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I vestiti che indossiamo sono sicuri?

I vestiti che indossiamo sono sicuri?

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di MARIA FREGA (PENSIERO SCIENTIFICO EDITORE)

La moda oggi è fast fashion: collezioni composte da infiniti articoli, prodotti a ritmi vertiginosi all’altro capo del mondo e a prezzi bassissimi. Conosciamo i danni all’ambiente, ma siamo altrettanto attenti alla nostra salute? Il rischio di venire a contatto con sostanze tossiche si nasconde anche nei tessuti naturali e negli articoli creati per i più piccoli.

Sebbene esistano norme che hanno vietato sostanze tossiche ampiamente utilizzate in passato, può capitare di incorrere in fastidi causati da ciò che indossiamo. Dalla semplice e risolvibile dermatite da contatto a pericoli più seri, le cui conseguenze non sono ancora state studiate a fondo.

Dottore, ma è vero che i vestiti che indossiamo possono essere tossici?

Per produrre i tessuti si utilizzano diverse sostanze chimiche. Il processo industriale è in continua innovazione: oggi, infatti, alcune sostanze sono state vietate e sostituite con composti più sicuri. In particolare, esistono restrizioni all’utilizzo di metalli come mercurio, cadmio, piombo, nichel, cromo. E sono vietati coloranti, solventi e pigmenti che sono classificati come cancerogeni [1].

Come possiamo evitare di indossare fibre pericolose?

Non è semplice capire se i vestiti che acquistiamo siano privi di sostanze tossiche. Sull’etichetta è obbligatorio segnalare la composizione del tessuto con ogni tipo di materiale in percentuale, ma non sono elencati gli additivi chimici né la quantità di sostanze che, oltre una certa soglia, diventano pericolose [2].

Sta al singolo produttore scegliere se dare ulteriori informazioni, per esempio per i soggetti allergici. Sono nate etichette “nickel free”, cioè senza nichel, elemento che si può trovare in alcuni coloranti e che può provocare allergie.

Dottore, quindi non mi devo fidare delle etichette?

Attualmente non esiste una legislazione unica a tutela di chi acquista abbigliamento, ma molteplici norme, a seconda del luogo di produzione e di vendita. L’Europa tutela i consumatori con un regolamento sui tessili. Spesso però vengono immessi nei mercati internazionali capi di vestiario che sfuggono ai controlli.

Fra le tante inchieste, di recente Greenpeace ha analizzato campioni di articoli prodotti da una catena cinese di fast fashion, industria che produce a ritmi rapidissimi abbigliamento di scarsa qualità a prezzi molto bassi. Sono state trovate concentrazioni molto elevate o preoccupanti di sostanze tossiche (ftalati, formaldeide, nichel) [3].

Quali sono, concretamente, i rischi per la nostra salute?

Occorre distinguere tra reazioni immediate ed effetti a lungo termine. Diverse sostanze impiegate nella produzione di abbigliamento possono causare dermatiti da contatto e dermatiti da contatto su base allergica. In questo caso, la reazione della pelle è la risposta del sistema immunitario che riconosce la sostanza come estranea.

La dermatite è più frequente nelle donne rispetto agli uomini (67,8 contro 32,2%), probabilmente anche perché le donne utilizzano un’ampia varietà di tessuti, compresi i sintetici, e di colori scuri [4]. Le dermatiti, comunque, sono un disturbo semplice da trattare: il medico di medicina generale o il dermatologo possono prescrivere la terapia più adeguata.

Come posso essere sicura che la reazione sia dipesa dall’abbigliamento?

Esistono degli esami specifici, come il patch test (o test epicutaneo), in cui si applicano sulla pelle piccoli campioni di sostanze potenzialmente sensibilizzanti. Tra le sostanze considerate nel patch test ci sono alcuni dei componenti dei tessuti che potrebbero scatenare reazioni: nichel, cromo, coloranti. Si tratta di un esame indolore, occorre solo pazienza per mantenere i cerotti con gli allergeni per 48-72 ore sul dorso; al termine, il medico valuterà le reazioni cutanee e indicherà le eventuali allergie [5].

Dottore, diceva che esistono anche rischi a lungo termine. Ho sentito parlare di materiali cancerogeni…

Credo proprio si riferisca ai PFAS. Sono gruppi di migliaia di sostanze, note come “forever chemicals” (“chimici per sempre”), perché non si degradano o decompongono. Solo dopo mille anni, la loro concentrazione sul suolo comincia a ridursi del 50% [6].

Uno studio, condotto da ricercatori dell’EPA (l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente e della salute), ha approfondito le conseguenze che coinvolgono i bambini. Sono i soggetti più in pericolo, soprattutto quando sono esposti a sostanze tossiche nell’età dello sviluppo.

Ci sono prove che l’esposizione ai PFAS può compromettere il sistema immunitario e la funzionalità renale. La presenza di quelle sostanze nel sangue modifica anche l’età delle prime mestruazioni e potrebbe portare a future malattie cardiovascolari [7].

E negli adulti?

Le ricerche sull’uomo sono ancora poche ed è complicato studiare gli effetti avversi quando esistono più fattori che possono influire. Gli studi oggi disponibili avvertono del rischio di aumento dei livelli di colesterolo nel sangue e di accumulo di elementi tossici nel fegato [8]. Analizzando gli effetti sugli animali, sappiamo che i PFAS possono influenzare anche la riproduzione e alterare la funzione della tiroide [9].

Non sarebbe meglio vietarli completamente?

Esistono dei livelli di pericolosità sotto i quali è consentito l’utilizzo. L’industria tessile considera necessari i PFAS per creare tessuti impermeabili o resistenti ai grassi. Per questo sono così frequenti nell’abbigliamento per i bambini.

Uno studio sulle etichette ha considerato 93 prodotti, tra i quali la biancheria da letto e l’abbigliamento. Sui prodotti antimacchia e resistenti all’acqua la concentrazione di sostanze del gruppo dei PFAS era più elevata. Si trattava proprio di prodotti per l’infanzia e in possesso di certificazioni ecologiche [10]. Ma buono per l’ambiente non sempre vuol dire sano per gli esseri umani.

(Fonte: dottoremaeveroche.it)