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di redazione
La legge Gelli N°24 del 2017, all’articolo 10, obbliga tutti gli esercenti la professione sanitaria a stipulare una assicurazione. A questa categoria appartengono quindi tutti coloro che hanno svolto un percorso di studi presso la facoltà di medicina e chirurgia (infermieri, logopedisti, fisioterapisti, etc). Come di norma succede nell’iter legislativo per la regolamentazione e l’esplicitazione dei vari aspetti di una legge attraverso norme tecniche che regolamentano la pratica attuazione della legge, il nuovo governo sta vagliando un decreto a tal fine (decreto sulla determinazione dei “requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private e per gli esercenti le professioni sanitarie”).
Dalle bozze di decreto non ufficiali fatte circolare per una verosimile e auspicata richiesta di informazioni e di valutazioni agli ordini professionali interessati e ai sindacati di categoria al fine di ottenere una revisione condivisa del decreto tale da poter essere calata nella quotidiana realtà lavorativa delle varie figure professionali.
Da un primo approccio del testo, però, è saltato fuori un vulnus di base. Infatti ogni esercente la professione sanitaria è chiamato a rispondere civilmente, penalmente e disciplinarmente nel caso in cui dovesse incorrere in una condotta imprudente, imperita o negligente. A garanzia di tali possibili criticità è stata prevista l’assicurazione professionale obbligatoria che però viene correlata con l’assolvimento, da parte dell’assicurato, della quota dei crediti formativi previsti. In buona sostanza i le assicurazione sono autorizzate, per legge, a non garantire la copertura assicurativa a chi non è in regola con i crediti ECM.
Va tenuto conto che la natura stessa del programma ECM prevede un aggiornamento a 360° sulle più svariate discipline che abbracciano argomenti trasversali in svariati vari ambiti tecnici, non sempre orientati a soddisfare l’aggiornamento teorico-pratico specifico nel campo di occupazione professionale molto spesso lontano dalla specialità in cui si lavora quotidianamente.
Un orientamento legislativo siffatto distorce il senso dell’aggiornamento costante e ne svilisce la logica costruttiva di miglioramento continuo. Infatti un operatore sanitario che raggiunga il totale dei crediti formativi svolgendo corsi che si discostano considerevolmente dalle materie relative alla specialità in cui opera, pur di racimolare i crediti necessari, viene posto sullo stesso piano di un altro che invece onestamente e disciplinatamente segue aggiornamenti mirati alla professione specifica seguita sul posto di lavoro che ne gratificano la professionalità ma che lo impegnano in modo diverso sul piano economico. Così facendo si incentiva il qualunquismo professionale di guicciardinana memoria del tipo “Franza o Spagna basta che se magna”. Entrambi gli operatori si troverebbero nella condizione di sicurezza assicurativa durante un contenzioso. Ma il primo ha frequentato corsi finalizzati al raggiungimento del numero di crediti necessari col minimo costo garantendosi la sicurezza ai fini dell’ECM e della copertura assicurativa. La stessa cosa avviene per il secondo caso ipotizzato ma con costi maggiori che sicuramente non premiano né incentivano la qualità e la professionalità.
Si auspica quindi una inversione di rotta, poiché risulta quanto mai curioso che questa sanzionabilità del mancato raggiungimento del numero necessario di crediti ECM, come mancata copertura assicurativa, venga formulata in un decreto sulle assicurazioni e non in atti normativi istituzionali e deontologici più direttamente attinenti l’esercizio professionale.