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di Francesco Certo
Carlino Mezzolitri con il solito fiasco per compagno, arrivò alla periferia di
una città che si chiamava Ricchezza.
Si chiamava così, perché per l’appunto tutti lì erano ricchi.
Agricoltori, industriali o qualsiasi lavoro facessero erano benestanti, ricchi.
Avevano infatti impiegati, subalterni che venivano da altre città più
povere e che trovavano il modo per sbarcare il lunario, mantenere le famiglie.
Era mattino.
Come dicevo, Carlino Mezzolitro, si trovò davanti un pollaio, grande, enorme,
da cui uscita una gallina nera, spaventata, con gli occhi socchiusi al sole.
Su un albero di ulivo un usignolo che le disse.
– Ehi, ciao, come ti chiami?
– Nerina, per il mio colore, aiutami, ho paura, le mie compagne sono tutte morte,
il padrone ha lasciato il cancello aperto, e i lupi, i lupi, ci hanno massacrate, io
mi sono salvata per il colore, nel buio, non mi hanno visto.
Ma tu cosa fai là in alto, è pericoloso, gli uccelli come noi, stanno nei pollai, al
servizio degli uomini, con il collo legato, con la luce delle lampade, a fare
uova, scendi, è pericoloso! Potresti cadere, entriamo nel pollaio, è più sicuro!
- No, qui sto bene, canto e se canto bene, troverò una compagna, e da qui posso
volare!!!
- Volare, volare, ma che significa?
Guarda!
Iniziò a cantare come l’usignolo sa e poi librò in volo, come ispirato, sembrò
bucare il cielo e le nuvole per poi posarsi sul ramo.
La gallina, estasiata e invidiosa a un tempo.
Bello, bellissimo, potrei farlo anch’io, non sono un uccello anch’io?
L’usignolo, la guardò senza superbia, sapeva della sfortuna delle galline,
non riusciva a organizzare un pensiero che non la potesse offendere.
Perplesso e commosso, Carlino Mezzolitro, chiese consiglio al fiasco, mandò giù
e i suoi occhi si fecero più grandi e lucenti, incrociando quelli
dell’usignolo che capì, è il caso di dirlo, al volo.
- Vedi Nerina, se vuoi fare come me, devi scappare dal pollaio, vieni con
me, andremo sul ramo più basso e ti insegnerò.
Felice la gallina lo seguì, e per tutta la sua vita provò
a cantare e a volare: tentativi vani.
Qualche coccodè più aggraziato, qualche balzo in alto
di qualche centimetro, niente di più.
Ma lei non perse mai la speranza, e ogni mattina lei
e il suo maestro provavano.
Fino alla sua morte.
Quel giorno l’usignolo pianse in volo e le dedicò la più
bella melodia.