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di Giuseppe Ruggeri
Quella del Corona-virus – come titolano molte testate odierne – è ormai diventata una vera e propria “era” che non smetterà di far parlare di sé anche quando, come tutti speriamo, avrà completato il suo corso. Indispensabile tuttavia, per una corretta informazione, è non solo l’incrocio delle fonti ma pure attingere a quelle più qualificate, che non possono non provenire dall’esperienza e dalla professionalità di chi più e meglio di altri è abilitato a fornire un giudizio su un fatto particolare.
Nel caso della “quasi pandemia” da Corona-virus, a giornalisti e politici è assegnato il delicato compito di avvalersi del sostegno della scienza che deve guidare tanto la cronaca quanto le opportune scelte istituzionali. Una di queste professionalità, che della scienza ha fatto una missione, è l’allievo e collaboratore di Albert Bruce Sabin – scopritore del vaccino antipolio – il messinese Giulio Tarro, dichiarato nel dicembre 2018 “miglior virologo al mondo” dall’International Association of Top Professionals (New York).
Il Prof. Tarro, che con orgoglio identitario mantiene a tutt’oggi la propria iscrizione all’albo dell’Ordine dei Medici di Messina, in quest’intervista esclusiva fa luce sugli aspetti più oscuri dell’epidemia che ha cambiato la nostra vita.
Nato a Messina nel 1938 e laureatosi in Medicina e Chirurgia nel 1962 a Napoli, dove tuttora risiede, ha insegnato virologia oncologica nell’Università partenopea ed è stato primario emerito presso l’Ospedale “Cotugno”. Figlio scientifico di Albert Bruce Sabin, ha insieme a lui studiato l’associazione dei virus con alcuni tumori umani all’Università di Cincinnati. Ricercatore del CNR e del National Cancer Institute (USA) è stato antesignano nella diagnosi e nella terapia immunologica dei tumori.
Ha isolato il virus respiratorio sinciziale (VRS) responsabile della terribile epidemia di bronchiolite che ha colpito molti bambini napoletani nel 1978. Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica, ha conseguito diverse cittadinanze onorarie italiane e lauree honoris causa all’estero. Negli anni 1995-1998 membro del Comitato Nazionale di Bioetica. Giornalista pubblicista dal 1996, dirige attualmente il Journal of Vaccine Research and Development (Singapore).
Sono solo i tratti salienti della biografia scientifica di Giulio Tarro, messinese “doc” ed eccellenza della ricerca virologica ed oncologica mondiale, il quale, il 21 aprile p.v. – emergenza Corona-virus permettendo – terrà una “lectio magistralis” a S. Agata Militello (Messina), dal titolo: “Corona-virus: conoscere per non temere”.
Sull’argomento, che da tormentone mediatico si è ormai trasformato in spirale incontrollata di panico per l’Europa e parte del mondo con le ben note conseguenze restrittive che hanno di fatto “isolato” i territori maggiormente colpiti – Cina e Italia in testa – abbiamo rivolto al professor Tarro alcune domande.
10.149 casi di contagio, 631 morti e 1.004 guarigioni – questo il “bollettino di guerra” di stamattina che fotografa lo stato della diffusione del Corona-virus in Italia. Cosa sono i Corona-virus e cosa provocano?
Fino a meno di 20 anni fa i Corona-virus rappresentavano una famiglia virale che, durante il periodo invernale, causava dal 10 al 30 per cento dei raffreddori della popolazione. Il nuovo Corona-virus COVID-19 dà una malattia febbrile con impegno, nei casi più severi, di una polmonite che può avere perfino la necessità di un respiratore.
Come giudica le drastiche misure assunte dal governo per contenere il contagio?
Un noto proverbio recita: decisi di apporvi delle solide porte di ferro al posto di legno, dopo che però i ladri avevano compiuto razzie. Con ciò voglio significare che le misure prese adesso sono certamente valide, ma purtroppo tardive.
A suo parere, il tasso dei contagiati in Italia perlomeno si avvicina a quello reale o il fenomeno è assai più esteso? In quest’ultimo caso, come commenta l’abbassamento del tasso di mortalità che ne conseguirebbe?
Faccio mio quanto riportato on-line dal New England Journal of Medecine: “Il tasso di mortalità associato al COVID-19 potrebbe essere considerevolmente inferiore all’1 per cento anziché del 2 per cento riportato da alcuni gruppi, come dichiarato da Anthony Fauci del National Institute of Allergy and Infection Diseas statunitense, sulla base di un rapporto incentrato su 1099 pazienti con COVID-19 confermato in laboratorio provenienti da 552 ospedali cinesi. Questi pazienti presentavano un ampio spettro di gravità della malattia, e se si presume che il numero di casi asintomatici o minimamente sintomatici sia di diverse unità di grandezza superiore a quello dei casi riportati, il caso di fatalità della malattia ricadrebbe molto al di sotto dell’1 per cento. Ciò suggerisce che le conseguenze cliniche complessive del COVID-19 potrebbero in definitiva essere simili a quelle di una grave influenza stagionale, che presenta un tasso di fatalità dello 0,1 per cento circa, o di un’influenza pandemica come quella del 1957 o del 1968, piuttosto che a quelle della SARS e della MERS, caratterizzate rispettivamente da una fatalità del 10 per cento e del 36 per cento (Fonte: popsci.it –New Eng J Med online 2020).
Il palese intasamento delle unità di terapia intensiva e di rianimazione, a fronte di un numero ancora ragguardevolmente basso di soggetti che presentano complicanze è dovuto, secondo lei, a carenze strutturali della rete ospedaliera nazionale o piuttosto a sovrastima dei casi da trattare da parte dei medici preposti?
Per permettere alle strutture sanitarie interventi mirati dobbiamo fare a meno di un’informazione che provoca ansia ed è piena di falsi appelli a “non farsi prendere dal panico”, perché a questo punto anche una influenza stagionale non dico dell’anno scorso ma di quegli anni in cui effettivamente è stato notato un incremento dei casi – vedi l’aviaria, la suina, quella stessa di quest’anno – avrebbero potuto portare a una simile emergenza.
Sulla base della sua esperienza e degli studi condotti, quale tipo di evoluzione prevede per questa virosi, considerato che, almeno da quanto abbiamo appreso dalle istituzioni sanitarie, la curva di crescita non ha ancora raggiunto il picco?
Le prospettive, a questo punto, dipendono dal comportamento epidemiologico tipo prima SARS, esaurendosi in estate e rimanendo una zoonosi della provincia di origine oppure dando luogo ad epidemie sporadiche come la MERS e l’influenza aviaria relativamente a pochi individui, ovvero, infine, diventando una virosi respiratoria umana cronica stagionale come nel caso dell’ultimo virus influenzale del 2009 o degli altri Corona-virus regionali meno aggressivi.
Si è ipotizzato l’uso terapeutico di un farmaco biologico giù in uso per la terapia dell’artrite reumatoide e ancora di un anti-virale che inibirebbe le proteasi e fu a suo tempo impiegato contro il virus Ebola. Che ne pensa?
L’ultima sperimentazione clinica su due casi con un prodotto difficile da maneggiare mi lascia perplesso, perché non può certo risolvere il 98% dell’epidemia. Il tocilizumab, l’immunosoppressore dell’artrite reumatoide, è un prodotto poco malleabile. Non stimo che ne valga la pena, riducendo ulteriormente la risposta immune al virus del paziente e lasciandolo scoperto alla reinfezione. In attesa della preparazione di un vaccino specifico che possa prevenire la ulteriore diffusione di COVID-19, bisogna tenere presente una terapia sintomastica e similare a quella dell’influenza stagionale, specialmente per i soggetti più anziani e con svariate patologie che li rendono più sensibili al virus – diabetici, cardiopatici, broncopatici ecc. Gli antibiotici servono per le infezioni batteriche secondarie, mentre i cortisonici vengono sconsigliati. Infine gli antivirali suggeriti vanno dall’Interferon e la Ribavirina, alla terapia anti-HIV con Lopinavir/ Ritonavir per finire al nuovo prodotto Remdesivir, usato per l’Ebola. Ovviamente, come le gammaglobuline per il tetano, gli anticorpi del plasma dei soggetti guariti rappresentano un logico impiego per i pazienti più gravi.
Ritiene si sia ancora in tempo per la produzione di un vaccino da distribuire su vasta scala?
Un vaccino specifico che prevenga la diffusione dell’epidemia da COVID-19 deve essere preparato con tempi minimi – non meno di 18 mesi secondo quanto indicato dall’OMS – che tengano presente la sicurezza del suo uso e quindi un’etica di somministrazione, mentre un vaccino influenzale stagionale può richiedere soltanto alcuni mesi che permettono la protezione di un nuovo continente rispetto a quello dove si è originata l’influenza epidemica.
Per concludere, ci dica quali sono, secondo lei, gli aspetti preoccupanti della virosi da COVID-19.
Come ogni altro virus – la scienza, in questo, è democratica – COVID-19 non ha pregiudizi né di sesso né di censo, e può pertanto colpire ciascuno di noi, indiscriminatamente. L’attuale virosi da Corona-virus si distingue inoltre da una normale influenza per la velocità di diffusione che può portare a un eccesso di casi, con contemporanea necessità di dover ricorrere ai respiratori e ai reparti di terapia intensiva che abbiamo politicamente cancellati prima e non deliberati poi ad inizio dell’epidemia (per esempio come fatto in Francia).
Un problema, insomma, di strutture “dedicate” le quali, a causa di una inadeguata programmazione politica, vengono a mancare in una congiuntura che ne richiede una quantità di molto superiore a quella disponibile. Ancora una volta, se non si fosse capito, sono le scelte scriteriate di una classe dirigente tutt’altro che lungimirante a rendere una virosi più diffusiva di altre, ma sostanzialmente ben poco letale, una minaccia alla salute della nostra comunità.