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Presentato di recente, nella Biblioteca Regionale di Messina, il saggio “La storia dei Siculi fin dalle loro origini”, corredata dalla mostra: “I Siculi in Sicilia” in esposizione fino al 15 novembre

Presentato di recente, nella Biblioteca Regionale di Messina, il saggio “La storia dei Siculi fin dalle loro origini”, corredata dalla mostra: “I Siculi in Sicilia” in esposizione fino al 15 novembre

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di Giuseppe Ruggeri

 

L’ipotesi, affascinante oltre ogni misura almeno per noi siciliani, è che il popolo dei Siculi sia una grande civiltà che ha disteso i propri domini sulla penisola già dal II millennio avanti Cristo. Si tratterebbe di un’etnia indoeuropea migrata nell’antica Enotria dove rimase per secoli, fino all’avvento dei Greci e poi dei Romani che, scrivendone, definirono i Siculi popolo “indigeno” o addirittura “barbaro”. “La storia la fanno i vinti – scrive a riguardo Enrico Caltagirone, centuripese appassionato di protolinguistica e archeologia nell’introduzione all’interessante testo di Claudio D’Angelo (“La storia dei Siculi fin dalle loro origini”, Etabeta edizioni 2019) – “sicché è sembrato logico pensare al latino come lingua madre e tutte le lingue italiche da esso discendenti”. In realtà, secondo gli studi compiuti da D’Angelo ed esposti nel suo volume, sarebbe il protolatino a discendere dal siculo e non il contrario.

I Siculi, un popolo del mare proveniente dall’Europa Orientale, si sarebbero trapiantati dapprima nell’Italia Centrale per poi trasferirsi in Sicilia. Nell’epoca del Bronzo, questo popolo avrebbe conquistato l’intera parte orientale dell’isola arroccandosi nelle zone montane e più difendibili. Vasto il bagaglio culturale che i Siculi si portarono dietro, istituendo nell’isola attività agricole, metallurgiche, ceramistiche, d’organizzazione sociale e di opere fortificate.

Grande evidenza è data, nell’opera di ricerca di D’Angelo, alla figura di Ducezio, re dei Siculi che nel V secolo avanti Cristo riunì le genti di Sicilia sotto un unico grande regno. L’effimero movimento insurrezionale contro il dominio greco fallì miseramente, ma poco più tardi le idee di Ducezio furono portate avanti nel congresso panellenico di Gela, in cui le differenti egemonie greche si riconobbero nella comune identità di Sicilia.

L’impegno di Claudio D’Angelo si protende, insomma, non solo verso l’affermazione di una matrice identitaria siciliana differente da quella pretesa dalla storia raccontata dai vincitori – Tucidide in testa – ma anche e specialmente nell’individuazione di una civiltà già estremamente evoluta preesistente alla conquista greco-romana. Una civiltà che ricomprenda finalmente, nel novero delle cosiddette “dominazioni” succedutesi in Sicilia, anche e principalmente quella sicula. La quale, peraltro, non si sarebbe imposta in modo aggressivo e violento sugli autoctoni, ma mutuandone usi e costumi ed arricchendo quelli già presenti con presupposti di vivere civile e di attiva operosità artigianale e commerciale.

Rilievo particolare, negli studi di D’Angelo, ricoprono le traduzioni di antiche iscrizioni presenti in Sicilia e vergate in un alfabeto – quello siculo, appunto – che costituirebbe la base dell’alfabeto greco, il quale pertanto non rappresenterebbe la prima lingua alfabetizzata parlata nella nostra isola. Ipotesi che fa il paio con quella di Caltagirone che, nel saggio “Un grido dal passato” (EBS edizioni, 2018), ha postulato, quale radice comune del siculo e dell’etrusco, l’antico idioma sanscrito.