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Allarme: “I giovani non scelgono più chirurgia”

Allarme: “I giovani non scelgono più chirurgia”

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Il 60 per cento dei medici considera inadeguato il concorso nazionale a selezionare in modo meritocratico l’accesso alle scuole di specializzazione. Più dell’85 per cento dei casi, un chirurgo appena specializzato non si sente in grado di effettuare un intervento senza una supervisione. Oltre il 90 per cento degli specializzandi ritiene necessario far entrare gli ospedali nel sistema formativo delle scuole di specializzazione in chirurgia generale.

Sono alcuni dei dati rivelati da un sondaggio commissionato e somministrato ai propri iscritti dalla Acoi, l’Associazione chirurghi ospedalieri italiani che a Matera, fino a mercoledì prossimo, celebra il suo 38esimo congresso nazionale. Il campione si compone di specializzandi (qualche centinaio) prevalentemente del Nord Italia che con le loro risposte hanno delineato un quadro preoccupante del sistema formativo in Chirurgia a causa dei gap esistenti in termini di controllo durante le prove tra le diverse Università, di test complicati e in alcuni casi poco pertinenti alla materia a cui si associano curricula poco valorizzati e dubbie modalità di scorrimento delle graduatorie. Il 60 per cento definisce la formazione ospedaliera migliore rispetto a quella universitaria.

“Il dato inquietante che è un allarme reale che io avevo preannunciato circa quattro anni fa ma ahimè non sono stato molto tenuto in considerazione, è che i giovani non scelgono più di fare il chirurgo”, spiega Pierluigi Marini, presidente dell’Acoi. “Fra le cause spiega – al primo posto c’è la totale insoddisfazione nei percorsi formativi post laurea e nei percorsi di specializzazione che dovrebbero prepararli ad entrare nel mondo del lavoro: questo non avviene”.

L’indagine rivela anche che chi ora studia per specializzarsi nell’uso di bisturi e punti di sutura non consiglierebbe ad altri medici lo stesso percorso e ad avallare la tesi anche chi chirurgo lo è già. Solo il 25 per cento dei medici ha risposto di aver deciso di intraprendere la specializzazione chirurgica prima di iscriversi alla facoltà di Medicina, quasi il 60 per cento durante il percorso universitario, mentre poco più del 5 per cento subito dopo la laurea: per molti è stata una seconda scelta. Sono poche le opportunità di lavoro in corsia.

“Quest’anno su 17000 neo laureati solo in 90 hanno fatto come prima scelta la chirurgia è questo vuol dire che la chirurgia sta morendo. I meno giovani vogliono uscire dal sistema e non vanno sereni in sala operatoria. Quindi presto avremo grandi difficoltà, anche in regioni importanti, dovremmo importare i chirurghi dall’estero”, evidenzia Marini e continua evidenziando che “la ricetta non è impiegare nei nostri reparti né medici militari, che sono bravissimi ma fanno un altro lavoro, né richiamare colleghi che stanno in pensione ma fare una buona formazione”.

I lavori congressuali hanno anche affrontato il tema dei risarcimenti danno chiesto dai cittadini a medici e strutture ospedaliere. Problematica di recente finita tra le polemiche a causa di spot televisivi e radiofonici in cui si invita il cittadino, che magari si trova in una condizione di fragilità o di dolore alimentate da rabbia e frustrazione, a intentare cause legali contro i medici. Che costano dodici miliardi ogni anno.

“Il contenzioso medico-legale – dice Marini – è diventato insopportabile per i giovani e anche per i meno giovani. Per questo, è necessario costruire dei percorsi per modificare lo stato giuridico dei degli specializzandi e favorire dei percorsi per l’ingresso nel mondo del lavoro. Quei pochi eroi che scelgono di fare il chirurgo, rischiamo di perderli perché poi vanno a fare all’estero la specializzazione dopo averci investito più di 200.000 euro di soldi pubblici. Queste sono allert di cui lei istituzioni non possono più fare a meno”.

Nonostante le tante difficoltà, “ogni giorno in questo Paese si fa tanta buona sanità: oggi secondo le stime dell’OMS l’Italia è tra i primi tre sistemi sanitari al mondo”, dice Marini e il piazzamento dell’Italia tra i migliori sistemi sanitari al mondo tenderebbe a nascondere “le reali problematiche che oggi come il fatto che molte specialità non sono più rappresentate e la chirurgia è tra queste”, conclude Marini.