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di Giacomo Caudo e Salvo Rotondo
Il 4 luglio 2024, la cardiologia siciliana veniva scossa da un violento terremoto provocato da un’inchiesta, denominata “Vasi Comunicanti”, che aveva portato agli arresti domiciliari di numerosi primari di cardiologia interventistica. L’accusa riguardava il reato di corruzione, ipotizzato da intercettazioni telefoniche che lasciavano supporre gravi irregolarità.
Il 16 luglio, però, il gip di Catania aveva concesso la libertà provvisoria agli indagati, e il 5 dicembre 2024 (cinque interminabili mesi dopo) tutti gli imputati vedevano archiviata la propria posizione.
Non intendiamo entrare nel merito delle dinamiche giudiziarie, che sicuramente hanno comportato la raccolta di dati oggettivi e riscontri investigativi a supporto delle ipotesi di accuse. Vogliamo, tuttavia, riflettere su alcuni aspetti spesso trascurati, che sconvolgono la vita e la carriera di chi si trova coinvolto in vicende del genere.
Un medico costruisce la propria carriera attraverso anni di studi e lavoro, sempre sotto la costante valutazione dei pazienti. La sua reputazione si costruisce lentamente, tramite il passaparola e la fiducia che riesce a instaurare. L’accusa di corruzione, quando arriva alla ribalta dei media, provoca danni irreparabili alla sua immagine professionale. Anche se poi le accuse si rivelano infondate, la fiducia dei pazienti subisce comunque un colpo. La percezione di una presunta mancanza di integrità rimane, influenzando negativamente la sua carriera, indipendentemente dall’esito finale del procedimento.
Questo accade soprattutto quando la notizia viene divulgata dai mass media, che, troppo spesso, non esitano a pubblicare dettagli sensazionali, senza alcun riguardo per la presunzione di innocenza. Lo scandalo, basato su ipotesi non ancora accertate, diventa un’opportunità per incrementare l’audience, mentre, quando l’accusa viene smentita, la notizia finisce relegata a una breve notizia, magari senza neppure il suo nome in evidenza, e senza alcuna attenzione mediatica.
Questo fenomeno, noto come “bias di conferma”, si verifica perché le notizie che confermano un’accusa sono più attraenti e suscettibili di catturare l’interesse del pubblico rispetto alle smentite o alle assoluzioni. Così, anche dopo l’archiviazione del caso, la notizia accusatoria continua a circolare nei media, sui social e sui motori di ricerca, alimentando il danno alla reputazione del medico. La “viralità” delle informazioni rende difficile, se non impossibile, cancellare la percezione negativa che si è consolidata.
Quando un medico viene accusato e sbattuto sulle prime pagine, non può reagire perché qualunque tentativo di difesa rischierebbe di essere interpretato come un’ammissione di colpa. La sua reputazione, costruita con fatica nel corso degli anni, si dissolve in un istante, mentre la gogna mediatica lo travolge. Non può rispondere alle accuse, non per nascondere la verità, ma perché sa che qualsiasi sua reazione potrebbe essere usata contro di lui.
Nel frattempo, cosa accade ai suoi familiari? Come reagiscono i suoi figli a scuola? Come vengono trattati la moglie o il marito sul posto di lavoro? È lecito chiedersi se coloro che pubblicano queste notizie con toni forcaioli amplificati da leoni da tastiera che commentano la notizia usando il computer come dei Troll la clava, si siano mai preoccupati delle ripercussioni umane e familiari di queste accuse infondate. Eppure, nessuno sembra ricordare che la presunzione di innocenza è un diritto sancito dalla legge.
“Più garanzie per chi è sotto inchiesta” viene spesso invocato dai mass media, ma la realtà è ben diversa. Quando un medico finisce sotto i riflettori, si attiva una vera e propria gogna mediatica. Dettagli della denuncia, verbali degli interrogatori, intercettazioni telefoniche — talvolta decontestualizzate — vengono diffusi senza pietà. La sua foto finisce in prima pagina, nei telegiornali e sui social, come se fosse già stato condannato. Ogni giorno vengono aggiunti nuovi particolari, spesso provenienti da fonti non ufficiali, amplificando la tragedia personale del medico e dei suoi familiari.
Ma chi si preoccupa della violazione dei diritti di difesa e della privacy di una persona accusata ingiustamente? Chi tutela la presunzione di innocenza? Chi si fa carico del danno irreparabile all’onore, alla serenità psicologica e alla reputazione di una persona innocente, che, fino a prova contraria, dovrebbe essere protetta? Il secondo comma dell’articolo 27 della Costituzione sancisce che l’imputato è considerato innocente fino a condanna definitiva. Purtroppo, troppo spesso si assiste a una mancanza di sensibilità da parte di tutti che, senza alcuna attenzione per le conseguenze, alimentano questa macchina del fango.
Il principio del diritto di cronaca non può giustificare il totale disprezzo per i diritti fondamentali della dignità della persona…