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Il passaporto sanitario certificherà l’immunità da Covid-19?

Il passaporto sanitario certificherà l’immunità da Covid-19?

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di Roberta Villa

Fonte: dottoremaeveroche.it

A mano a mano che le persone ricevono il tanto atteso vaccino contro Covid-19 istintivamente pensano di poter finalmente tirare il fiato, togliere la mascherina, ricominciare a incontrarsi, viaggiare, avere contatti stretti senza preoccuparsi della pandemia. Va in questo senso anche l’idea del cosiddetto “passaporto sanitario”, o “passaporto vaccinale”, che certifichi l’avvenuta immunizzazione: un lasciapassare, per qualcuno un’app, che tuttavia apre anche questioni etiche e giuridiche non marginali, soprattutto fino a quando non tutti coloro che lo desiderano possono ricevere un vaccino.

A oggi, infatti, data la scarsa disponibilità del prodotto, essere vaccinati si configura più come un privilegio che come un merito. Il tema si scontra inoltre con la necessità di una regolazione internazionale, che riconosca un documento con caratteristiche comuni [1,2,3,4].

È importante anche sottolineare che, nel momento in cui scriviamo, ancora non è stato dimostrato che tutti i vaccini blocchino, oltre alla comparsa dei sintomi, anche la possibilità di infettare altri qualora si venga a contatto con il virus. Non c’è dubbio che le campagne vaccinali siano l’arma più potente di cui disponiamo contro la pandemia, ma è improbabile che, allo stato attuale delle conoscenze, i vaccini anti Covid-19 possano indurre una vera e propria immunità di gruppo a livello globale [5] o addirittura eliminare SARS-CoV-2 dalla faccia della terra [6].

Questi obiettivi, allo stato attuale delle cose, sono considerati fuori portata per una serie di difficoltà e incertezze legate ai vaccini, alle risposte immunitarie dell’organismo, alla comparsa di nuove varianti del virus, alla sua presenza in diverse altre specie animali.

Dottore, i vaccini più efficaci danno la garanzia di non prendere più Covid-19?

L’efficacia molto elevata di alcuni vaccini, in particolare di quelli a mRNA [7,8] giustifica l’entusiasmo con cui sono stati accolti. Anche vaccini così efficaci, tuttavia, come quelli che negli studi condotti dalle aziende produttrici si sono rivelati in grado di proteggere più di 9 persone su 10 di quelle vaccinate, hanno dei limiti. Prima di tutto, anche quando consideriamo un’efficacia superiore al 90%, restano sempre alcuni individui che hanno comunque contratto la malattia e l’hanno manifestata dopo un tempo dalla vaccinazione compatibile con la formazione degli anticorpi, e non riconducibile a un’infezione precedente. Se la persona vaccinata appartiene quindi a questa piccola quota potrà comunque ammalarsi.

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Inoltre occorre distinguere l’efficacia (“efficacy”) superiore al 90% verificata nel corso di uno studio controllato, dall’“efficiency” sul campo, che si scontra con tutti i limiti e le problematiche della vita reale. Nel corso di un trial, per esempio, tutte le procedure sono eseguite con il massimo scrupolo e i vaccini sono conservati dall’azienda in condizioni ottimali. Difficilmente sono sottoposti a trasporti che possano compromettere il mantenimento della catena del freddo, elemento essenziale, come è noto, soprattutto per i vaccini a mRNA, a tutt’oggi i più efficaci.

Infine, i volontari coinvolti nelle ricerche sono in genere giovani e sani e, anche nei gruppi di età più avanzata, sono stati esclusi coloro che soffrivano di altre malattie o avevano un’età superiore agli 85 anni. Sono però soprattutto questi i destinatari della campagna vaccinale, e non possiamo avere certezza che il loro sistema immunitario risponderà con la stessa prontezza dei più giovani allo stimolo fornito dai vaccini.

Dottore, come posso verificare se ho risposto alla vaccinazione?

Molte persone, una decina di giorni dopo la seconda dose di vaccino, si sottopongono a un test sierologico per verificare se hanno sviluppato una risposta anticorpale, in particolare da immunoglobuline di tipo G (IgG). Altri chiedono se questa verifica non andrebbe condotta a livello di popolazione.

Questo test al momento non è raccomandato di routine, in quanto, qualunque sia il suo esito:

  • non cambia il comportamento raccomandato, cioè la necessità di mantenere tutte le precauzioni finché la pandemia non sarà sotto controllo;
  • non permette attualmente di accedere a una eventuale terza dose, la cui utilità non è dimostrata;
  • non esclude che comunque l’individuo abbia sviluppato una immunità di tipo cellulare, anche con un livello di anticorpi non rilevabile al test;
  • potrebbe essere un falso negativo, possibile per ogni esame diagnostico.

La proposta di associarlo alla campagna di vaccinazione, in questo momento, non sarebbe quindi né utile né fattibile, sia per una questione di costi, sia per le difficoltà logistiche di riportare a effettuare l’esame centinaia di migliaia di persone vaccinate, sia per l’impegno che comporterebbe in termini di personale. Anche usare il test come presupposto di un eventuale passaporto sanitario sarebbe per questo poco sensato.

È invece auspicabile che vengano organizzate indagini più ristrette, su campioni rappresentativi della popolazione, per capire se e quanto l’efficacia della vaccinazione sul campo si discosti da quella prevista dagli studi utilizzati per l’autorizzazione di emergenza. Queste informazioni saranno utilissime per definire al meglio le strategie vaccinali, anche in relazione all’età e a diversi fattori di rischio.

Dottore, per quanto tempo dura l’efficacia della vaccinazione?

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Un’altra questione su cui si hanno ancora dei dubbi, con un forte impatto sui rischi e i comportamenti da tenere dopo la vaccinazione e che limita la prospettiva di un “passaporto sanitario”, è che i dati a oggi disponibili non permettono di affermare con certezza quanto a lungo dura l’immunità conferita dal vaccino. I dati raccolti sui primi soggetti che lo hanno ricevuto all’inizio della sperimentazione fanno ben sperare che la protezione si prolunghi per almeno 9 mesi, ma fino a che non passerà un po’ più di tempo e non si raccoglieranno nuove prove, non è possibile definire una sua durata ragionevolmente sicura.

Nel caso di un “passaporto sanitario”, quindi, non sapremmo dopo quanto tempo andrebbe rinnovato, e se tale validità sarà uguale per giovani e anziani, e tra i diversi vaccini somministrati alla popolazione.

E le varianti?

Un altro punto di domanda è legato alla segnalazione in varie parti del mondo di diverse varianti, alcune delle quali potrebbero rispondere con minore efficacia, o non rispondere del tutto, al vaccino. Né un passaporto sanitario, né un qualunque documento di avvenuta vaccinazione, potrebbero quindi rappresentare un lasciapassare che in qualche modo garantisca che il soggetto non può ammalarsi di Covid-19, né, tanto meno, che non possa esserne portatore, seppure senza alcun sintomo.

Ma allora perché la vaccinazione è così importante?

Tra tanti dubbi che riguardano i diversi tipi di vaccini, la loro rispettiva efficacia, il tipo di risposta che evocano, c’è un risultato su cui tutti gli esperti si sbilanciano, sebbene gli studi finora portati a termine non possano ancora fornire risultati definitivi: la vaccinazione anti Covid-19, con qualunque vaccino, oltre a ridurre il rischio di manifestare qualunque sintomo della malattia, sembra in grado di evitare le forme gravi, potenzialmente mortali.

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Se anche le vaccinazioni non riusciranno quindi a impedire qualche forma influenzale, potrebbero ridurre drasticamente i giorni di lavoro persi, il numero di ricoveri in ospedale e in terapia intensiva, la mortalità. Non significherà tornare in tutto e per tutto “alla vita di prima” perché probabilmente il virus resterà tra noi, ma potremo riprendere una quotidianità in cui non saranno sottratte troppe risorse necessarie per trattare le altre patologie e non avremo ogni giorno un bollettino delle vittime così inquietante come quelli che ci accompagnano ormai da un anno.