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Lo studio potrebbe aprire la strada a una guida nutrizionale personalizzata basata sulla nostra percezione del gusto
I risultati preliminari di un nuovo studio (https://www.dropbox.com/s/58fj618gld7ebi0/Gervis%20abstract.docx?dl=0) che ha coinvolto più di 6.000 adulti suggeriscono che i geni legati al gusto possono svolgere un ruolo nel determinare le scelte alimentari e, a loro volta, influenzare la salute cardiometabolica. È uno dei primi studi a esaminare come la genetica legata alla percezione di tutti e cinque i gusti – dolce, salato, acido, amaro e umami (salato). Quest’ultimo, che in lingua giapponese significa “saporito”, è stato definito il quinto sapore a partire dal 2002, riconosciuto e decodificato anche in Occidente in aggiunta ai quattro già noti. Si tratta di un gusto sapido, piacevole, che viene dal glutammato e da diversi ribonucleotidi, tra cui inosinato e guanilato. Si può riconoscere in moltissimi cibi, tra cui le alghe, il Parmigiano Reggiano, i pomodori, gli asparagi e persino il latte materno.
I risultati fanno ipotizzare che i geni che determinano la percezione del gusto potrebbero essere importanti da considerare quando si sviluppano linee guida nutrizionali personalizzate volte a migliorare la qualità della dieta e ridurre il rischio di malattie croniche legate alla dieta come l’obesità, il diabete di tipo 2 e le malattie cardiovascolari. Tenendo in considerazione l’importanza che il gusto svolge nell’aderenza alle diete si potranno aiutare a rendere più efficaci le indicazioni nutrizionali personalizzate, attraverso l’identificazione i fattori che determinano scelte alimentari sbagliate e aiutando le persone a imparare a ridurre al minimo la propria influenza.
I ricercatori hanno quindi analizzato i punteggi del gusto poligenico, la qualità della dieta e i fattori di rischio cardiometabolico per 6.230 adulti nel Framingham Heart Study. I fattori di rischio includevano la circonferenza della vita, la pressione sanguigna e la glicemia e le concentrazioni di trigliceridi e colesterolo HDL.
Nel complesso, l’analisi ha identificato alcune associazioni tra geni correlati al gusto con gruppi di alimenti e fattori di rischio cardiometabolico. I dati hanno rivelato che i geni legati ai gusti amaro e umami potrebbero svolgere un ruolo particolare nella qualità della dieta influenzando le scelte alimentari, mentre i geni legati al dolce sembravano essere più importanti per la salute cardiometabolica.
Ad esempio, lo studio ha rilevato come i partecipanti allo studio con un punteggio di gusto poligenico amaro più alto mangiavano quasi due porzioni in meno di cereali integrali a settimana rispetto ai partecipanti con un punteggio di gusto poligenico amaro più basso. Quindi avere un punteggio di gusto poligenico umami più alto rimane associato al consumo di meno verdure, in particolare verdure rosse e arancioni, e che avere un punteggio di gusto poligenico dolce più alto tendeva ad essere associato a concentrazioni di trigliceridi inferiori.