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Due delle 19 persone mai trattate sono risultate positive ad anticorpo e carica virale
Si è concluso ‘Comunità Zero C’, progetto pilota di screening dell’epatite C rivolto alle Comunità terapeutiche e organizzato dal provider Letscom E3, con il contributo incondizionato di AbbVie. L’iniziativa è partita dal Piemonte, più precisamente dalla città di Biella e, come ha spiegato il dottor Lorenzo Somaini, Direttore SC Ser.D., ASL di Biella, “i risultati di questa campagna di screening sono molto interessanti. Abbiamo screenato 30 ospiti delle tre strutture afferenti alla comunità ‘Il Punto’ a Bioglio- ha detto- dove abbiamo trovato alcuni pazienti che erano già stati trattati per l’epatite C e tra questi non abbiamo trovato reinfezioni. Invece, nei 19 che non erano mai stati trattati abbiamo trovato due casi di pazienti non solo positivi all’anticorpo ma positivi alla carica virale e quindi meritevoli di un trattamento per l’eradicazione del virus. Come prosecuzione di questo progetto, questi due pazienti verranno inviati al nostro centro di riferimento, e sfruttando la loro permanenza nella comunità terapeutica, verranno trattati con le attuali terapie che portano a una guarigione del 98% dei casi”. Il Ser.D. di Biella progetta ed attua interventi multidisciplinari di prevenzione, cura e riabilitazione delle dipendenze patologiche e malattie correlate anche in collaborazione con il Privato Sociale. “Questo- ha poi aggiunto il dottor Somaini- è un esempio virtuoso di progetto che, senza incrementare i costi di gestione, permette di avere una sensibilità e soprattutto un’attenzione particolare anche ai pazienti inseriti nelle strutture terapeutiche come luogo per poter fare la cura e l’eradicazione dell’epatite C”.
Tra gli obiettivi di ‘Comunità Zero C’ figurano la sensibilizzazione delle Comunità terapeutiche alla pratica di screening per contribuire alla ricerca del sommerso ed eliminazione del virus C, l’attivazione di un programma di screening di primo livello direttamente nelle strutture residenziali con il supporto di un team sanitario qualificato (medico e/o infermiere) e l’attivazione di un network fra la Comunità selezionata, il Servizio Dipendenze locale e il Centro di riferimento per la cura del virus C, finalizzato alla corretta gestione del processo di diagnosi, cura e follow-up per i pazienti. In Italia, secondo l’ultima Relazione Annuale al Parlamento, sono 932 le strutture riabilitative con una capienza complessiva di ospitalità per 13.829 utenti. Nel 95% dei casi, queste strutture sono gestite da Enti del Privato Sociale accreditato e l’87% è rappresentato da strutture residenziali. Nella Regione Piemonte le Comunità terapeutiche sono circa 60 e ogni anno vi afferisce una utenza media di circa 850 pazienti. Così come la popolazione ambulatoriale Ser.D., anche i soggetti presi in esame dal progetto, dalla popolazione carceraria, caratterizzata da forti rischi di esposizione al contagio di contrarre il virus HCV anche a seguito di attività di tatuaggio, alle persone senza fissa dimora che utilizzano materiali iniettivi non sterili, possono non aver avuto accesso a programmi di screening per HCV e, quindi, rappresentare una ulteriore ‘fetta’ di persone con alto rischio di avere una epatite in corso.
Per dare vita al progetto pilota ‘Comunità Zero C’, il provider Letscom E3 ha intrapreso uno studio di fattibilità e una analisi del contesto sul territorio del Piemonte, che ha portato alla collaborazione con la Cooperativa Sociale ‘Il Punto’ e con le sue tre sedi di Bioglio, Ivrea e Biella. Parlando del bacino di utenza delle comunità terapeutiche sul territorio locale, legato all’emersione del sommerso, il dottor Daniele Carraro, responsabile dei Programmi della Cooperativa Sociale “Il Punto” Onlus di Biella, ha informato che “il bacino, nella provincia biellese, è abbastanza contenuto. Abbiamo tre strutture su questa provincia per circa 70 posti letto e poi un’altra piccola struttura con circa 20 posti letto. Più interessante è la regione Piemonte, che ha 1.280 posti letto nelle strutture terapeutiche residenziali”. “Il valore aggiunto del progetto – ha inoltre affermato – è ovviamente quello di permettere di monitorare una popolazione che, altrimenti, difficilmente viene intercettata. E quindi, nel momento in cui invece noi li abbiamo stabili nelle strutture, riusciamo ad attivare sia tutta la fase di valutazione di monitoraggio della patologia sia il suo trattamento e questa è un’altra parte importante”.
L’Ambulatorio di Epatologia della Struttura Complessa Medicina Interna – ASL di Biella collabora da anni in percorsi comuni anche con le realtà citate per la cura dell’Epatite C, in un’ottica di sensibilizzazione e linkage to care delle popolazioni ad alto rischio.Il dottor Paolo Scivetti, Dirigente Medico, SOC Medicina Interna, Ambulatorio di Epatologia, Ospedale degli Infermi di Biella, ha acceso i riflettori sull’attuazione del Piano Nazionale di screening sul territorio locale. “A Biella- ha reso noto- abbiamo attivato un nuovo modello assistenziale per lo screening dell’epatite C, che è un grande problema e ha una grossa ricaduta sul sistema sanitario. È inoltre ampiamente documentato che la prevenzione della malattia è il modo migliore per risparmiare salute e soldi. A Biella ci siamo concentrati su realtà particolari, come quelle delle carceri e degli utenti Ser.D., di pazienti che per limiti di età possono rientrare nello screening”. “Quello che abbiamo fatto in questo progetto- ha concluso- è andare in una comunità più piccola per fare una ricerca paziente per paziente, utente per utente, di chi avesse l’epatite C, e di portare subito al trattamento quei pazienti risultati positivi all’epatite C. È un modello organizzativo nuovo, che sicuramente può essere trasferito in altre aree. Da noi ha funzionato bene”.
La partecipazione a ‘Comunità Zero C’ di tre ‘attori’ come la Cooperativa Sociale ‘Il Punto’, il Dipartimento Interaziendale Patologia delle Dipendenze – Ser.D. di Biella e l’Ambulatorio di Epatologia della Struttura Complessa (SC) Medicina Interna – ASL di Biella garantisce al progetto stesso un valore aggiunto, attivando una sinergia che intende stringere le maglie per contenere la diffusione del virus C e aumentare l’emersione del sommerso. Il progetto pilota getta certamente le fondamenta per costruire ulteriori attività future su tutto il territorio nazionale in favore delle Comunità terapeutiche, chiamate a dare assistenza fisica e mentale a soggetti portatori di gravi criticità fisiche ed ambientali come carcerati e senzatetto.