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di REBECCA DE FIORE (PENSIERO SCIENTIFICO EDITORE)
***AGGIORNAMENTO DEL 05 AGOSTO 2022***
Il vaiolo delle scimmie è un virus trasmesso all’uomo dagli animali (in termini tecnici si definisce “una zoonosi virale”) che causa sintomi simili a quelli osservati in passato nelle persone che si ammalavano di vaiolo (malattia eradicata nel 1980), ma clinicamente meno grave [1]. Esattamente un anno fa, il 25 maggio 2021, il Regno Unito aveva notificato all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) un caso di vaiolo delle scimmie confermato in laboratorio. Il paziente era arrivato in Gran Bretagna l’8 maggio 2021 dopo aver vissuto e lavorato nello stato del Delta, in Nigeria [2].
Una più intensa frequenza di casi è stata registrata nel maggio 2022: come leggiamo nella pagina dedicata alla malattia sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), “sono stati segnalati alcuni casi in Portogallo, Spagna, UK e Italia, finora maggiormente in giovani maschi che fanno sesso con maschi” [3]. Questa puntualizzazione da parte di ISS ha destato qualche perplessità sia per il rischio di indurre una stigmatizzazione, sia perché quella sessuale non è l’unica modalità di trasmissione.
Il Centro Europeo per il Controllo delle Malattia (ECDC) ha attivato un sistema di allerta a livello europeo al quale partecipa l’ISS. Inoltre, l’ISS ha costituito una task force composta da esperti del settore e ha contattato le reti sentinella dei centri per le infezioni sessualmente trasmesse al fine di monitorare continuamente la situazione nazionale [3].
Il 23 luglio, il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato il vaiolo delle scimmie una “emergenza sanitaria globale”. La dichiarazione costituisce il più alto livello di allerta globale per la salute pubblica da parte dell’OMS. Il Direttore generale ha anche emesso alcune raccomandazioni temporanee per aiutare i paesi a combattere l’epidemia e tenerla sotto controllo [9].
Il vaiolo delle scimmie è una malattia nuova?
No, non è una malattia nuova. Il vaiolo delle scimmie umano è stato identificato per la prima volta nel 1970 nella Repubblica Democratica del Congo, in una regione in cui il vaiolo era stato eliminato nel 1968, in un bambino di nove anni. Da allora, la maggior parte dei casi è stata segnalata da regioni rurali della foresta pluviale del bacino del Congo, dove è considerata endemica. Sempre l’OMS spiega che – prima dei casi segnalati nel maggio 2021 – dal 1970 sono stati segnalati casi umani di vaiolo delle scimmie da undici Paesi africani: Benin, Camerun, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Gabon, Costa d’Avorio, Liberia, Nigeria, Repubblica del Congo, Sierra Leone e Sudan del Sud. Nel 2017 la Nigeria ha sperimentato il più grande focolaio documentato, quarant’anni dopo l’ultimo caso confermato.
Volendo avere un quadro sintetico della dimensione del problema, possiamo dire che nel periodo dal primo gennaio 2020 al primo maggio 2022 nella Repubblica Democratica del Congo sono stati registrati un totale di 10.545 casi (sospetti) e 362 decessi dovuti a vaiolo delle scimmie. Nel 2022, fino all’inizio del mese di maggio, la Repubblica Democratica del Congo ha riportato 1238 casi con 57 decessi [4].
Si tratta di una malattia diffusa solo nel continente africano?
In alcune occasioni, il virus è stato isolato fuori dall’Africa. “Nella primavera del 2003 sono stati confermati casi di vaiolo delle scimmie negli Stati Uniti d’America. È stato riferito che la maggior parte dei pazienti aveva avuto un contatto con cani della prateria usati come animali da compagnia infettati da roditori africani che erano stati importati dal Ghana” [1]. Di recente, casi di vaiolo delle scimmie sono stati segnalati in Israele nel settembre 2018, nel Regno Unito a settembre 2018 e dicembre 2019, e a Singapore nel maggio 2019.
Come si trasmette la malattia?
Di solito la malattia si trasmette tramite il contatto con sangue o liquidi corporei di animali infetti. “La trasmissione secondaria, o da uomo a uomo, è relativamente limitata. L’infezione può derivare da uno stretto contatto con secrezioni respiratorie, lesioni cutanee di una persona infetta od oggetti recentemente contaminati. La trasmissione attraverso le particelle respiratorie delle goccioline di solito richiede un contatto faccia a faccia prolungato, il che mette a maggior rischio il personale sanitario oppure i membri della famiglia dei casi attivi. La catena di trasmissione più lunga documentata in una comunità è stata di sei infezioni successive da persona a persona. La trasmissione può avvenire anche attraverso la placenta dalla madre al feto (vaiolo delle scimmie congenito)” [1].
Come ci si accorge di essere contagiati?
Il periodo di incubazione (l’intervallo tra l’infezione e l’insorgenza dei sintomi) del vaiolo delle scimmie è generalmente compreso tra 6 e 13 giorni, ma può variare da 5 a 21 giorni.
L’infezione può essere suddivisa in due periodi: inizialmente (dall’inizio a cinque giorni) si manifestano febbre, forte mal di testa, gonfiore dei linfonodi (linfoadenopatia), mal di schiena, dolore muscolare e un’intensa mancanza di energia (astenia). La linfoadenopatia è una caratteristica distintiva del vaiolo delle scimmie rispetto ad altre malattie che inizialmente possono apparire simili (varicella, morbillo, vaiolo).
Sempre secondo l’OMS, l’eruzione cutanea di solito inizia entro tre giorni dalla comparsa della febbre e tende a essere più concentrata sul viso e sulle estremità piuttosto che sul tronco. Colpisce il viso (nel 95% dei casi), i palmi delle mani e la pianta dei piedi (nel 75% dei casi). Possono essere colpite anche le mucose orali (nel 70% dei casi), i genitali (30%) e le congiuntive (20%), oltre alla cornea. L’eruzione cutanea evolve in sequenza da macule (lesioni con una base piatta) a papule (lesioni solide leggermente rialzate), vescicole (lesioni piene di liquido trasparente), pustole (lesioni piene di liquido giallastro) e croste che si seccano e cadono. Il numero delle lesioni varia da poche a diverse migliaia.
Come si cura il vaiolo delle scimmie?
Il vaiolo delle scimmie è solitamente una malattia che si risolve da sola, con sintomi che durano da due a quattro settimane. I casi gravi si verificano più comunemente tra i bambini e sono correlati all’entità dell’esposizione al virus, allo stato di salute del paziente e alla natura delle complicanze. Le complicanze del vaiolo delle scimmie possono includere infezioni secondarie, broncopolmonite, sepsi, encefalite e infezione della cornea con conseguente perdita della vista [1].
Chi era stato vaccinato da piccolo con l’antivaiolosa è protetto dal vaiolo delle scimmie?
Al momento attuale è difficile rispondere con certezza a questa domanda. Da una parte, un medico epidemiologo esperto come Pier Luigi Lopalco scrive che “la vaccinazione contro il vaiolo che quelli della mia età hanno fatto da bambini non è efficace nel prevenire la malattia” [5], precisando però su Twitter che anche il vaccino un tempo utilizzato potrebbe essere utile a fini preventivi in quanto “una vaccinazione recente ma eseguita in ritardo riduce la gravità della malattia”, sebbene non impedisca il contagio. È dunque ragionevole pensare che le persone a suo tempo sottoposte a vaccinazione abbiano un certo grado di protezione contro il vaiolo delle scimmie. Una revisione sistematica della letteratura pubblicata nel 2020 ha trovato che nell’80-96 per cento dei casi le persone contagiate dal virus del vaiolo delle scimmie non erano vaccinate [6]: è un dato interessante ma che non permette di trarre conclusioni sicure perché la malattia è diffusa prevalentemente in Africa dove, anche a causa della durata media della vita più breve, la percentuale di popolazione vaccinata contro il vaiolo è ormai molto piccola.
In ogni modo, “ci aspetteremmo che gli individui a suo tempo vaccinati potrebbero potenzialmente soffrire una forma più lieve di malattia” ha scritto una tra le più preparate giornaliste scientifiche del mondo a margine di un’intervista a un ricercatore dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie. Aggiungendo che “ancora una volta, questo è qualcosa che non è stato ancora possibile chiarire valutando il caso di chi era stato vaccinato cinquanta o sessanta anni fa” [7].
Insomma Dottore, dobbiamo preoccuparci?
Noi cittadini possiamo non preoccuparci perché sappiamo che le grandi istituzioni sanitarie internazionali si stanno – loro sì – preoccupando. “Stiamo trovando dove stiamo cercando”, ha detto con realismo Maria Van Kerkhove, responsabile per l’OMS dello studio delle zoonosi e delle malattie emergenti. Van Kerkhove ha sottolineato come sia stata già diffusa un’allerta a tutti i sistemi sanitari sollecitando la sorveglianza riguardo pazienti che presentino eruzioni cutanee insolite. “È importante” ha aggiunto “che gli operatori e le operatrici sanitarie – medici di medicina generale e dermatologi in primo luogo – siano consapevoli della possibilità di riscontrare casi di vaiolo delle scimmie così che, se il virus si stesse diffondendo in modo più ampio, possano essere prese precauzioni adeguate, e anche i contatti di quei casi siano tracciati e monitorati” [8].
(Fonte: dottoremaeveroche.it)