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Un medico e un infermiere imparano a reagire ai familiari inferociti di un paziente che li aggrediscono. Come? Dopo aver frequentato un corso di difesa personale, pronti a parare colpi o a darli con tutto il camice bianco. Perché il tempo di toglierselo nemmeno ci sarebbe. Non è una battuta, dal momento che al Policlinico Umberto I di Roma sono partiti i corsi di autodifesa per il personale. Nel 2023,
nel Lazio, sono state 1219 le aggressione confermate, oltre 800 sono state anche di natura fisica. Un dato sottostimato perché in tanti casi non si denuncia. All’Umberto I si parla di judo, movimenti e azioni a corta distanza: ci vuole ‘fegato’ per affrontare il nemico così vicino.
“Se ne parla con superficialità, può essere pericoloso con un corso di due lezioni a settimana. Il problema è così importante che serve la pubblica sicurezza, non far credere alle persone che si debbano difendere da soli”. Claudio Alberton, atleta che ha dedicato la vita agli sport da combattimento, alla Dire risponde con preoccupazione su questi vademecum ‘facili’, corsi che rischiano di essere inutili se non dannosi. Perché? Sottostimano l’impatto di un’aggressione in strada e la necessità di essere ben allenati. Meglio saper trovare la via di fuga quindi, che sferrare un colpo che non va a segno.
“Devono mettere la pubblica sicurezza nei Pronto Soccorso- ripete Alberton- e non possono pensare che basti un corso due volte alla settimana per chi già lavora in un contesto difficile e si trova di fronte un parente esasperato, che è in uno stato di alterazione per ragioni affettive”. Inammissibile per Alberton e anche pericoloso pensare che una persona, mai allenata, magari in sovrappeso, sprovvista di attitudine al confronto fisico, riesca a difendersi con le mani.
“Hanno idea di cosa voglia dire essere aggrediti? Non stiamo parlando di militari, di persone abituate a stare al fronte, ma di medici o infermieri”. Puntare a questo e non ad altro secondo Alberton “è un palliativo per lavarsi le mani”. Nei corsi, come accade anche a lui nella sua esperienza, si può insegnare a scappare, alle donne ad esempio dice: “In tasca abbiate un oggetto acustico, fai finta di essere simpatica, insegno a sapersi rialzare con scatto se si finisce a terra e poi a cercare vie di fuga e scappare. Lo sapete che le donne che subiscono violenza sessuale finiscono in pronto soccorso con la faccia spaccata?”, racconta. “Le picchiano fino a farle svenire. Le cose non si dicono, ma accade questo”.
L’autodifesa quindi è una pratica che richiederebbe duro e costante allenamento, meglio chiamare questi corsi tanto sponsorizzati in altro modo, meglio non pensare di essere in grado per poi ritrovarsi impreparati “a una distanza ravvicinata” con il nemico: lì serve coraggio e anche tecnica.
“E solo la strada, insieme a un duro training- ribadisce Alberton- può averlo insegnato”.
Autore: Silvia Mari
fonte Agenzia DIRE