Views: 128
di Sara Mohammad (PENSIERO SCIENTIFICO EDITORE)
All’inizio della pandemia, in molti avevano immaginato che il lockdown avrebbe portato a un aumento delle nascite, come effetto del trascorrere più tempo a casa. Ma una crisi sanitaria non è certo il momento migliore per guardare al futuro con ottimismo decidendo di avere un figlio: i primi dati relativi all’impatto della pandemia di Covid-19 sul numero dei nuovi nati dimostrano che, in gran parte dei Paesi a medio e alto reddito, l’emergenza sanitaria potrebbe aver accentuato il trend della denatalità a cui si assiste da anni.
Anche in passato le nascite sono diminuite durante una pandemia?
Durante e dopo una grande epidemia il tasso di natalità tende a calare, come hanno dimostrato in passato gli studi scientifici che si sono occupati di epidemie precedenti alla pandemia da Covid-19. Per esempio, nei nove mesi successivi al picco di mortalità verificatosi durante l’influenza spagnola (ottobre 1918), il numero di nascite negli Stati Uniti d’America subì una netta decrescita, che alcuni ricercatori hanno attribuito non solo alla possibile temporanea sterilità che colpì gli uomini contagiati dal virus H1N1, ma anche alla volontà di rimandare a tempi migliori la decisione di concepire [1]. Altri ricercatori hanno analizzato il numero di nati vivi e l’andamento della fecondità in Brasile l’anno seguente a quello in cui nel Paese iniziò a circolare il virus Zika: il numero di neonati vivi iniziò a diminuire nell’estate 2016, circa nove mesi dopo che le autorità sanitarie avevano annunciato l’esistenza di un collegamento tra l’infezione contratta in gravidanza e la presenza di gravi difetti nel bambino alla nascita [2].
Si poteva quindi prevedere un calo delle nascite?
Sebbene la pandemia da Covid-19 abbia caratteristiche peculiari, era ragionevole aspettarsi un andamento demografico simile a quello delle grandi epidemie che l’hanno preceduta [3]. Oltre alle evidenze scientifiche accumulate grazie alle epidemie passate, l’ipotesi che la pandemia da nuovo coronavirus avrebbe avuto un impatto negativo sulle nascite era avvalorata anche dai risultati di un sondaggio realizzato durante la prima ondata su un campione di cittadini di età compresa fra 18 e 34 anni in Francia, Spagna, Germania, Regno Unito e Italia. Le risposte raccolte indicavano che, in media, il 73% di coloro che prima della pandemia pianificavano di avere un bambino aveva poi deciso di rimandare o abbandonare del tutto la decisione [4]. Tuttavia, le differenze riscontrate fra le varie nazioni erano riconducibili in parte alle prospettive economiche e occupazionali di ciascun Paese: laddove la situazione economica era migliore (come in Francia e in Germania), la scelta di rinviare il momento in cui avere figli era di gran lunga la posizione dominante; nei Paesi, come Spagna e Italia, che presentavano condizioni economiche e di welfare sociale più critiche, erano decisamente più numerose le persone che decidevano di rinunciare.
Cosa è successo durante la prima ondata?
Una prima valutazione di come la pandemia ha influenzando la crescita della popolazione umana è stata pubblicata la scorsa estate sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). I ricercatori hanno confrontato il numero di nati a novembre e dicembre 2020 (frutto dei concepimenti avvenuti a marzo dello stesso anno, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva dichiarato ufficialmente la pandemia da nuovo coronavirus) e nei primi tre mesi 2021 con il numero di nati nello stesso periodo dell’anno precedente. L’analisi suggeriva come la pandemia avesse avuto fin dalla prima ondata un impatto negativo sulla natalità: in numeri assoluti, i nuovi nati a cavallo fra il 2020 e il 2021 erano in calo in 18 dei 22 Paesi oggetto di studio, e in 7 di questi (Italia compresa) erano diminuiti in maniera significativa [5].
In Italia un’indagine simile, circoscritta alle sole città di Milano, Genova e Torino, ha constatato che, negli ultimi due mesi del 2020, nelle tre città si è registrato un calo dei nuovi nati, rispetto allo stesso bimestre del 2019, pari rispettivamente al 12,4%, 12% e 33% [6]. Più di recente il nuovo rapporto Istat sulla natalità nel nostro Paese ha confermato che il marcato abbassamento delle nascite registrato nei mesi di novembre e dicembre 2020 (e che sembra essersi esteso anche per buona parte del 2021) “è da mettere in relazione al dispiegarsi degli effetti negativi innescati dall’epidemia da Covid-19, che nel solo mese di gennaio 2021 ha fatto registrare il maggiore calo di sempre (quasi 5.000 nati in meno, -13,6%)” [7].
Dottore, il calo delle nascite è dipeso solo da motivi psicologici?
Almeno per quanto riguarda il nostro Paese, questi dati sono da valutare nell’ottica di una decrescita della natalità che è in atto da decenni. Basti pensare che buona parte delle donne oggi in età fertile è nata tra il 1976 e il 1995, cioè nel ventennio che in Italia conobbe una fase di forte calo della fecondità che culminò, nel 1995, con il minimo storico di 1,19 figli per donna [7]. Ma molteplici fattori, riconducibili alla pandemia, permettono di spiegare meglio la diminuzione del numero di nuovi nati che risulta accentuata nei mesi successivi al primo lockdown.
In generale, in condizioni di recessione economica e con l’aumento del rischio di finire in povertà il tasso di fecondità tende a diminuire. È dunque plausibile che la recessione economica conseguente al primo lockdown abbia scoraggiato molte famiglie dall’avere altri figli, anche se, come abbiamo già detto, gli effetti sarebbero diversi a seconda delle condizioni economiche e sociali preesistenti. In Norvegia, Danimarca, Finlandia e altri Paesi che hanno continuato a registrare una crescita delle nascite anche dopo la pandemia, le politiche di sostegno alla natalità, alla famiglia e al lavoro potrebbero aver limitato l’impatto negativo della crisi sanitaria sulla fecondità [5].
Fattori di tipo psicologico, come la paura di venire contagiati o il timore di andare incontro a eventuali complicanze in gravidanza, potrebbero aver giocato un ruolo altrettanto determinante sulla decisione di non avere figli. Un’ipotesi, questa, che trova conferma nel fatto che già a giugno 2020, quando molti Paesi avevano iniziato un progressivo allentamento delle misure sanitarie conseguente alla fine della prima ondata, si siano concretizzati i “tempi migliori” che molte coppie stavano aspettando e che potrebbero spiegare la lieve ripresa della natalità registrata nove mesi dopo, a marzo 2021 [5]. Non è nemmeno da escludere che la temporanea sospensione dei servizi da parte dei centri per la procreazione medicalmente assistita (gran parte dei quali sospese tutte le attività durante il primo lockdown [8]), così come il calo del desiderio sessuale, che aveva maggiori possibilità di interessare operatrici sanitarie giovani, conviventi e con figli [9], ma che potrebbe essere stato un sintomo diffuso a causa dello stress da isolamento sociale, scarsa attività fisica, incertezza economica e paura di morire, abbiano contribuito a gettare le basi per un forte calo delle nascite.
In quali altri modi la pandemia ha influenzato la natalità in Italia?
Dai primi dati a disposizione relativi al periodo successivo al primo lockdown, la regione Lazio ha constatato rispetto al 2019 una diminuzione del numero di parti prematuri e un aumento del numero di morti in utero. Secondo gli autori della ricerca, in entrambi i casi si tratterebbe di conseguenze indirette di Covid-19: da una parte, la paura di venire contagiate recandosi in ospedale avrebbe spinto le donne in attesa a rimandare o a cancellare visite e controlli medici, sottovalutando altri possibili rischi per la salute del feto; dall’altra, il riposo forzato a causa del lockdown, il ridotto esercizio fisico, la minore probabilità di contrarre infezioni e l’aumentata attenzione per l’igiene potrebbero spiegare l’aumento significativo di nati a termine [10].
Al momento attuale, tuttavia, le ricerche sull’impatto della pandemia sulla salute materna e perinatale sono pochissime e non tutte portano alle stesse conclusioni. Uno studio dell’IRCCS materno infantile Burlo Garofalo di Trieste, per esempio, non registra alcuna differenza significativa nel numero di nati prematuri nei mesi successivi al primo lockdown rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (sebbene riporti un calo generalizzato delle nascite simile a quanto già riscontrato a Genova, Milano e Torino), mentre rileva una diminuzione eccezionale (meno 19%) delle interruzioni volontarie di gravidanza, dovuta, si legge nell’articolo pubblicato su Acta Paediatrica, sia a una minore attività sessuale sia a una più attenta pianificazione familiare [11].
(Fonte: dottoremaeveroche.it)