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Per flora intestinale si intende l’insieme dei batteri presenti nell’intestino dell’uomo. La scelta del termine flora si deve alla classificazione dei batteri nel regno vegetale quando gli esseri viventi erano suddivisi in animali e vegetali. Oggi i regni sono sei e uno di essi è costituito dai batteri.
Il termine scientifico corretto, oggi, per descrivere l’insieme dei microrganismi che popola il tratto digerente, per lo più l’intestino, è microbiota intestinale. Si tratta di oltre mille miliardi di batteri, virus, funghi e protozoi, con il peso totale di circa un chilogrammo e mezzo che, comunicando tra loro, agiscono come se fossero un unico organismo e svolgono funzioni importanti per la salute dell’uomo.
Alcune volte, impropriamente, al posto di microbiota viene utilizzato il termine microbioma. Esso, invece, indica esclusivamente il patrimonio genetico (insieme dei suoi geni) del microbiota. La differenza tra questi due termini è la stessa che c’è tra uomo e genoma umano.
Studiare il microbioma è importante, in primo luogo, perché esso rappresenta il 90% circa del totale dei geni, rappresentati dai geni del microbiota e del genoma umano; in secondo luogo, perché permette di conoscere la struttura del microbiota, ossia i microbi che lo compongono, per poi valutarne le funzioni e studiarne il metabolismo.
La parte costituita da batteri viene indicata con il nome di batteriota, quella costituita dai virus è detta virota, quella rappresentata dai funghi è chiamata micota. Tuttavia, quando si parla di microbiota si intende generalmente la parte batterica di esso, per la maggiore capacità dei batteri di metabolizzare (elaborare e convertire in altre sostanze preziose per la salute) i prodotti della digestione. Sostanzialmente si occupano dell’elaborazione finale (fermentazione) dei carboidrati e delle proteine, da cui vengono prodotti acidi grassi a catena corta (SCFA), H2 e CO2, idrogeno, anidride carbonica, ammoniaca, amine, fenoli ed energia.
La diversità dei microbi, e la prevalenza di alcune specie su altre, dipende da molteplici fattori dell’ospite:
- popolazione a cui appartiene
- luogo in cui vive
- patrimonio genetico
- storia personale, inclusa la gravidanza della propria madre
- tipo di parto e di allattamento
- alimentazione
- stile di vita
Per molto tempo si è pensato che, prima della nascita, il feto non fosse colonizzato da microrganismi. Studi in corso stanno invece valutando la possibilità che i batteri contenuti all’interno della placenta, possano contribuire alla formazione del microbiota e del sistema di difesa dell’organismo (sistema immunitario) del nascituro.
In ogni caso, è ormai sempre più evidente che il periodo neonatale e i primi anni di vita, quando si sviluppa il microbiota, rappresentano un momento critico per le potenziali implicazioni a lungo termine sulla salute e la comparsa di alcuni tipi di malattia.
Il parto vaginale costituisce un’occasione fondamentale per lo scambio di microbi tra mamma e neonato e lo sviluppo di un microbiota ricco di tante specie diverse. È così importante che si sta valutando la possibilità di contaminare il neonato nato da parto cesareo con i microbi della mamma per mezzo di un tampone. Il parto cesareo, di contro, sembrerebbe impoverire tale diversità e favorire la prevalenza di alcuni batteri come l’Escherichia coli ed il Clostridium difficilis (potenzialmente nocivi) e lo sviluppo (insorgenza) di malattie dell’intestino e di altre non strettamente correlate ad esso come, per esempio, le allergie.
Anche l’allattamento naturale, in virtù dello scambio madre-bambino, rappresenta una tappa importante nella formazione del microbiota, per la ricchezza delle specie (diversità) e lo sviluppo di un buon sistema immunitario nel neonato. Una mancata contaminazione del bambino da parte della madre con alcune specie batteriche (per esempio i Bifidobatteri), o la loro riduzione a causa di terapie antibiotiche precoci, può determinare una maturazione non equilibrata del sistema immunitario. L’acquisizione di queste conoscenze ha favorito nei medici l’attenzione a privilegiare, quando possibile, il parto naturale e l’allattamento al seno così come l’utilizzo degli antibiotici nei casi di effettiva necessità.
Il microbiota si modifica con l’età e con il variare degli elementi che lo influenzano come l’ambiente e la dieta che, nell’arco di un solo giorno, è in grado di cambiare transitoriamente circa il 60% della sua composizione. Il restante 40% tende a rimanere stabile, perlomeno nella parte centrale della vita. Tende, invece, a essere instabile nella fase iniziale, quando il processo di maturazione è in corso, e in quella finale, tipica dell’età avanzata. Anche per questa ragione queste fasce di età sono considerate “fragili” e maggiormente esposte a rischi.
L’uomo e i microrganismi che popolano il suo intestino convivono stabilendo una relazione basata sullo scambio di vantaggi reciproci. Il primo fornisce le sostanze nutritive, mentre i secondi svolgono funzioni fisiologiche, metaboliche e immunologiche indispensabili per mantenere uno stato di benessere fisico e mentale.
Tale benessere sembrerebbe dipendere, così come suggeriscono recenti ricerche, dallo stato di salute del microbiota che i ricercatori misurano tenendo conto di tre fattori:
- ricchezza della diversità delle specie di microbi presenti
- abbondanza numerica relativa di ogni specie
- rapporto tra specie benefiche e quelle potenzialmente dannose (se sono più numerose le une rispetto alle altre)
In altri termini viene ritenuto sano un microbiota costituito da diverse specie di microbi, ciascuna costituita da un buon numero di unità, con prevalenza di quelle benefiche per l’uomo e in equilibrio tra loro e con l’intestino che li ospita.
Questo stato di equilibrio viene definito nel linguaggio scientifico “eubiosi”. In particolari condizioni si può rompere causando un processo di alterazione del microbiota che porta a uno stato definito “disbiosi“, condizione che i medici hanno riscontrato in molte malattie, compresa l’obesità, le malattie infiammatorie dell’intestino e altre apparentemente non correlate a questo organo come quelle immunologiche e metaboliche.
Attualmente sono in corso numerose ricerche per stabilire il rapporto tra disbiosi e varie malattie e per stabilire se la disbiosi può esserne considerata la causa o la conseguenza.
Lo studio della composizione del microbiota è stato possibile grazie alla tecnica Next Generation Sequencing (NGS) che, con l’analisi del DNA e RNA del microbioma, ha permesso di ricostruire genomi interi di batteri non coltivabili in laboratorio. Creando un modello al computer è stato possibile, in altre parole, fare una mappa dei batteri presenti nell’intestino e capire le loro funzioni.
Il microbiota intestinale umano è costituito da un insieme di oltre mille miliardi di batteri (appartenenti a 500, 1.000 specie diverse), virus, funghi e protozoi. Varia da una popolazione all’altra, e da un individuo a un altro della stessa popolazione, in base alle influenze del patrimonio genetico, della storia personale, dell’ambiente e delle abitudini alimentari di ogni individuo sulla composizione del microbiota. Inoltre, si modifica a causa dell’età e con il variare degli elementi che lo influenzano come l’ambiente e la dieta.
Alcune specie di batteri, i più studiati perché più interessanti per il ruolo che hanno nel metabolismo, sono comuni alla maggioranza dell’umanità. Queste specie sono riconducibili a tre generi: Bacteroides, Prevotella e Ruminococcus.
La prevalenza di uno di essi, rispetto agli altri due, dà luogo a tre diverse fisionomie di microbiota intestinale denominate enterotipi:
- enterotipo 1 (prevalenza di Bacteroides)
- enterotipo 2 (prevalenza di Prevotella)
- enterotipo 3 (prevalenza di Ruminococcus)
La netta distinzione fra i 3 enterotipi, evidenziata nei primi studi, non sembra confermata negli studi successivi nei quali sono state evidenziate persone la cui composizione del microbiota è intermedia fra l’enterotipo 1 e 2.
Ogni enterotipo è costituito da una parte che tende a rimanere stabile (indigena) per tutta la vita e da una, variabile, che viene influenzata da genotipo, sesso, età e ambiente.
La parte stabile si caratterizza per l’occupazione di spazi esclusivi (nicchie) e l’uso prioritario dei nutrienti disponibili. La parte variabile, più sensibile alle variazioni dietetiche e alle variazioni ambientali, compete con la parte stabile per la colonizzazione del tratto digestivo. Questa competizione fa sì che i nuovi microrganismi introdotti non riescano a colonizzare in forma stabile il tratto digestivo permanendo, più o meno a lungo, in base alla loro capacità di occupazione degli spazi. Questa è la ragione per cui, spesso, l’integrazione di probiotici (microrganismi appartenenti alla porzione variabile) non ottiene gli effetti sperati.
Numerosi studi hanno dimostrato che l’appartenenza ad un certo enterotipo non dipende da nazionalità, sesso, o peso corporeo. La dieta sembrerebbe, invece, in grado di orientare verso i diversi enterotipi.
Diversi studi basati sull’analisi di campioni fecali hanno dimostrato che popolazioni geograficamente molto lontane, ma con una dieta simile, hanno microbioti simili mentre popolazioni geograficamente vicine, ma con una dieta diversa, hanno microbioti diversi. Gli scienziati ancora stanno studiando per chiarire questo aspetto e rispondere ai numerosi interrogativi tuttora aperti.
I vegetariani “puri” hanno un enterotipo dominato dal Ruminococcus, mentre coloro che seguono la tipica dieta occidentale appartengono all’enterotipo dominato dai Bacteroides. Coloro che seguono una dieta ricca in carboidrati e fibre appartengono spesso all’enterotipo 2 dominato da Prevotella. Variazioni dietetiche di breve durata (circa 10 giorni) non influenzano il tipo di enterotipo al quale la persona appartiene. Tuttavia, il concetto che l’appartenenza a un certo enterotipo sia stabile nel tempo è stato di recente messo in discussione da studi di lunga durata (5-10 anni). Essi hanno dimostrato come l’enterotipo di una certa persona possa, a lungo termine, cambiare in relazione a variazioni ambientali. Individui appartenenti ad un certo enterotipo all’inizio dello studio, risultavano appartenere ad un enterotipo diverso alla fine dello studio.
Appartenere a un enterotipo piuttosto che a un altro influisce sul metabolismo, per esempio nella produzione delle vitamine, o sul rischio di sviluppare specifiche malattie come l’obesità. I Bacteroides producono più vitamina C, B2, B5 e H. I Prevotella producono più vitamina B1 e acido folico, inoltre, per la capacità di recuperare al massimo l’energia dagli scarti della digestione, vantaggiosa quando c’è poca disponibilità di cibo, possono favorire un accumulo di grasso nell’organismo quando si mangia abbondantemente. Tuttavia, nonostante l’associazione di alcuni enterotipi con alcune malattie, conoscere l’enterotipo al quale si appartiene non dà una stima del rischio di sviluppare alcuni tipi di malattia. Ciò perché la prevalenza di un tipo di microrganismi rispetto ad altri in un determinato enterotipo, non vuol dire che negli altri enterotipi questi siano assenti. Al momento attuale sono necessari ulteriori studi per potere usare l’appartenenza a un enterotipo come marcatore dello sviluppo di una certa malattia. Allo stesso modo, sono necessari ulteriori studi per considerare l’analisi della composizione del microbiota uno strumento per distinguere alcune malattie con disturbi (sintomi) molto simili, ma con cause diverse, come accade nelle malattie infiammatorie croniche dell’intestino e nella sindrome dell’intestino irritabile.
Spesso si sente parlare di “batteri buoni” e “batteri cattivi”; in realtà non esistono buoni e cattivi perché lo stesso ceppo potrebbe essere dannoso o vantaggioso in base alla localizzazione o al patrimonio genetico dell’uomo a cui appartengono.
Le funzioni del microbiota intestinale possono essere raggruppate nelle seguenti categorie:
- metaboliche, produzione di vitamine come la K o la B12; sintesi di aminoacidi; trasformazione degli acidi biliari; produzione degli acidi grassi a catena corta (Short Chain Fatty Acids, SCFA), sintesi di enzimi che l’uomo non riesce a produrre, controllo della proliferazione delle cellule. Alcuni batteri sembrano avere un’azione protettiva contro le cellule anomale poiché favoriscono l’attivazione del sistema immunitario per la loro individuazione ed eliminazione
- strutturali, sviluppo dei villi intestinali e delle cellule epiteliali dell’intestino che partecipano alla costituzione della barriera epiteliale, sviluppo del sistema immune dell’intestino
- protettive, contrasto delle infezioni da parte di microrganismi dannosi
A queste funzioni si aggiungono gli effetti che la composizione del microbiota ha su altri organi. Infatti, oltre all’intestino, altri organi sono influenzati dalle sostanze da esso prodotte (metaboliti) assorbite e distribuite attraverso il sangue.
Recentemente, sono state messe in evidenza le influenze del microbiota intestinale, oltre che su organi appartenenti all’apparato digestivo, sul sistema nervoso centrale e periferico, sull’apparato cardiovascolare e sull’apparato endocrino-metabolico.
Apparato digestivo, i prodotti del microbiota assorbiti dall’intestino vengono portati al fegato attraverso la vena porta. Se il microbiota si trova in uno stato di disbiosi (squilibrio), tali sostanze possono essere tossiche e possono provocare danni al fegato con accumulo di grasso (steatosi) e infiammazione.
Sistema nervoso centrale, le sostanze prodotte dal microbiota influenzano il sistema nervoso centrale attraverso le loro azioni sul nervo vago e sul flusso sanguigno che raggiunge la barriera emato-encefalica. È sempre più evidente che, attraverso queste connessioni, i prodotti del microbiota possano influenzare il tono dell’umore e alcuni comportamenti istintivi.
Apparato cardiovascolare ed endocrino-metabolico, le influenze del microbiota sull’apparato cardiovascolare sono legate alla sua capacità di influire sui principali fattori di rischio per malattie cardiovascolari rappresentati da iperlipidemia (aumento dei grassi nel sangue), diabete di tipo 2 e aterosclerosi.
Avere un sano stile vita e quindi, seguire una dieta equilibrata, sia nella qualità che quantità degli alimenti, fare attività fisica, evitare il fumo e l’abuso di alcol, influisce positivamente sullo stato di salute del microbiota.
La dieta deve contenere in prevalenza grassi vegetali insaturi, poche proteine di origine animale, carboidrati provenienti da alimenti integrali e fibre.
Dalla fermentazione delle fibre vengono prodotti principalmente gli acidi a catena corta (SCFA) che, oltre a rappresentare fonte di energia per le cellule epiteliali intestinali e modulare la risposta immunitaria intestinale, dopo essere stati assorbiti sembrano influenzare anche il metabolismo dei grassi e degli zuccheri. Contribuiscono anche ad abbassare il pH dell’ambiente intestinale, elemento molto importante perché influenza la composizione del microbiota. In particolare, il pH basso crea un ambiente sfavorevole allo sviluppo di batteri potenzialmente dannosi (produttori di metaboliti negativi come le ammine e l’ammoniaca) mentre favorisce l’assorbimento dei minerali.
La dieta mediterranea, basata principalmente sul consumo di alimenti di origine vegetale, come cereali, meglio se integrali, verdure, insalate, legumi, frutta fresca e secca; sul consumo moderato di alimenti di origine animale come pesce, carne bianca, latticini e uova, è considerata dalla comunità scientifica, un ottimo regime alimentare.
L’alterazione (disbiosi) dello stato di equilibrio del microbiota può verificarsi per:
- riduzione della diversità delle specie batteriche
- riduzione delle specie benefiche
- proliferazione (aumento) delle specie dannose
Una delle cause più rilevanti della disbiosi è rappresentata da scorretti stili di vita, in particolare da una dieta squilibrata. Lo squilibrio può essere dato sia dalla qualità, sia dalla quantità degli alimenti consumati. Mangiare cibo spazzatura (junk food), zuccheri raffinati, bevande zuccherate, grandi quantità di grassi saturi, eccessive quantità di proteine di origine animale, così come escludere completamente alcuni alimenti, può avere conseguenze dannose per la salute.
Da una dieta ricca di proteine e povera di carboidrati deriva, ad esempio, una minore produzione di metaboliti SCFA e un aumento di metaboliti tossici, ammoniaca, fenoli e acido solforico che altera il microbiota e danneggia la struttura dei tessuti dell’intestino causando un’infiammazione della mucosa del colon.
Anche il fumo, l’abuso di alcol e una vita sedentaria influiscono negativamente.
Altra causa di squilibrio (disbiosi) , può essere l’assunzione di antibiotici. Gli antibiotici, infatti, diminuiscono significativamente la diversità delle specie che costituiscono il microbiota determinando una condizione di squilibrio difficilmente recuperabile in tempi brevi. In alcune situazioni particolarmente compromesse, il recupero completo della normale composizione può non verificarsi con il rischio di favorire l’aumento di specie dannose spesso molto resistenti all’azione degli antibiotici. Anche per questo motivo, l’assunzione di antibiotici dovrebbe sempre avvenire su consiglio del medico curante. Da ultimo, le infezioni del tratto gastroenterico (da batteri, virus e funghi) rappresentano una causa transitoria di disbiosi che, generalmente, si risolve spontaneamente con la guarigione dall’infezione. In alcuni casi, il recupero dell’eubiosi può essere lento e richiedere l’intervento del medico curante.
La disbiosi, se protratta nel tempo, può contribuire allo sviluppo di molte malattie. Oltre a quelle strettamente correlate all’intestino come le malattie infiammatorie croniche intestinali, gastrite, ulcera peptica, sindrome dell’intestino irritabile, cancro dello stomaco e del colon, può favorire anche obesità, malattie metaboliche, asma e allergie.
Le conoscenze acquisite negli ultimi anni sulle funzioni del microbiota hanno aperto nuove prospettive nello studio di tante e diverse malattie.
L’obesità è una condizione patologica che dipende da numerosi fattori. Molti studi hanno confermato che il microbiota delle persone obese è caratterizzato dall’aumento di specie batteriche capaci di estrarre energia dagli alimenti. Una ricerca condotta sulla composizione dei batteri nell’intestino di bambini di 6 mesi di età ha svelato la possibilità di predire il rischio di sviluppare l’obesità nell’infanzia nei casi in cui c’era una scarsa diversità di specie e la prevalenza di alcune di esse.
Sempre più chiaramente si sta affermando la consapevolezza che il microbiota, la motilità intestinale, la risposta immunitaria, la secrezione di ormoni intestinali specifici e il metabolismo rappresentano un sistema integrato e che variazioni a carico di ciascuno di questi elementi si ripercuotono sugli altri. Così, l’obesità, le alterazioni del metabolismo, il diabete di tipo 2, l’aterosclerosi, sarebbero il risultato di un mancato equilibrio fra le diverse componenti. Rimane ancora da chiarire se la disbiosi sia causa o conseguenza di queste malattie. Interessanti sono stati i risultati di un esperimento in cui a due gruppi di topi, entrambi alimentati con alimenti ipocalorici e ricchi di fibre vegetali, è stato trapiantato il microbiota di due gemelli, uno normopeso, l’altro obeso. I topi che hanno ricevuto il microbiota del gemello obeso sono aumentati di peso contrariamente a quelli che avevano ricevuto il microbiota del normopeso.
Molte sono le ricerche in corso per studiare i meccanismi che potrebbero essere alla base della relazione tra disbiosi e malattie del sistema nervoso come l’Alzheimer, la sclerosi multipla, la depressione e l’autismo. La comunicazione diretta tra intestino e cervello (nervo vago, flusso sanguigno che raggiunge la barriera emato-encefalica) potrebbe giustificare in parte tale relazione con il passaggio diretto di metaboliti in grado di avere effetti sulla funzione del sistema nervoso e favorire l’instaurarsi di una risposta infiammatoria locale.
Anche quando si gode di una buona salute generale, riconquistare una condizione di equilibrio (eubiosi) del microbiota, dopo, per esempio, un’infezione, un intervento chirurgico, una terapia, un periodo di stress, richiede tempi lunghi e attenzione a tutti quegli elementi che contribuiscono a mantenere un sano stile di vita: seguire una corretta alimentazione, fare attività fisica, riposare adeguatamente, evitare alcol, fumo, stress.
In alcuni casi, per esempio, dopo una terapia antibiotica, per contrastare lo stato di squilibrio (disbiosi) causato dalla riduzione di alcune specie di batteri per effetto del farmaco, un aiuto potrebbe venire dai probiotici. Il loro utilizzo può favorire il ripristino della biodiversità in tempi più brevi. Affinché l’azione dei probiotici possa dare effettivamente risultati positivi, sembra utile aiutare lo sviluppo dei batteri introdotti con la somministrazione contemporanea di prebiotici, vale a dire di quelle sostanze importanti per il mantenimento dei batteri probiotici. Alimenti ricchi di prebiotici sono le verdure, in particolare, cicoria, carciofi, asparagi, il grano, l’avena, la soia, le banane, la cipolla, l’aglio, il porro, il miele.
Attualmente gli scienziati stanno valutando l’efficacia dei probiotici, assunti giornalmente, nella riduzione del rischio di diverse malattie o nell’aumentare l’efficacia di alcuni farmaci ma, al momento, non sono state raggiunte evidenze conclusive.
Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (MICI) costituiscono un esempio della necessità di nuove tecniche per ripristinare lo stato di equilibrio della flora intestinale. La composizione del microbiota delle persone affette da queste malattie risulta povera, con poche specie presenti e una prevalenza di specie aggressive rispetto a quelle protettive. Pertanto, la soluzione migliore sembrerebbe quella di colpire quelle dannose presenti e di reintrodurre le specie protettive che mancano. Ma in questi casi le specie da introdurre dovrebbero essere definite caso per caso. L’utilizzo dei probiotici per bocca, inoltre, non si è rivelato efficace. Probabilmente, perché essi raggiungono il tratto di intestino infiammato in numero insufficiente e non sono in grado di moltiplicarsi in un ambiente dominato da specie aggressive.
TRAPIANTO DI MICROBIOTA FECALE E SOLUZIONI ALTERNATIVE
Sulla base dell’importanza del microbiota, da diversi anni si è diffusa la pratica del trapianto fecale. Il trapianto fecale ha avuto una applicazione efficace nell’infezione da Clostridium difficilis, un batterio, resistente agli antibiotici, che causa gravi coliti. Esistono esperienze preliminari sull’azione del trapianto di microbiota in infezioni polmonari e urinarie causate da un altro batterio antibiotico-resistente: il Kpc, acronimo di Klebsiella pneumoniae carbapenemasi-produttrice che causa la morte di oltre il 50% delle persone colpite. Gli studi sono ancora in fase sperimentale.
Per ridurre alcuni effetti collaterali che il trapianto comporta, per esempio il rischio di trasmissione di microrganismi dannosi, la medicina si sta orientando verso l’utilizzo di miscele di batteri preparate in laboratorio.
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