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di MARIA FREGA (PENSIERO SCIENTIFICO EDITORE)
Si chiamano ultra-processati (o UPF, da ultra-processed food) quegli alimenti trasformati, elaborati dall’industria alimentare: non apportano sostanze nutritive, abbondano di zuccheri, sali, grassi, conservanti e altre sostanze che ne esaltano il sapore e l’aspetto. Non basta evitare fast food, merendine ad alto indice glicemico e bevande gassate per garantirsi una dieta sana. Sono UPF anche moltissimi cibi venduti nei reparti freschi, vegani, fitness dei supermercati. Cibi che fanno male alla salute, secondo diversi studi.
Gli ultimi due studi sull’argomento sono stati presentati al recente congresso della Società Europea di Cardiologia. Analizzano la relazione tra i cibi ultra-processati e il rischio di malattie cardiovascolari, considerando varie patologie dall’ipertensione all’infarto. La prima ricerca, compiuta in Australia, ha seguito 10mila donne fra i 46 e i 55 anni per 15 anni, monitorando le abitudini alimentari e i dati clinici. Risultato: coloro che consumavano una maggiore quantità di UPF avevano un rischio superiore del 39% di diventare ipertese rispetto a donne che seguivano una dieta più sana [1].
Lo studio condotto da ricercatori cinesi, invece, è una meta analisi su un grande gruppo di uomini e donne, oltre 325mila. Con il termine “meta analisi” si intende uno studio che analizza, valuta e sintetizza quantitativamente tutti gli studi condotti in passato su un argomento. In questo caso, per i consumatori abituali di UPF il rischio di subire infarti, angina o ictus aumenterebbe del 24%; mentre, per coloro che inserivano meno del 15% di UPF nella dieta, le probabilità di rischiare patologie cardiovascolari erano più basse (15%) [2].
Dottore, i cibi ultra-processati possono causare infarto e ictus?
Secondo i dati riportati in questi due ultimi studi sì, il rischio esiste. Bisogna dire che si tratta di anticipazioni di studi non ancora pubblicati: in altre parole, non è stata ancora completata la revisione dei risultati. Sono premesse, tuttavia, che tengono alta l’attenzione su un tema che già da tempo è sotto il mirino della ricerca scientifica. Lo è anche perché il consumo di alimenti ultra-processati è in costante aumento.
Quanti cibi ultra-processati si consumano in media?
Nel Regno Unito, per esempio, nel 2019 è stato rilevato che gli UPF costituiscono quasi il 57% della dieta media. Tale quota aumenta fino all’80% tra i bambini e nelle classi sociali più povere. Sono numeri impressionanti ma relativi a un Paese che si colloca al primo posto in Europa per consumo di prodotti trasformati [3].
L’Italia è legata a un regime alimentare diverso: la dieta mediterranea. Il nostro consumo medio giornaliero di ultra-processati non supera il 6% [4]. Le abitudini alimentari, però, stanno cambiando rapidamente. Lo dimostra anche un’ampia ricerca dell’Istituto Neurologico Mediterraneo che ha seguito per 12 anni lo stato di salute e le scelte compiute a tavola di oltre 24mila persone in Molise. L’assunzione di UPF, secondo i risultati di questo studio, è legata alla mortalità, specialmente in individui affetti da malattie cardiovascolari. Il principale indiziato è lo zucchero, ma grandi responsabilità sono a carico dei processi di lavorazione industriale che alterano gli ingredienti naturali [5, 6].
Nessun alimento della dieta mediterranea è ultra-processato?
Effettivamente è così, perché vi sono incluse prevalentemente materie prime, come verdure, legumi, pesce, carni, cereali. Per questo è il modello alimentare più compatibile con uno stile di vita salutare, capace di prevenire malattie cardiovascolari, diabete, obesità e persino alcuni tipi di tumori [7].
Sappiamo però che ogni giorno consumiamo alimenti industriali, per comodità, perché abbiamo fretta e anche per gusto. Per orientarci meglio, proviamo a suddividere il cibo in tre grandi gruppi:
Gli alimenti integrali non trasformati, cioè quelli citati nella dieta mediterranea;
Gli alimenti trasformati, che comprendono formaggi, verdure, legumi e cereali conservati, carne processata (salumi, insaccati);
Gli alimenti ultra-processati, caratterizzati da sostanze che non hanno valore nutrizionale: coloranti, zuccheri aggiunti, sali, grassi saturi, amidi, conservanti. E sono generalmente privi delle benefiche fibre e vitamine [8].
Bastano queste categorie per riconoscere un cibo ultra-processato?
L’aspetto sicuramente conta ed è evidente nel cosiddetto “cibo spazzatura”. Panini del fast food, snack confezionati zuccherati o salati, salse, bibite gassate o energetiche, piatti pronti e surgelati, zuppe precotte sono UPF.
Un ulteriore indizio lo troviamo sulle etichette: più sono lunghe e piene di nomi indecifrabili, più è probabile che si tratti di un cibo molto processato. Con questo accorgimento possiamo anche evitare di essere allettati da prodotti pubblicizzati come dietetici o salutari che non lo sono affatto (nella scheda “Le etichette degli alimenti possono essere molto utili?” spieghiamo come leggere un’etichetta).
Dottore, quindi anche un semplice yogurt può essere ingannevole?
È giusto chiedersi se uno yogurt, così come i mix di cereali o le barrette per la colazione, le bevande per sportivi e i succhi di frutta, siano “semplici”. Le diciture “senza zucchero” o “zero latte/uova/burro” non escludono la presenza di additivi inutili, e dannosi se diventano prevalenti nella dieta quotidiana.
Occorre quindi fare attenzione anche ai menu proposti con insistenza dai cuochi e dai personal trainer sui social network oppure nei reparti “healthy” dei supermercati. Insomma, anche alcuni prodotti vegetariani, vegani, proteici possono includere ingredienti ultra processati. Un esempio, che abbiamo visto in una recente scheda: una bevanda alternativa al latte, ricca di proteine, potrebbe essere addizionata di zuccheri o grassi che certamente non fanno bene se assunti quotidianamente.
I rischi riguardano solo la salute del cuore e della circolazione?
Le ricerche presentate al congresso di cardiologia proseguono un lungo filone di studi che ha già dimostrato gli effetti negativi degli UPF su più fronti. Obesità, soprattutto negli adolescenti, diabete di tipo 2, alcuni tipi di tumori, disturbi gastrointestinali sono alcune patologie collegate a una dieta ricca di cibi elaborati industrialmente.
Un altro interrogativo ha motivato la ricerca di diversi gruppi internazionali: gli alimenti ultra processati possono provocare comportamenti compulsivi che rafforzano il bisogno di consumarne di più? In altri termini, possono innescare una dipendenza?
Le risposte a queste domande sono complicate dall’enorme varietà di alimenti che consumiamo, spiega un articolo uscito su Scientific American [9]. Le argomentazioni a favore della dipendenza da cibo suggeriscono che, se i carboidrati e i grassi vengono assunti in dosi innaturalmente elevate, si hanno effetti fisiologici simili a quelli prodotti da sostanze come la cocaina o la nicotina. Questo spiegherebbe anche perché le persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare sembrano più attratte dai cibi ultra processati [9].
Infine, non sono trascurabili nemmeno i rischi per l’ambiente: l’industria alimentare è responsabile di circa un terzo dei consumi di acqua, energia e suolo e del 35% dei gas serra prodotti [10].
Conviene comunque sempre ricordare che la ricerca osservazionale in ambito nutrizionale è resa più difficile rispetto ad altri ambiti, anche perché i cosiddetti fattori di confondimento rischiano di rendere meno certe alcune associazioni tra i fenomeni osservati. In un caso del genere, per esempio, l’appartenenza a una classe sociale svantaggiata potrebbe essere il determinante di un maggiore consumo di cibi di scarsa qualità e, allo stesso tempo, esporre le persone al rischio di un peggiore stato di salute.
(Fonte: dottoremaeveroche.it)