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Medicina interna. Dalla fotografia dello stato attuale, agli unmet need da affrontare immediatamente perché il sistema è al collasso
Sono circa 1.000 i reparti di medicina interna, distribuiti all’interno di 995 strutture ospedaliere italiane, che gestiscono circa 30.000 posti letto (su un totale di 220 mila posti letto ospedalieri) il 13% di tutti i ricoveri di tutte le specialità mediche e chirurgiche. Questo carico di lavoro aumenta nel periodo estivo di circa il 35%. Una parte di questi reparti, circa 30%, si trova in ospedali generalisti a bassa intensità o in zone ‘disagiate’, che spesso riferiscono i pazienti più complessi a strutture di secondo livello, secondo un modello spoke and hub. “Si tratta di medicine interne ‘non a elevata complessità’ – afferma il professor Gerardo Mancuso, vice-presidente della Società Italiana di Medicina Interna, SIMI – e da anni insistiamo perché questa vengano rimodulate per dare risposte migliori al bisogno di cura dei pazienti”.
Il 70% delle medicine interne italiane si trova invece all’interno di strutture ospedaliere di elevato livello. “Qui gestiamo pazienti complessi – spiega il professor Mancuso – con più patologie. E il loro elevato indice di complessità è testimoniato da un peso medio del DRG molto alto; oggi il peso medio del DRG per quasi tutti i pazienti ricoverati in medicina supera l’1,1 e la gran parte delle strutture internistiche genera pesi di 1,3. Per fare un raffronto, reparti considerati ad alta complessità come le UTIC (unità di terapia intensiva coronariche) hanno un DRG di 1,2, spesso inferiore dunque a quello dei pazienti internistici”. La Medicina Interna gestisce pazienti con polimorbilità, complessi e fragili e la pandemia ha aggravato questa situazione. Oggi, infatti, le medicine interne degli ospedali si trovano a gestire pazienti che hanno patologie ancora più evolute, per i ritardi diagnostici e di follow up.
“Il paziente ricoverato in Medicina Interna – prosegue il professor Mancuso – ha più patologie, più organi interessati e un’età più avanzata; sono pazienti gravi con insufficienze d’organo rilevanti che richiedono un impegno notevole per l’intensità di cure”. Nell’elenco dei ricoveri, le patologie più gettonate sono lo scompenso cardiaco di classe avanzata, l’insufficienza respiratoria grave, l’ictus cerebrale, i comi metabolici, l’insufficienza epatica avanzata, le insufficienze renali, le alterazioni dell’equilibrio acido-base. Tutte patologie che un tempo venivano ricoverate in rianimazione e che oggi vengono gestite con successo in medicina interna.
Quelle leggi da rivedere perché penalizzanti per la medicina interna 3.0. “Ma questa complessità – prosegue il professor Mancuso – andrebbe declinata in attività concrete. E invece, rimaniamo ancorati ad un decreto di 35 anni fa (decreto ministeriale Donat Cattin sugli standard ospedalieri del 13/08/1988) che, nella tabella che indica la complessità dei reparti, pone la medicina interna tra quelle a bassa specialità”. Ma questo non è più così, le cose sono cambiate. “Chiediamo dunque la revisione di questa tabella – afferma Mancuso – perché ha ricadute anche sulle piante organiche dei sanitari (medici, infermieri, OS), che vengono definite in funzione di questa tabella”. Insomma la medicina interna oggi vive una dicotomia. Da una parte c’è la realtà di una specialità in grado di gestire pazienti difficili, con patologie avanzate e complesse, determinanti un peso del DRG molto alto. Dall’altra una legislatura in difetto e arretrata rispetto alla realtà delle cose. “Tempo fa abbiamo redatto un documento – prosegue il presidente eletto SIMI – comprendente anche questa richiesta e che abbiamo presentato all’Ufficio della Programmazione del Ministero della Salute poco più di un anno fa. In quella riunione, insieme ad altre società scientifiche, abbiamo parlato anche della necessità di rivedere il decreto legislativo n. 70 (legge 70/2015, Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera) sulla riorganizzazione della rete ospedaliera. Ma questo governo non ha ancora assunto iniziative né rispetto alla necessità di aggiornare il DM Donat Cattin, né sulla revisione della rete ospedaliera, diventata urgente anche alla luce di quanto accaduto con la pandemia. Sarebbe dunque utile un remind su questi punti prioritari e urgenti”.
Istituzionalizzare l’attività subintensiva internistica. Con oltre il 70% dei pazienti Covid in Italia assistiti in medicina interna, la pandemia da Covid-19 ha messo decisamente sotto gli occhi di tutti che il servizio sanitario ha necessità di organizzare anche una assistenza di tipo sub-intensiva. Questa viene svolta quotidianamente nelle medicine interne ad alta intensità, ma con carenze di organico e di dotazioni. “La nostra proposta – afferma il professor Mancuso – è di istituire delle unità di subintensiva internistica, alla stessa stregua di quelle esistenti in cardiologia o in pneumologia. Attualmente queste unità di subintensiva internistica sono presenti in meno del 10% dei reparti di medicina interna italiani, ma sono strategiche perché rispondono al bisogno di assistenza dei pazienti più complessi che, nei nostri reparti, vediamo con sempre maggiore frequenza e che hanno bisogno di monitoraggio e di strumenti adeguati. Abbiamo dunque proposto di istituzionalizzare delle unità di subintensiva in quel 70% dei reparti di medicina interna in Italia che gestiscono i pazienti più complessi. Anche questa proposta era stata accolta favorevolmente dal Ministero, poi si è tutto arenato perché anche questo provvedimento è legato alla revisione del DM 70/2015”.