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Le raccomandazioni ai professionisti del Gruppo di lavoro Ict della Fnomceo
Il medico che decide di aprire un profilo social pubblico dovrebbe rispettare alcune raccomandazioni: “Prevedere, se possibile, l’apertura di due profili, uno personale e uno professionale. Usare cautela nell’accettare le richieste di amicizia dei pazienti. Assicurarsi della validità scientifica dei contenuti diffusi attraverso i post. Scrivere di salute, con particolare attenzione alla prevenzione e alla lotta alle ‘fake news’, in modo da aumentare l’empowerment del cittadino. Non suggerire cure, in termini generali, né tantomeno dare consigli clinici individuali. Rispettare sempre la privacy e l’anonimato dei pazienti, soprattutto nella discussione di casi clinici, e non diffondere dati sensibili. Esplicitare un eventuale conflitto di interessi”. Lo prevedono le raccomandazioni del Gruppo di lavoro Ict della Fnomceo, la Federazione italiana degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, “rispettare, anche sui social così come nella vita reale, i principi del Codice di Deontologia Medica”, ribadisce la Fnomceo. Raccomandazione oggi ancora più necessarie dopo il caso della ragazza di 22 anni, Margaret Spada, originaria del Siracusano, morta durante un intervento di rinoplastica in un ambulatorio di un centro medico della Capitale. Un medico e un centro scelto dopo aver visto i video sui social.
Il documento, ‘Le raccomandazioni sull’uso di social media, di sistemi di posta elettronica e di istant messaging nella professione medica e nella comunicazione medico-paziente’, è stato elaborato da Eugenio Santoro, ricercatore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs di Milano e primo autore del paper; Guido Marinoni, Guerino Carnevale, Francesco Del Zotti per conto del Gruppo di Lavoro – coordinato da Giacomo Caudo – ‘Information and Communications Technology’ della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri.
Le proposte di raccomandazioni – che non costituiscono ancora la posizione ufficiale della Fnomceo – “potrebbero essere una base di partenza per modificare e ampliare, anche con linee guida allegate, gli articoli del Codice Deontologico relativi all’Informatizzazione e innovazione, all’Informazione e Comunicazione, e alla Pubblicità sanitaria”. “La produzione di raccomandazioni – spiega Guido Marinoni, componente del Comitato Centrale Fnomceo – sull’utilizzo dei social media nella professione medica e nella comunicazione tra medico e cittadino-paziente era una necessità già in periodo pre-Covid. È diventata oggi ancora più attuale, considerando l’elevata diffusione di contenuti trasmessi attraverso questi mezzi di comunicazione”.
‘In Italia manca una regolamentazione specifica di quali atti un medico può fare sui social’
“Il numero di medici – continua Marinoni – che fanno uso di una qualunque forma di piattaforma di social media è in Italia, come nel resto del mondo, in forte crescita. Se da una parte i medici usano questi strumenti per il proprio aggiornamento professionale, non mancano occasioni nelle quali viene chiesto loro di informare il pubblico su questioni che riguardano la propria salute. ‘Disease awareness’, ‘patient empowerment’, ‘patient engagement’, lotta alle ‘fake news’ sono solo alcuni ambiti nei quali, in un modo o nell’altro, un medico che frequenta i social media si ritrova ad operare. Per non parlare della consuetudine a confrontarsi su queste piattaforme con i propri colleghi o, addirittura, con i propri pazienti, magari esponendo casi clinici. In Italia, questo tipo di comunicazione avviene in assenza di una regolamentazione specifica – ricorda – o, quanto meno, di raccomandazioni che possano indicare quali atti un medico può fare, quali può pensare di fare con particolari accorgimenti e quali è importante non faccia mai”.
“L’uso non appropriato di questi strumenti da parte dei medici li espone al rischio di compromettere il tradizionale rapporto medico-paziente e, nei casi più gravi, a quello di possibili azioni legali per non avere osservato, consapevolmente o inconsapevolmente, la privacy dei pazienti o per avere messo in discussione la reputazione o la professionalità di colleghi”, conclude Marinoni.
(Frm/Adnkronos Salute)