei che questa moda possa diventare dannosa per chi esercita la fisioterapia, proprio per gli atti terapeutici che propone e declina con la persona bisognosa di cura. Non posso pensare che il fisioterapista corra dei rischi o che debba essere limitato nella libertà, o nella conoscenza, dell’esercizio professionale.
Libertà di esercitare il proprio dovere professionale che è diritto alla salute dei cittadini.

https://lanostrafamiglia.it/images/notiziario/2018/Not_3_2018.pdf