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Il ritorno di Laokoonte
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Un angolo graffiante, provocatorio ed estremizzato non per creare polemica o giudicare, ma che susciti un dibattito aperto
Laokoonte: la storia
Quando Laokoonte si trovò sulla spiaggia di Troia davanti al cavallo di legno in cui si nascondevano i guerrieri Achei, aveva capito subito che era tutto un inganno. E, come al solito, nessuno lo stava a sentire! Anzi, questo costò la vita ai suoi figli, dando a lui il dono e la maledizione di vedere il passato, il presente e il futuro.
Laokoonte compie un viaggio attraverso lo spazio e il tempo, navigando sulle onde gravitazionali alla velocità della luce. Ciò gli dà suo malgrado un accesso privilegiato, come in una realtà aumentata, alla conoscenza della verità.
La cosa più grave non è rappresentata dall’esilio su un pianeta con dieci soli, senza le regole della fisica che conosciamo sulla Terra.
Il suo più grosso cruccio è ancora oggi l’impossibilità di essere ascoltato. Letto e sentito sì, ma quasi mai ascoltato.
LE INFEZIONI POSITIVE
I primi Sapiens avevano il cervello voluminoso per ottimizzarne l’efficienza e intestino molto lungo per garantire una buona digestione dei prodotti mangiati crudi. È stata l’evoluzione della cottura dei cibi a determinare l’accorciamento dell’intestino, e a concedere di conseguenza una maggiore disponibilità di sangue al cervello. L’uomo poté così passare, nel corso dei millenni, dalla semplice raccolta dei frutti spontanei della terra e dal cacciare gli animali selvatici che si trovavano a passare a rendersi conto che alcuni vegetali potevano essere coltivati e alcuni animali essere addomesticati, sfruttati oppure cacciati con strategie di gruppo che garantivano risultati più efficaci. A questo punto però il DNA esaurì la memoria disponibile per tramandare le informazioni necessarie alla sopravvivenza quotidiana. Del resto, aveva bisogno di tempi troppo lunghi per una sua rimodulazione. Era necessario un supporto di memoria più capiente ed efficace.
Ecco com’è nata la cultura, cioè la valorizzazione d’informazioni, conoscenze e modalità di comportamenti virtuosi, tramandati da padre in figlio e capaci di garantire risultati positivi evitando sciagure derivanti da comportamenti impropri al di là della delle informazioni contenute nella cosiddetta memoria d’uomo.
Prima dell’avvento della cultura, un eccellente livello intellettivo e fisico era indispensabile alla sopravvivenza. Infatti, a causa della selezione naturale gli elementi più deboli o meno dotati soccombevano. Con quella che gli evoluzionisti chiamarono “rivoluzione cognitiva”, la nascita delle conoscenze condivise, cioè informazioni più evolute tramandabili da padre in figlio, le aggregazioni sociali crebbero. Alcuni individui non selezionati naturalmente abbassarono il livello intellettivo, altri pur possedendo elevati capacità cognitive non avevano capacità fisiche all’altezza della media di quella società. La selezione naturale, a questo punto dell’evoluzione, non ce la fece a mantenere per tutti gli individui livelli eccellenti di potenzialità mentali e fisiche, perché alcuni meno dotati beneficiavano delle capacità protettive diffuse della società.
Nonostante tutto, questo fu un periodo di crescita della qualità della vita (pance meno vuote e maggiore sicurezza personale) che portò a ottenere un’esistenza più rilassata, cioè dei lussi che alla lunga diventarono necessità. Tutto ciò anche a causa dell’influenza cerebrale positiva di elementi magari meno dotati fisicamente ma più potenti dal punto di vista intellettuale. Il benessere diffuso, nel corso di millenni, portò alla riduzione del volume del cervello rispetto a quello dei loro antenati. Il trasferimento di informazioni complesse richiedeva minore necessità di materiale neuronale di immagazzinamento dati. Paradossalmente il peso del cervello diminuiva con l’evoluzione proprio a causa della cultura. Attraverso questa, si assistette a qualcosa di strano che non si era mai visto prima.
Grazie alla possibilità di programmare il domani, iniziarono i sogni e le aspettative, all’interno di un concetto fino ad allora sconosciuto: il futuro. La cultura consentiva di migliorare la convivenza nella società, e soprattutto evitava di commettere errori già fatti in precedenza. Si comprese che il presente non deriva da una legge naturale e quindi inevitabile ma che esistono multipli percorsi alternativi da seguire, se solo se ne immagina l’esistenza.
I cambiamenti subirono un’accelerazione. Se l’evoluzione avveniva con i passi lenti di una tartaruga, l’ideazione umana viaggiava alla velocità della luce, sviluppando reti di coordinamenti di massa quali non si erano mai visti sulla terra.
La cultura poteva essere considerata come una contaminazione. L’uomo rappresenta un inconsapevole ospite, e la cultura poteva essere infezione, comportandosi da parassita verso un obiettivo degenerato che porta alla distruzione ospite ed ospitato, oppure di vaccinazione, per difenderlo da aggressioni estrinseche rischiose per la sua incolumità. I germi della cultura vivevano dentro le menti degli uomini ed erano capaci di propagarsi da un individuo all’altro, talora vaccinandolo, talaltra uccidendolo.
Nei primi decenni del terzo millennio, però l’uomo sembrava avere dimenticato tutto questo. Pochi si rendevano conto che la cultura era alla base della convivenza civile, che rappresentava l’anima della sopravvivenza e del progresso e che era l’unica strada per il conseguimento della felicità nel benessere collettivo.
Purtroppo pochi erano gli accaniti visionari che continuavano a predicare i valori fondanti della civile convivenza, dell’economia circolare e del progresso diffuso nella società. La speranza era che qualcuno fosse capace di percepire questi messaggi positivi e che si facesse “infettare” positivamente, sviluppando gli anticorpi necessari per vedere il mondo con una visione orientata verso il prossimo, verso l’altro, verso la società civile, piuttosto che verso se stessi, guidato da primitivi atteggiamenti predatori.
Nella sanità d’inizio millennio, infatti, era usuale che coloro che gestivano il portafoglio dei soldi pubblici si lasciassero allettare da facili guadagni e orientassero verso interessi personali le risorse che gli venivano affidate, perdendo completamente di vista l’oggetto fondamentale della loro ragion d’essere: il paziente. Le risorse materiali erano al lumicino, gli acquisti si facevano all’offerta più bassa e senza preoccuparsi della qualità, con un risparmio di facciata. Gli ordini venivano fatti a giacenza zero per allungare i tempi di latenza delle forniture e ottenere un effimero risparmio a fronte di un pericoloso scadimento della qualità. Il malumore generato dal clima che si veniva a creare tra il capitale umano serpeggiava ubiquitariamente. Chi ne aveva la possibilità fuggiva con grave perdita in termini di cultura clinica, di capitali produttivi e perdita di capacità di tramandare la competenza. S’interrompeva la conoscenza diffusa all’interno dei gruppi di lavoro interdisciplinare. Cosa ancor più grave, la formazione sul campo calava progressivamente di qualità, avendo bagagli culturali da trasferire ai posteri sempre più scarni e talora fatti da procedure errate o improprie.
Per fortuna, una volta che la situazione era arrivata a pericolosi livelli di quasi non ritorno, nacquero le cosiddette “iniziative magnete”. Si trattava di progetti in grado di attrarre il personale, stimolandone la creatività e l’autonomia organizzativa e professionale. Orientate verso politiche per la corretta gestione delle risorse umane, dei modelli di assistenza e delle autonomie professionali, miravano a creare ambienti di lavoro con un clima positivo che stimolava l’ideazione, la crescita e il miglioramento continuo.
Attraverso questi sistemi di gestione si producevano programmi di progressivo miglioramento della qualità dell’assistenza. E, cosa non secondaria anche se spesso poco percepita perché immateriale, si garantiva la conservazione della cultura positiva di crescita costante, indirizzandosi verso orizzonti virtuosi e di miglioramento continuo.
Consigli di lettura
Sapiens, Yuval Noah Harari, Bompiani, 2017