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Il tema del convegno nazionale Ammi che si è svolto nelle scorse settimane a Taormina, ossia la musicoterapia, è stato illustrato dalla dott.ssa Marinella Ruggeri, neurologa e psicoterapeuta rogersiana, figlia della tesoriera nazionale dell’Ammi, Lilly Cavallaro Cuomo. Nella sua relazione al seminario ha incantato la platea con un particolare apprezzamento da parte del pubblico e delle autorità presente per la minuziosa analisi sull’argomento corredata da slide. Riportiamo qui di seguito il testo integrale dell’intervento:
“La musicoterapia è l’uso della musica e/o dei suoi elementi (suono, ritmo, melodia ed armonia) da parte di un professionista musicoterapeuta in sedute individuali o di gruppo, all’interno di un setting definito. Lo scopo è quello di facilitare e promuovere la comunicazione, le relazioni, l’apprendimento, la mobilitazione, l’espressione, l’organizzazione ed altri obiettivi terapeutici, nella prospettiva di assolvere bisogni fisici, mentali, emotivi, sociali e cognitivi. Mira a potenziare e riabilitare funzioni dell’individuo, per ottenere una migliore integrazione sul piano intrapersonale e/o interpersonale e, di conseguenza, migliorare la qualità della vita attraverso la prevenzione, la riabilitazione o la terapia.
Kenneth Bruscia e Pier Luigi Postacchini tra gli autori che hanno contribuito alla diffusione della musicoterapia negli anni 90. Manarolo, Villani e Raglio tra gli autori che hanno rilevato l’efficacia della musicoterapia, rispetto ad altre arteterapie, su diverse patologie in ambito neuropsichiatrico.
La musicoterapia è un’esperienza cognitivo-sensoriale ad ampio spettro. I suoi presupposti scientifici sono dovuti all’udito, primo organo a svilupparsi nel feto, in ambiente intrauterino, pertanto l’universo sonoro, ancor prima che tattile, olfattivo, gustativo e visivo, crea un primo rapporto con il mondo esterno, esiste pertanto una competenza comunicativa non verbale innata e di natura emotiva, una vera sintonizzazione affettiva tra il feto e la madre, prima, e tra il neonato e i genitori dopo la nascita. L’udito stimola l’ipotalamo che a sua volta ha stretta connessione con il sistema limbico, la circonvoluzione del cingolo, e aree sottocorticali come amigdala ed ippocampo (organo dell’apprendimento e della memoria) con ripercussioni anche sul sistema nervoso vegetativo. Udito diventa un “carrier” che induce stimolazione corticale e sottocorticale. Ecco perché a seconda del grido del bimbo la madre riconosce il pianto per fame, diverso da quello per il mal di pancia, etc.., ecco perché è la “ninna nanna” ad addormentare il bambino. Ecco, perché dal secondo al sesto mese di vita, si manifesta il fenomeno della lallazione, che diventa esercizio esplorativo delle possibilità vocali.
Sono descritte due tecniche di musicoterapia.
Entrambe prevedono l’anamnesi sonoro-musicale, a cui seguono tre fasi: iniziale, centrale e di congedo. La tecnica attiva, basata sulla libera improvvisazione e capace di lavorare sul “non verbale” per favorire il contatto, la relazione e la comunicazione, è molto efficace in patologie dove il linguaggio e il contatto sono venute meno (come ad es. in disturbi dello spettro autistico o DSA, disturbi evolutivi del linguaggio, insufficienza mentale, etc..) o ancora nel disturbo neurocognitivo maggiore in fase avanzata (afasia nominum, mutismo acinetico).
La tecnica recettiva basata su sequenze preregistrate legate al vissuto del paziente favorisce l’espressione verbale delle emozioni provate durante la fase di ascolto, il recupero dei ricordi, il riconoscimento del caregiver, e la ripresa di quelle parole che non si trovavano più per esprimere il proprio pensiero (word finding) come nel disturbo neurocognitivo lieve nelle sue varie forme, nella depressione, nelle psicosi.
La musicoterapia si avvale di 5 modelli:
1) Benezioniana che si basa sull’ISO ossia il vissuto sonoro di ognuno di noi;
2) Cognitivo-comportamentale dove è l’elemento sonoro a mediare e non la parola come nella psicoterapia cognitivo-comportamentale;
3) Nordoff-Robbins che si avvale di due musicoterapeuti e si è rivelato efficace sull’autismo (è stato mostrato un video per spiegare il setting);
4) Analitico di Mary Priesley finalizzato a rafforzare il Se del paziente;
5) GIM: immaginaria guidato basato su tecnica recettiva e musica classica.
I campi di applicazioni sono prevalentemente: comportamenti devianti con disagio sociale e disarmonia evolutiva, disturbi psicointellettivi dell’età evolutiva come disturbi dello spettro autistico, ADHD, disturbi del linguaggio, DSA; malattie neurodegenerative, esiti di ictus cerebri specie a carico dell’emisfero sinistro, che comportano disturbi del linguaggio, la profilassi della gravidanza e del puerperio, i pazienti oncologici in fase terminale, in cure palliative, dove la musicoterapia alleggerisce un momento di grande sofferenza e angoscia per il paziente e la famiglia… testimonianza… la piccola Giada…
L’ultimo lavoro, pubblicato nel maggio 2019, è sui neonati prematuri con l’utilizzo del punji, flauto usato per incantare i serpenti indiani, da suonare per 8 minuti durante i 3 momenti al giorno più significativi (risveglio, post-risveglio e addormentamento). Grazie a questo setting il cervello completa la sua maturazione e si ottiene una significativa riduzione della sofferenza encefalica di questi piccoli pazienti.
La musicoterapia sostiene e attiva le funzioni mentali non ancora deteriorate, potenzia le risorse residue, migliora la qualità della vita; inoltre, evidenzia una maggiore connettività funzionale sull’area visiva, prefrontale e cerebellare alla RMN funzionale dell’encefalo.
L’applicazione della musicoterapia nelle demenze trova diversi spunti in letteratura, anche in recenti pubblicazioni (Lancet Neurology 2019), in quanto in questi malati la memoria procedurale si conserva più a lungo, a differenza degli altri domini cognitivi che vanno in disfacimento. Proprio sfruttando questa risorsa residua, si ottiene un rallentamento della patologia e, soprattutto un contenimento delle turbe comportamentali e dei falsi riconoscimenti, che sono la causa più frequente di istituzionalizzazione di questi malati e di sofferenza per chi si prende cura di loro.
E’ stata richiamata la nuova nomenclatura delle patologie neurodegenerative, secondo il DSM V, manuale diagnostico e statistico di riferimento dei disturbi mentali, che ha modificato il termine demenza (ritenuto restrittivo, in quanto riferito alle patologie degenerative dell’anziano), in disturbo neurocognitivo maggiore (termine più ampio che comprende svariate eziologie e soggetti più giovani). Sono stati descritti i domini neurocognitivi e i loro deficit da lievi a maggiori. Attraverso la descrizione della complessità clinica della malattia di Alzheimer, e delle altre principali forme, tra cui la fronto-temporale, la forma a corpi di Levy, la forma vascolare, si è riusciti a sottolineare le funzioni che vengono meno, quelle residue e le applicazioni della musicoterapia che, anche negli studi di confronto con la pittura, con la scrittura e il disegno, si è rivelata più efficace e duratura“.