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di Anna Cortelazzo
Se qualcuno stesse pensando che l’impatto dell’inverno sulla salute umana riguardi principalmente il rischio di overdose da cioccolata calda con panna, è destinato a ricredersi. E no, non parliamo in questa sede neanche dell’influenza, che come sappiamo in alcuni casi ha delle conseguenze serie. La stagione fredda ha spesso un forte impatto sulla salute fisica e mentale umana: ci si può sentire più tristi e più stanchi, incapaci di trarre piacere dalle attività che solitamente lo danno. A volte questa tendenza diventa patologica: è il caso del disturbo affettivo stagionale, di cui parliamo con Giuseppe Maina, docente di psichiatria all’università di Torino esperto, tra le altre cose, di disturbi dell’umore.
Cos’è il disturbo affettivo stagionale
Il Disturbo Affettivo Stagionale (DAS, o SAD nella versione inglese, seasonal affective disorder) è un tipo di disturbo dell’umore che, come il nome suggerisce, segue un modello stagionale, con sintomi che si manifestano solitamente durante i mesi invernali, quando la luce solare è limitata.
Parliamo di una condizione clinica, che porta il paziente a soffrire di depressione a partire da novembre/dicembre, per poi sentirsi meglio man mano che le giornate si allungano.
Da non confondere con il DAS è invece una condizione non patologica che porta alcune persone a essere meno attive e più riflessive nella stagione fredda, e magari anche più tristi, senza che questo si configuri come depressione vera e propria. È un tratto caratteriale che a differenza del DAS non va necessariamente curato, ma per distinguerlo dalla condizione patologica bisogna rivolgersi a un esperto.
Entrambe queste condizioni implicano un abbassamento dei livelli di serotonina nel cervello, un neurotrasmettitore che regola, tra altre cose, il tono dell’umore, ma quello che cambia da un caso all’altro è l’intensità del fenomeno, perché in chi soffre di DAS questo abbassamento è eclatante.
“Il DAS ha delle ripercussioni anche nella vita sociale dell’individuo, che spesso è insofferente, poco motivato a intrattenere rapporti e a volte poco empatico
Il DAS è influenzato dalla genetica: “Non parliamo – precisa Maina – di malattie ereditarie, ma come in tutte le forme di depressione c’è una predisposizione anche di tipo familiare. Spesso i pazienti riferiscono che da anni in inverno non stanno tanto bene e si sentono tristi e affaticati, cosa che poi in primavera e in estate non succede più, e poi concludono che questo accadeva anche a uno dei genitori”.
Le cause del disturbo affettivo stagionale
In inverno cambia il clima, diminuiscono le temperature e a volte l’umidità la fa da padrone. Certo, è comprensibile che la voglia di uscire e di intrattenere rapporti sociali in queste condizioni potrebbe non essere ai massimi livelli, ma non è questo che porta a soffrire di disturbo affettivo stagionale. Il problema è la riduzione delle ore di luce (non è un caso che il DAS sia più diffuso nei paesi nordici come per esempio quelli scandinavi e il Canada).
“Dal punto di vista biologico – spiega Maina – più buio significa produrre meno serotonina. La serotonina è fondamentale per mantenere il nostro buon umore e, oltre a questo, il buio ci fa invece aumentare la produzione di melatonina, che se da una parte può essere utile per indurre il sonno, dall’altra può farci sentire più stanchi o anche letargici. Probabilmente più buio vuol dire anche meno vitamina D, la cui diminuzione può favorire l’insorgenza di sintomi depressivi”.
Non capita a tutti, naturalmente, e comunque non è detto che si arrivi alla patologia.
Quando la riduzione della serotonina raggiunge livelli critici, però, si presenta l’anedonia, cioè la perdita del piacere di fare tutte quelle cose che di solito davano un senso alla vita del paziente, o che comunque lo facevano sentire bene con se stesso e con gli altri.
Il DAS, infatti, ha delle ripercussioni anche nella vita sociale dell’individuo, che spesso è insofferente, poco motivato a intrattenere rapporti e a volte poco empatico.
Possibili cause evoluzionistiche?
Forse a questo punto potrebbe venire il dubbio che la soluzione migliore sarebbe sancire il diritto al letargo nei mesi invernali, anche perché nel regno animale non siamo certo gli unici a scontrarci con stanchezza e propensione al risparmio di energie. In inverno i nostri antenati preistorici, pur non andando in letargo come altri animali, tendevano a essere meno attivi, anche a causa della minore disponibilità di prede. Non a caso in inverno tutt’ora si tende a ingrassare, e questo potrebbe essere frutto degli adattamenti che hanno portato a sopravvivere i nostri antenati preistorici che riuscivano a conservare le energie quando il cibo era scarso. Viene quindi il dubbio che il DAS abbia radici evoluzionistiche.
“Il DAS somiglia a una strategia di risparmio energetico
Tuttavia, anche se suona sensato, non ci sono ancora prove definitive sul legame tra DAS ed evoluzione: “La questione – afferma Maina – è difficile e complessa: se ne discute da molto tempo ed è possibile che sia così, ma non lo sappiamo con certezza. È possibile perché in molte specie esiste una condizione per cui in inverno l’animale rallenta il proprio metabolismo, qualcuno va addirittura in letargo, che è la massima espressione di questo. Riduce insomma la propria attività per risparmiare energie in un periodo dell’anno in cui c’è meno cibo. Il fatto che le depressioni stagionali abbiano a che fare con ciò che succede a specie diverse è un’ipotesi, però oggi noi non possiamo confermarla, perché non abbiamo ancora dati certi e quindi è giusto che si facciano altre ricerche”.
Il DAS ha ripercussioni cognitive?
Molti pazienti riferiscono di avere problemi cognitivi e di concentrazione durante l’inverno, che si risolvono da soli con l’arrivo della bella stagione. Questa difficoltà a focalizzare l’attenzione e a pensare chiaramente, però, è personale, e non viene rilevata dall’indagine scientifica. “Obiettivamente – conferma Maina – le capacità cognitive non peggiorano in inverno. Se noi facciamo fare ai pazienti dei test di attenzione e memoria i risultati non cambiano rispetto a quando si sentono bene. A livello soggettivo, però, la persona non si sente in forma intellettualmente e spesso i pazienti lamentano difficoltà di concentrazione e di memoria. Per fortuna, però, è una sensazione soggettiva, mentre all’analisi obiettiva non è così”.
Rimedi e cure
È importante notare che parliamo di fenomeni biologici, di qualcosa che accade all’interno del cervello: le persone che soffrono di DAS non vanno colpevolizzate, esattamente come nessuno si sognerebbe di rimproverare qualcuno che ha mal di testa, né di suggerirgli di curarsi con un po’ di forza di volontà. Fortunatamente ci sono vari modi per attenuare i sintomi: “Se parliamo di patologia – spiega Maina – si può intervenire, a seconda dei casi, con cure farmacologiche o con la cosiddetta light therapy, cioè la terapia della luce che è molto utile, ma anche con un supporto di ordine psicologico”.
La light therapy, o terapia della luce è un approccio terapeutico che prevede l’esposizione a una luce artificiale brillante progettata per simulare la luce del sole. È molto utilizzata nei paesi nordici, nei quali, anche volendo e potendo, è difficile esporsi alla luce naturale, ed è usata sia per il DAS sia per altri disturbi dell’umore e del sonno. Il paziente può fare il trattamento a casa, utilizzando la lampada nella maggior parte dei casi la mattina, per esempio mentre fa colazione. La durata e la frequenza delle sessioni di light therapy possono variare a seconda della gravità dei sintomi e delle raccomandazioni mediche. Non serve la prescrizione per comprarla, come spiega Maina, ma è importante scegliere una lampada certificata con il marchio CE, perché deve rispettare dei parametri specifici per la luce emessa, la sua intensità e la temperatura, perché va a simulare la luminosità delle prime ore del mattino. In caso di dubbi ci si può rivolgere al medico per verificare i parametri.
Al di là di queste terapie, ci sono anche delle indicazioni importanti riguardanti lo stile di vita da condurre per tenere sotto controllo sia la malinconia stagionale sia il DAS (in questo secondo caso, naturalmente, vanno associate alle terapie). “Al mattino – precisa Maina – non bisognerebbe svegliarsi troppo tardi, anzi, il risveglio dovrebbe essere più precoce del solito. Anche l’attività fisica aiuta, soprattutto se svolta all’aperto esponendosi alla luce del sole. Bisogna un po’ andare contro ciò che si sarebbe tentati di fare, ovvero chiudersi in casa e riposare molto”.
Niente diritto al letargo, dunque, ma possiamo farci forza che alla primavera manca poco!
(Fonte: ilbolive.unipd.it)