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Covid e antidepressivi

Covid e antidepressivi

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di Marinella Ruggeri

Era già noto che i pazienti con malattia SARS-Cov-2 , insieme alla sintomatologia più comune, potessero  presentare , anche, alterazioni del tono dell’umore, e, in taluni casi,  sia stato necessario prescrivere loro, una terapia con  inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina ( SSRI) .

Il frequente  sviluppo di disturbi del tono dell’umore, dovuti alla paura della malattia, all’isolamento forzato, e a tutte le conseguenze psichiche che ne derivano, ha riguardato tutte le fasce di età, e si è caratterizzato per la comparsa di  uno stato di angoscia  e di disadattamento , con turbe del sonno, e , con un malessere di entità tale, da  non riuscire a migliorare con il supporto psicoterapeutico isolato, rendendo necessario, un intervento farmacologico che spesso, è stato scelto forzatamente, senza la certezza di operare al meglio.

Quello che però non si sapeva, e che nel tempo si è confermato,  è stato scoprire che la prescrizione di tali farmaci, avrebbe apportato benefici che vanno oltre i disturbi del tono dell’umore, e che riguardano direttamente la malattia da COVID-19 con riduzione significativa della mortalità e  con miglioramento dell’ outcome.

A convalidare, questa evidenza, arriva la pubblicazione di uno studio su “JAMA Network Open” effettuato sui database delle cartelle cliniche elettroniche relative a 490.373 pazienti con COVID-19 in 87 centri sanitari , tra questi, a  3401 pazienti erano stati prescritti  SSRI .

 I risultati dimostravano, in particolare, che coloro che avevano assunto fluoxetina avevano 28% in meno di probabilità di morire, e quelli che assumevano  fluvoxamina avevano 26% in meno di probabilità, rispetto a coloro che non assumevano questi farmaci.

Pur trattandosi di uno studio aperto,  in fase di ulteriore ricerca , che si propone di trovare quale sia il meccanismo etiopatogenetico che risponde con tale efficacia significativa, a questa categoria di farmaci, è presumibile   già formulare delle ipotesi

Gli SSRI hanno proprietà antinfiammatorie, riducono l’aggregazione piastrinica, ,riducono l’attivazione e degnanulazione dei macrofagi, interferiscono con il traffico virale endolisosomiale e hanno proprietà antiossidanti.

Numerose pubblicazioni scientifiche, negli anni passati, ne suggeriscono l’utilizzo in fase post -IMA e post-STROKE, proprio per la loro indiscutibile efficacia nel favorire il recupero clinico e riabilitativo di tali soggetti, a conferma delle loro proprietà pleiotropiche.

A mio parere, queste riflessioni, dovrebbero indurci al loro utilizzo, anche, per ridurre l’evoluzione del COVID nelle sequele che, sempre più di frequente, si stanno evidenziando, e che riguardano la sintomatologia dei soggetti affetti da LONG-COVID, sui quali, si sta già lavorando con diverse strategie terapeutiche che comprendono anche gli SSRI, per la risultanza sulla ripresa psichica e cognitiva,. E’ presumibile che un loro intervento, nelle fasi più precoci della malattia, potrebbe ottenere risposte più efficaci, al fine di evitare l’instaurarsi di alcune cronicità che, quando diventano  strutturate, rispondono ,  tanto più lentamente, quanto più tardivamente vengono trattati in maniera adeguata.