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De Nihilo Nihil

De Nihilo Nihil

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a cura di Giuseppe Iannelli

Riflessioni multi-tematiche…fatte dalla prospettiva di un presente “sicuro” di aver migliorato il suo passato ma “incerto” sulle prospettive del suo futuro.

Ma è sicuro che in Paradiso ci va “solo” la classe operaia come avviene nel film neorealista di Elio Petri?  
Vediamo che è successo qualche anno fa!
Nell’aprile 1963, dopo il famoso discorso alla luna e poco prima di morire, Giovanni XXIII lanciò all’umanità il suo appello alla pace scrivendo la “Pacem in Terris”.
Il mondo viveva sulla lama del rasoio di un cataclismatico conflitto mondiale.
Erano gli anni della guerra fredda tra Usa e URSS.
Nell’Enciclica il Santo Papa parlava di “via del buon senso”, incitava alla presa di coscienza del valore dell’uomo, al rispetto della sua totalità di essere umano, applaudendo nel contempo ai progressi della scienza e della tecnica.
Asseriva che esse erano le armi che Dio aveva dato agli uomini per scoprire l’ordine stabilito nell’universo e con esse creare gli strumenti idonei per impadronirsi delle  forze in esso operanti e metterle al suo servizio.
I medici lessero “motu proprio” l’Enciclica.
Mentre i nuovi Caino si uccidevano per accaparrarsi il potere politico, gli scambi commerciali divenivano pletorici e più che vertiginoso lo sviluppo su scala internazionale della produzione industriale, essi (i medici) fecero una quantità altrettanto “industriale” di scoperte che, però, andavano “contro corrente”.
Intanto scoprirono che il cuore poteva essere trasposto da un uomo ad un altro senza necessità alcuna di scambio commerciale o peggio ancora di programmazione politica: bastavano solo un cardio-patico grave, un cardio-sano passato a miglior vita, una compatibilità tessutale tra i due, ed un atto di “concessione” tra le due parti avvallato dai parenti del trapassato.
Insomma una questione che si risolveva in quattro e quattr’otto senza pompe magne, sedie o peggio tavoli politici loco-regionali o internazionali e beneplaciti manageriali.
Proprio mentre i pazzi “veri” continuavano a cospargere il mondo di lordure ed esternavano le loro pulsioni animali con  sanguinosi eccidi “di piazza” che sostituivano una “personale” libertà ad un’altra altrettanto tale, proprio in quegli anni i medici decisero qualcosa di “scandaloso”.
Gridarono al mondo che gli ammalati psichici, fino ad allora serviti ad esorcizzare e “purificare” la follia del consesso umano, vittime sacrificali del ben-pensare e di atavici preconcetti medievali, gridarono al mondo che quegli sventurati, ammalati “dentro”, non andavano più segregati “a vita” in maleodoranti e tombali strutture di “contenimento”.
Il messaggio era sconvolgente, forte, ai limiti dello scandalo: distruggiamo quelle “gabbie” e ridiamo loro la libertà!
Molti pensarono di doverci chiudere loro, i medici, nei manicomi ma quelli eroicamente andarono oltre lo scandalo.
Non  soltanto “liberati”, quei poveri “cristi” dovevano essere “curati” e “risocializzati” senza più l’uso di scosse elettriche bensì attraverso una catena di solidarietà assistenziale basata su farmaci rivoluzionari, moderne strategie di supporto psichico e coraggiosi tentativi di reinserimento sociale e ove possibile lavorativo.
La loro credibilità subì un tracollo quando si permisero di affermare che il “nucleare” non serviva solo ad uccidere o determinare gravi neoplasie (Hiroshima ndr) ma che anche, con opportuni adattamenti, si poteva usarlo per combattere il cancro.
Scoprirono che alcuni principi attivi naturali (daunomicina ndr) servivano allo stesso scopo e che c’era una “via Immunitaria” che portava diritto alla possibile soluzione del problema.
Passavano giornate e vite intere dentro i laboratori di immuno-isto-chimica e immunologia bio-nucleare, in qualche caso anche morendoci ma tenendo fuori da quelle stanze chiunque intendesse farne oggetto di lucro.
L’unica cosa che mendicavano ai ricchi, ai potenti e ai politici era una manciata di denaro pubblico, una sporta di quelle “evangeliche” briciole che cadevano dalla tavola del ricco per sfamare il povero.
E i risultati di quel sacrificio e di quella testardaggine sono, a distanza di qualche decennio, evidenti.
Quegli imbelli di medici stanno per sconfiggere il cancro lasciando con un palmo di naso tutti quelli che si son rosi e continuano a rodersi il fegato per non essere riusciti a intrigarsi ben bene di queste faccende.  
Più rifletto e più mi martella in testa un pensiero: non saranno stati, per caso, loro, i medici, ad aver usato sempre la via del buon senso con buona pace di san Giovanni Ventitreesimo?
Diverse considerazioni me lo fanno pensare e le elenco per amor di chiarezza:
Non hanno mai contribuito a tracciare sul mappamondo linee simili a novelli “valli romani”.
Non hanno mai perorato la costruzione di muri lungo quelle stesse linee a dividere chi voleva essere libero di pensare in modo diverso.
Non hanno mai barattato l’essenza delle cose reali con beni o prodotti di benessere inutili e superflui (gli satus symbol la cui produzione dalla moda all’industria automobilistica fino all’etica del comportamento non ha mai subito da allora alcuna flessione).
Non hanno mai guardato esclusivamente al profitto come tutta la mala razza di farabutti e profittatori, faccendieri della politica e dell’industria, amano fare.
Nell’ apatos esistenziale dilagante di quei tempi in cui Rosso o Nero che fosse, qualcuno pensò di organizzare feste con “spari e mortaretti” in luoghi pubblici come piazze, atri universitari o banche, essi furono gli unici a sopportare con stoica dedizione il patos della loro professione senza vestire insegne di alcun colore.
In sintesi.
In quel verminaio di idee deliranti, fummo gli unici a mantenere la testa sulle spalle, quasi insensibili alle nuove atmosfere politiche e sociali, resi tali dai lunghi respiri scientifici che non lasciavano tempi o spazi mentali (anche minimi) che potessero contenere simili idiozie ideologiche ed esistenziali!
Avendo giurato su Esculapio la disponibilità totale alla sofferenza, fummo “intellettualmente” solidali e ossequienti dei magistrali orientamenti per la vita che venivano dal Vaticano.  
Tutte le categorie intellettuali (la nostra in testa) furono definite “laiche” un aggettivo che ci etichettava come appestati senza cuore da evitare pena la diffusione del contagio.
Eppure i dettami della “Pacem in Terris” giovannea e della “Tempi Nuovi” paolina ci trovarono in sintonia già “ab origine”.
Noi medici eravamo assolutamente pre-integrati mentalmente e operativamente sul rispetto dell’uomo nella sua globalità di materia e psiche.
Per concludere vorrei ricordare che fummo noi, i medici, i laici senza cuore, sempre in quegli anni, a divenire artefici della campagna di liberazione da quell’altra sciagura in cui i valori e il malessere dell’uomo vengono inglobati assieme, incenerendosi i primi e amplificandosi i secondi.
Si, noi e solo noi, compatti, abbiamo avviato la lotta alla droga e continuiamo a combattere questo fenomeno destabilizzante nei cui vortici vengono trascinati, sempre e solo per lucrarci sopra, quanti hanno da supplire a vuoti esistenziali o mal di identità.    
Solo sulla vertenza aborto la classe medica in quegli e in questi anni “difficili” si è spaccata.
Sul problema dell’aborto, nei “settanta” riconosciuto  diritto civile, non siamo stati compatti.
Non potevamo esserlo, non è un problema medico, è una questione “morale”.
E da buoni laici ci siamo lasciati liberi di fare ognuno la sua scelta in base alla propria sensibilità;. d’altronde “deficere est ius gentium”, è un diritto dell’uomo “anche” non essere ragionevole!
Ma a memoria d’uomo, vi risulta che un medico abbia mai scagliato bombe in mezzo a gente innocente, ucciso politici o intelligenze universitarie, consigliato di soggiornare al di qua o al di là di un muro o prescritto “terapie” politiche?
Io ritengo proprio di no!
E allora… nella fitta nebbia oltre il “muro”che il vecchio pazzo del film di Petri prende a testate scoprendo un “Paradiso” fatto di fumi artificiali in cui ritroviamo l’eroico protagonista alienato dal lavoro e tutti gli operai sfruttati di una fabbrica, in quel Paradiso o in quello vero, insomma, chi ci va?
Di sicuro non i politici, i padroni, i criminali della droga e della prostituzione o i terroristi. E allora chi?
Ci vanno davvero solo i Militina e i Lulù di Petri, i poveri, gli emarginati sociali, gli operai sfruttati, i combattenti del salario contro il sistema che produce, gli appartenenti a minoranze poco o niente riconosciute a caccia di un reddito di “sopravvivenza” o meritano di starci anche gli “eroici” medici che non hanno chiesto mai nulla a qualsiasi sistema se non gli spazi e i mezzi per “produrre”, tra sudori, fatiche e rinunce non indifferenti, salute e vita, accontentando Papi, Statisti e Ammalati?!