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di Marinella Ruggeri
Fin dall’inizio della pandemia medici e ricercatori si sono interrogati riguardo i motivi della differente espressività clinica dell’infezione da SARS-CoV-2 in età pediatrica.
I bambini ed i giovani di età inferiore ai 20 anni hanno infatti una suscettibilità a contrarre l’infezione pari a circa la metà rispetto agli adulti e, oltre ad essere molto spesso asintomatici, presentano quadri clinici comunque molto meno severi (e più spesso a carico del tratto gastrointestinale) con una prognosi nettamente migliore ed una letalità decisamente inferiore rispetto agli adulti.
Un gruppo italiano di ricercatori coordinati da Roberto Berni Canani, professore di Pediatria dell’Ateneo Federico II e Principal Investigator del CEINGE-Biotecnologie Avanzate, ha svelato la causa di queste differenze. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista “Frontiers in Pediatrics 2021 – Age-related differences in the expression of most relevant mediators of SARS-CoV-2 infection in human respiratory and gastrointestinal tract”
Gli studiosi hanno analizzato i campioni biologici ottenuti dalle alte vie del respiro e dall’intestino di bambini e adulti sani ed hanno dimostrato che una molecola, la Neuropilina 1, nel tessuto epiteliale nasale dei bambini è molto meno espressa.
Si tratta di un recettore in grado di potenziare l’entrata del virus SARS-CoV2 nelle cellule e la diffusione nell’organismo. La Neuropilina1 ha un ruolo cruciale nel consentire l’attacco al recettore ACE-2 con cui la proteina spike del Coronavirus si lega per entrare nelle cellule dell’ospite.
Rammentiamo che il virus SARS-CoV-2 fa parte dell’ampia famiglia dei Coronavirida.
I virioni, appartenenti a questa famiglia, hanno un diametro medio di circa 100-160 nm, sono pleiomorfi e rivestiti da pericapside. Sono così chiamati per la presenza, sul pericapside, di spicole molto evidenti che sembrano formare una “corona” intorno alla particella virale, nota anche come proteina SPIKE.
Le spicole sono proteine trimeriche transmembrana formate da tre unità identiche, dette protomeri. Ogni protomero comprende due subunità funzionali: una responsabile del legame recettore (ACE2), cellule bersaglio (S1) e un’altra coinvolta nella fusione con la membrane cellulare (S2). La proteina SPIKE è tagliata da proteasi cellulari, al confine tra le subunità S1 ed S2. Ciò genera due regioni separate che rimangono legate in modo non covalente nella cosiddetta “conformazione di pre-fusione”.
Una tra le proteasi cellulari coinvolte nell’ingresso del covid nelle cellule ospiti è la serin-proteasi TMPRSS2 (transmembrane protease-serine-2) che attacca l’unità S1 della proteina S virale. Grazie alla sua attività enzimatica, distacca la proteina S dall’unità S2 che, come le proteine di fusione del virus dell’influenza e dell’HIV-1, induce l’endocitosi dei virioni e catalizza la fusione tra le membrane cellulari e virali, assicurando l’ingresso dell’RNA genomico virale nel citoplasma della cellula ospite. Diversamente da altri Coronaviridae, come ad esempio SARS, il SARS-CoV-2 possiede una sequenza aggiuntiva di quattro amminoacidi al confine tra S1 ed S2, che consente una scissione efficace da parte della furina. Ed è proprio da qui che ha inizio lo studio combinato di due team di ricercatori internazionali, secondo cui la proteina SPIKE sarebbe in grado di sfruttare questa sequenza amminoacidica, per legarsi a un secondo recettore, la neuropilina-1 (NRP-1) che potenzia l’entrata del covid nelle cellule e la diffusione virale nell’organismo.
Questo rapido richiamo ai meccanismi utilizzati dal virus per infettare le cellule dell’organismo umano, ci forniscono le spiegazioni relative alla diversa espressione clinica che osserviamo nei bambini rispetto agli adulti.
Tuttavia l’attuale variante omicron appare molto contagiosa e a rapida diffusione, anche nei bambini.
L’espressione clinica si presenta come sindrome simil-influenzale con 11 sintomi a cui bisogna prestare attenzione: febbre, tosse, perdita di gusto e olfatto, alterazioni della pelle, mal di gola, sintomi gastrointestinali (come nausea o vomito), brividi, dolori muscolari, stanchezza, mal di testa, congestione nasale. A conferma di questi dati vi è il contributo di uno studio internazionale pubblicato su Pediatric Pulmonology ha dimostrato come nei bambini le principali caratteristiche cliniche siano sintomi lievi tra cui febbre (64%), tosse (35%) e naso che cola (16%). Nel 15% dei casi, invece, sono asintomatici.
L’affluenza ai vaccini dei bambini tra i 5 e gli 11 anni rimane del 20% ( 1 su 5). Il Presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale, Giuseppe Di Mauro lancia l’allarme, ribadendo che gli effetti collaterali sono vicini allo zero, e ricordando che la dose per i più piccoli è un terzo di quella somministrata agli adulti . I dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità dell’ultima settimana sono di 294 mila nuove infezioni tra 0 e 19 anni con 824 ospedalizzazioni di cui 400 mila tra i 5 e gli 11 anni . Pertanto proprio per la alta contagiosità anche se a bassa letalità, è opportuno VACCINARE anche i BAMBINI.
È stata l’Associazione Ospedali Pediatrici Italiani (AOPI) che riunisce le 15 realtà italiane più importanti nell’ambito delle cure dei più piccoli e dei giovanissimi, a inaugurare la scorsa settimana un sistema di monitoraggio dei pazienti Covid pediatrici ricoverati. Lo scopo è quello di fornire un quadro aggiornato, non solo dell’andamento dei ricoveri ma anche della gravità delle condizioni cliniche dei piccoli pazienti, così da raccogliere dati utili a individuare decisioni strategiche.
Stando ai primi dati raccolti nella giornata di lunedì 10 gennaio, nei principali ospedali pediatrici italiani erano 212 i bambini ricoverati e precisamente 192 nell’area medica e 20 nell’area intensiva.
Numeri che AOPI indica come superiori a quelli registrati nel corso delle precedenti tre ondate dell’epidemia e che dimostrano come adesso i bambini siano più colpiti dal virus rispetto al passato, anche se per fortuna, con sintomi lievi.
I dati raccolti da AOPI hanno messo in luce come il vaccino rappresenti di fatto una variabile significativa. Il 76% dei ricoveri in area medica tra i 5 e i 18 anni riguarda infatti pazienti non vaccinati, mentre il 69% dei ricoveri in terapia intensiva dei piccoli fino a 4 anni interessa bambini che hanno genitori non vaccinati. Nello specifico, su 13 piccolissimi ricoverati in terapia intensiva o sub intensiva, ben 9 hanno genitori non vaccinati.
Come si spiega , in questa fase, e con Omicron, una così alta contagiosità nei bambini, quasi smentendo gli studi precedenti?
La Dott.ssa Elena Bozzola, Segretario Nazionale della Società Italiana di Pediatria e Pediatra Infettivologo presso l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, spiega che Omicron è una variante molto più contagiosa, anche se meno aggressiva, e si diffonde con più facilità rispetto all’Alfa e alla Delta
Il rischio di contagio per i bambini è maggiore molto probabilmente perché attualmente i piccoli sono la fascia che ha una copertura vaccinale minore. Mentre più dell’85% della popolazione over 12 anni ha completato il ciclo vaccinale, per quanto riguarda i bambini, i numeri sono sicuramente più bassi, soprattutto in alcune regioni. Circa il 24% ha ricevuto infatti almeno una dose e solo il 4% ha completato il ciclo vaccinale nella fascia 5-11 anni. SARS-CoV-2 è purtroppo un virus molto intelligente che, quando si trova davanti un muro rappresentato da un soggetto vaccinato, va a colpire quelli che non sono vaccinati e quindi anche i bambini. Questo spiega l’allarme generalizzato che arriva dalle varie strutture ospedaliere, in modo particolare quelle pediatriche, in cui molti reparti sono stati convertiti in reparti Covid per far fronte a una pressione semprepiù crescente di ricoveri di bambini».
Per i genitori con bambini sopra i 5 anni, invece, la raccomandazione della Società Italiana di Pediatria resta quella di farli vaccinare quanto prima anche per evitare i rischi connessi all’infezione da Covid-19.
«Oltre al cosiddetto Long Covid che riguarda anche i piccoli, dobbiamo ricordare che ricoveriamo anche bambini che, a distanza di tempo, sviluppano la sindrome infiammatoria multisistemica, la Mis-C – sottolinea ancora la Dottoressa Bozzola – Una sindrome che può interessare anche bambini che non hanno patologie pregresse, in genere tra i 6 e i 12 anni, con maggiore frequenza intorno ai 9 anni, e coinvolgere anche quelli che magari hanno avuto il Covid in forma asintomatica o comunque con manifestazioni molto blande. Nel 70% dei casi, i bambini affetti da Mis-C necessitano il ricovero in ospedale».
L’aumento dei contagi di questo periodo tra i bambini, tuttavia, porta i genitori ad avere qualche timore anche circa il vaccino. Se un bambino fosse positivo senza saperlo sarebbe rischioso sottoporsi al vaccino? E se avesse già contratto il Covid in passato in forma asintomatica? Molti si chiedono, per questo, se sia necessario procedere con un tampone preliminare o un test sierologico prima del vaccino.
«Qualora il bambino avesse avuto il Covid in maniera del tutto asintomatica non ci sarebbe alcun problema a sottoporsi al vaccino – chiarisce il Segretario Nazionale SIP – Per quanto riguarda il test sierologico poi gli anticorpi hanno un limite di affidabilità molto basso: è utile sapere piuttosto che anche chi ha contratto il Covid può essere sottoposto al vaccino».
Per i bambini che hanno contratto il Covid restano valide quindi le stesse indicazioni date agli adulti: ovvero sottoporsi al vaccino a distanza di almeno tre mesi, preferibilmente intorno ai 6 mesi. Se il vaccino viene fatto entro l’anno dall’infezione, basta una dose sola, a distanza di più di un anno è necessario invece un ciclo vaccinale completo.