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di Valentino Sturiale
Dopo oltre quarant’anni dalla emanazione della Legge 180, restano irrisolte, e non solo in ambito psichiatrico le questioni relative al titolo stesso della Legge “Basaglia”: fare chiarezza sulle norme relative agli “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”. Il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) come previsto nel 1978 è ormai significativamente diverso dal TSO eseguito nel nuovo millennio pur essendo paradossalmente regolato dalle stesse norme.
Diversa è, nella forma, l’Autorità Amministrativa: il Sindaco continua a essere il responsabile massimo della sanità sul territorio ma le USL (emanazione dei Comuni) sono ASL (emanazioni delle Regioni) e lo stesso TSO è diventato (D.Lgs. n. 267/2000, TUEL) una Ordinanza con i poteri di ufficiale di governo tornando di fatto a quanto prevedeva l’art. 2 della Legge 14 febbraio 1904, n. 36 (Disposizioni sui manicomi e sugli alienati): “L’autorità locale di pubblica sicurezza può, in caso di urgenza, ordinare il ricovero…”. Gli stessi Vigili Urbani che eseguono l’ordinanza sono diventati Agenti di Polizia Locale, siamo cioè lontani dalla concezione del Vigile di Quartiere dell’epoca della “180”. L’ANCI infatti ha chiesto una legge che “liberi” i Sindaci dall’incombenza dei TSO (Pizzi M., 2018).
Diversa è, in realtà, la gestione della pericolosità sociale dalla chiusura (31 marzo 2015) degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) con la Legge n. 81/2014 in via di lenta ma progressiva applicazione. Dal momento che si è determinata la fine di quella forma di inciviltà denominata “ergastoli bianchi”, la cura ed il contenimento della pericolosità del soggetto che commette reati potrebbe in linea di massima essere separata con strutture e unità operative di Psichiatria giudiziaria/forense differenziate e specializzate nelle quali il soggetto “obbligato” riceve già tutte le garanzie previste dal codice penale e di procedura, separando i percorsi di cura fra le due tipologie di soggetti e tenendo presente che molto spesso alla base dei comportamenti violenti si ritrova la comorbidità con l’abuso di alcool e di sostanze. Le urgenze psichiatriche/comportamentali di soggetti autori di reato o sottoposti a provvedimenti della Magistratura di Sorveglianza potrebbero essere regolamentate nelle strutture della sanità penitenziaria che fa parte ormai su tutto il territorio nazionale delle aziende sanitarie pubbliche, evitando il ricorso a TSO di controllo sociale ospitati impropriamente dai servizi psichiatrici ospedalieri.
Diversa è la responsabilità del medico. Il potere di proporre il TSO è diventato “difensivamente” quasi un dovere in quanto lo psichiatra è in “posizione di garanzia” rispetto non solo alla salute ma anche ai comportamenti devianti del suo paziente: un doppio contesto di protezione e controllo molto spesso in stridente paradossale contrapposizione, che andrebbe seriamente riconsiderato e rivisto criticamente.
Diversa è la situazione del paziente che nel millennio dei diritti civili, è sostanzialmente indifeso rispetto ad un provvedimento molto invasivo che lo priva della libertà personale e del diritto ad esprimere non solo il consenso ma anche il dissenso alle cure e che lo sottopone spesso alla violenza della contenzione. In linea di principio e per salvaguardare la stessa costituzionalità (Art. 13) del TSO è previsto che chiunque possa opporsi all’ordinanza con istanza rivolta al Sindaco (che però è la stessa Autorità che emana il provvedimento) o al Presidente del Tribunale.
Non sono mancate negli anni le critiche, le commissioni di inchiesta, le raccomandazioni e gli interventi dei Garanti: Commissario Europeo per i diritti umani (10/6/2005); European Commitee for the prevention of torture and inhuman or degrading treatment or punishment” (CPT, 16 ottobre 2006); Gruppo Interregionale della Salute Mentale, Ministero della Salute Piano di Azioni Nazionale per la Salute Mentale (PANSM 24 gennaio 2013); Alto Commissario ONU per i diritti umani (rapporto “Mental health and human rights” 31 gennaio 2017) per citarne solo alcuni (Rossi G., 2017).
In particolare la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (ricorso n. 25367/11 P.A. c. Italia 8/10/2013) si sofferma sulla necessità di notificare al cittadino sia l’Ordinanza del Sindaco che la Convalida del Giudice Tutelare, anche per consentirgli di opporsi nei termini previsti dalla Legge e sull’importanza di un ruolo maggiormente proattivo del Giudice Tutelare.
Insomma la Legge 180 proprio per quel che riguarda i trattamenti volontari e obbligatori che ne connotano il titolo stesso, si trasforma negli anni da riforma a metà in controriforma.
Non che la lungimiranza di Basaglia (1979-2018) non l’avesse previsto: ”Negli Stati Uniti la legge Kennedy del 1963, primo segno della fine dei manicomi, aveva decretato l’apertura di una rete di centri di salute mentale finanziati e controllati dal governo federale. Ho lavorato sei mesi in una di queste istituzioni e posso raccontare alcuni fatti interessanti di una gestione sostanzialmente repressiva che tuttavia aveva un’apparenza, una coloritura di libertà. Il centro serviva tutta un’area che in inglese si chiama “catchment area”, dal verbo “to catch” che originariamente vuol dire “gettare la rete” di pesca per ritirarla con i pesci. Così gli psichiatri e i servizi sociali gettano la loro rete e pescano i malati… Cioè le novità apportate dalle critiche alla psichiatria hanno fatto nascere un altro tipo di organizzazione psichiatrica, ma questa organizzazione non è altro che la ridefinizione in termini territoriali della logica manicomiale”.
Ma proprio la salvaguardia e la concreta applicazione del diritto all’autodeterminazione costituzionalmente garantito potrebbe essere la chiave per scardinare questo sistema, superando il TSO o almeno contenendolo a casi eccezionali così come voleva la legge nel 1978 e come prescrive il codice deontologico dei medici.
La legge 180 (13 Maggio 1978) per molti aspetti anticipa la Convenzione di Oviedo sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina (4 aprile 1997 recepita dall’ordinamento italiano con la Legge 28 marzo 2001, n. 145) che nel capitolo secondo agli artt. 5 e 6 definendo nei trattamenti sanitari non volontari il ruolo del “rappresentante”, a sua volta, sembra anticipare l’importanza ed i compiti dell’Amministratore di Sostegno che verrà introdotto in Italia con la Legge n. 6 del 9 Gennaio 2004: “La persona interessata deve nei limiti del possibile essere associata alla procedura di autorizzazione”.
Mentre la parte della legge 180 relativa ai trattamenti sanitari obbligatori per patologie non psichiatriche restava negli anni sostanzialmente inapplicata, con l’introduzione dell’Amministratore di Sostegno (AdS) nel Codice Civile con la Legge n. 6 del 9 Gennaio 2004, “Istituzione dell’amministrazione di sostegno…”, la figura dell’AdS viene quasi immediatamente impiegata ad affiancare o sostituire il beneficiario nelle questioni relative al consenso informato, in maniera diffusa ed omogenea in quasi tutto il territorio nazionale (Ondei G., 2010) restando invece lacunoso e improvvisato il rapporto tra TSO per patologie psichiatriche e Amministrazione di Sostegno (Pizzi M., 2018).
Al contrario si è tentato di dare all’AdS e al Giudice Tutelare compiti di controllo sociale che sono antitetici alla natura stessa di queste importanti funzioni così come sono state pensate e previste dalle Leggi istitutive.
L’AdS nominato con un Decreto che può prevedere compiti di supporto personalizzato e relazionale alla fragilità del beneficiario deve essere accettato e condiviso dal paziente (può infatti venire richiesto anche dallo stesso soggetto) e condividere un progetto esistenziale che ne riduca la vulnerabilità e sostenga la capacità, anche giuridica, di far valere i diritti di cittadinanza.(Trentanovi S., 2005).
Se il decreto di nomina prevede la rappresentanza con le strutture sanitarie è compito dell’AdS (e del GT) negoziare con il paziente il consenso alle cure ed eventualmente sostituirlo: si potrebbe in questo modo evitare il ricorso alla violenza del TSO interloquendo con i curanti così come accade ormai in tutti gli altri ambiti della medicina.
D’altro canto va ipotizzata e potrebbe essere regolamentata la necessità della nomina urgente di un AdS nei casi in cui la fragilità del soggetto ed il mancato supporto sociale lo rendano oggetto di un possibile intervento sanitario coatto così come è previsto dall’art.
406 del codice civile: ”I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all’articolo 407 o a fornirne comunque notizia al pubblico ministero”.
Insomma, una adeguata e strutturata presenza dell’AdS può essere un fattore decisivo per limitare (o abolire) il TSO, fornire adeguato supporto relazionale e giuridico al soggetto, limitare la durata della degenza e delle contenzioni cambiando il clima da un contesto violento (in cui si sono verificati tragici episodi) che pregiudica la cura e la fiducia ad un contesto di dialogo, di “moral suasion”, di contrattazione e negoziazione dell’intervento che possa essere l’occasione della definizione di un percorso condiviso di cura che preveda una progettazione di lunga durata finalizzata a ridurre rischi clinici, fattori di criticità del sistema e di fragilità del cittadino.
In risposta alla CEDU che rimprovera la mancata notifica al soggetto della ordinanza di ricovero e dell’ordinanza di convalida del GT, l’AdS potrebbe essere il valido interlocutore dell’Autorità e potrebbe in tempo utile opporsi al provvedimento ed interloquire con il GT per richiedere verifiche effettuali al fine eventualmente di non convalidare il provvedimento o addirittura opporsi all’ordinanza prima ancora che venga eseguita. Del resto anche l’Art. 3 della recente Legge n 209 del 22 Dicembre 2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” assegna un ruolo fondamentale all’AdS ed al GT nell’interpretare e rispettare le volontà del soggetto in caso di dissenso (quinto comma) alle cure.
Inoltre se fin dall’inizio l’Autorità del Giudice Tutelare (e l’AdS) intervengono a garanzia del soggetto si rispetta quasi integralmente il profilo dell’Art. 13 della nostra Costituzione.
Nei dati della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica la Sicilia, in compagnia della Valle di Aosta, ha il tasso più alto di TSO su scala nazionale (Starace F., Baccari F., 2019) ma recentemente “The Lancet” ha pubblicato uno studio comparativo internazionale dove l’Italia riporta il tasso più basso di “involuntary hospitalisation” fra i paesi più avanzati (Luke Sheridan Rains, et al., 2019).
A ulteriore testimonianza della persistente validità del contesto culturale che sta alla base della legge 180 si stanno diffondendo in tutte le Regioni realtà che hanno abolito ogni forma di coercizione (Club SPDC No-Restraint – Rossi G., 2017) in linea con la metodologia e il messaggio di Franco Basaglia: “la cosa importante è che abbiamo dimostrato che l’impossibile diventa possibile. Magari i manicomi torneranno a essere chiusi e più chiusi di prima, io non lo so, ma a ogni modo noi abbiamo dimostrato che si può assistere la persona folle in un altro modo, e la testimonianza è fondamentale. Il punto importante è che ora si sa cosa si può fare”.
Dopo oltre 40 anni, il percorso verso la totale abolizione della violenza nelle prassi psichiatriche pur tra moltissime difficoltà, continua: l’abolizione del TSO potrebbe essere un traguardo importante e non troppo lontano.