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Il covid e la sindrome da fatica cronica

Il covid e la sindrome da fatica cronica

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di Marinella Ruggeri

Oltre la metà dei pazienti COVID presenta fatica persistente anche grave fino a dopo 10 settimane dall’inizio dell’infezione, indipendentemente dalla gravità con cui si è presentata e dalla necessità o meno di essere ricoverati.

Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista “ PLOS ONE”, condotto da Liam  Townsend  ed altri autori del gruppo irlandese del Trinity College di Dublino che ha coinvolto 128 persone ( 49.5 +- 15 anni , 54% donne) reduci da infezione da  SARS-COV-2  di cui circa la metà ha avuto bisogno di ricovero.

Tutti i pazienti, a infezione risolta, sono stati seguiti in ambulatorio   POST-COVID e solo il 40% ha riferito di essere ritornato in piena salute .  

Oltre la metà invece, è rimasto bloccato fino a 10 settimane per un inequivocabile sintomo di fatica persistente indipendente sia dalla gravità con cui si manifestasse l’ infezione, che dai parametri di riferimento infiammatori e immunologici, riscontrabili  in laboratorio.

Il sintomo fatica non appare legato alla gravità dell’infezione e non è facile predire chi lo presenterà, ma sicuramente richiama  un probabile interessamento neurotrofico da parte del virus. Oltre alla perdita del gusto e dell’olfatto già descritti, il sintomo fatica risulta da approfondire e da studiare per poter prevenire  la sua comparsa e la sua persistenza  nel tempo.

Le conseguenze a lungo termine dell’infezione da COVID-19 non sono ancora compresi dagli scienziati perché si tratta di una nuova patologia: sempre più, invece, vengono evidenziati i segni  e i sintomi legati al contagio .

 Esiste quindi oggi la  SINDROME DEL COVID LUNGO o LONG COVID, come dimostrato dallo studio guidato dagli scienziati del King’s College di Londra. Si tratta di una sindrome caratterizzata da “strascichi” che si protraggono per mesi dopo la guarigione, e, tra queste manifestazioni  del LONG COVID , in assoluto la faticabilità  persistente  nota coma Sindrome da  fatica cronica,  è il quadro più descritto.  Il team irlandese ha evidenziato  la  fatica persistente e, più precisamente,  ha descritto che la stanchezza è una manifestazione comune  specie nelle  donne  di età media 50 anni. I  volontari dello studio,  sono stati seguiti per un periodo lungo, sono stati sottoposti a test standardizzati in grado di evidenziare la presenza di fatica cronica a sei settimane dalla guarigione dalla fase acuta , tramite il punteggio della  Chalder Fatigue Score ( CFQ-11) che si presentava molto alto, specie nelle  donne che avevano una storia di ansia e  depressione. Pertanto, un’altra valida interpretazione relativa  alla  causa scatenante della Sindrome da Fatica cronica nel LONG COVID, è la  stanchezza psichica legata al trauma della pandemia. Bisogna sottolineare infatti come questo tipo di pandemia crea un cambiamento sociale senza precedenti,  sia per le imposte restrizione  agli  spostamenti , sia per la paura di contagiarsi, sia soprattutto, perché chi si contagia,    viene etichettato  come “untore” , quindi discriminato  e messo da parte.

 Rispetto al contagio da COVID vorrei sottolineare, infatti,  come chi risulta  COVID-positivo, NON AFFERMA di ESSERE POSITIVO, ma  DICE DI AVERE AVUTO UN PROBLEMA… questa risposta induce una immediata riflessione. Probabilmente per la paura del giudizio,  si ha paura di raccontare di essersi contagiato.  Bisogna comprendere tutti gli stati d’animo che si costruiscono, dietro il contagio,  e, che inducono a “ruminazioni mentali”. Ognuno di noi, in genere, quando si ammala cerca aiuto e in tutti i modi ,sente il bisogno di raccontare quello che sta succedendo. Invece, diventa difficile, in questo momento storico, far prevalere il proprio bisogno sulla paura del giudizio.

Ecco, perché, appare necessaria la presa in carico psicoterapica, di chi ha vissuto il trauma dell’infezione,  per evitare il cronicizzarsi di sintomi, coma la fatica che risulta invalidante nella ripresa della propria quotidianità.

 E’ altrettanto importante  far passare il messaggio, che chi si è infettato, e ha superato l’infezione, diventa PREZIOSO per gli altri, perché può DONARE il suo plasma e  contribuire alla  guarigione  di coloro che sono ammalati.