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“Junk Food” ovvero il cibo spazzatura

“Junk Food” ovvero il cibo spazzatura

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Cos’è un cibo spazzatura?

Quotidianamente, navigando su Internet, guardando la tv o ascoltando la radio siamo bombardati da messaggi pubblicitari riguardanti l’alimentazione, celebrati da accurate strategie di marketing che curano il packaging dei prodotti rendendoli accattivanti. Tutto ciò al fine di attrarre la nostra attenzione su un prodotto, piuttosto che su un altro con prezzi stracciati, in confezioni colorate, posizionate in bella mostra sugli scaffali o alle casse dei supermercati, in alcuni fast food, al cinema ecc.

Tutto questo è junk food, che in italiano significa “cibo spazzatura”. Tale termine è stato utilizzato per la prima volta nel 1951 da Michael Johann Jacobson per indicare cibo considerato malsano cioè un cibo che è stato lavorato e raffinato. Infatti nelle varie fasi della lavorazione industriale esso viene depauperato delle principali sostanze nutritive, con l’aggiunta di conservanti ed additivi “chimici” che ne modificano colore, sapore, e che in molti casi contribuiscono a creare una sorta di dipendenza ottenendo quindi un cibo altamente calorico, ma molto povero dal punto di vista nutrizionale.

I tre ingredienti base del junk food sono sale, zuccheri e grassi animali, ma anche oli e grassi vegetali di qualità scadente. A questi si aggiungono gli additivi: conservanti e coloranti. Inoltre, a monte, spesso gli ingredienti di questi cibi provengono da colture intensive (non certo biologiche) nel caso di vegetali, o da allevamenti intensivi nel caso di uova e carni, per cui avremo nei due casi, l’utilizzo di diserbanti ed antiparassitari da una parte, e antibiotici dall’altra.

Generalmente quando si parla di cibo spazzatura il pensiero comune va al cibo dei fast food, agli snack dolci e salati, alle bibite gassate, alla maggior parte dei piatti pronti, seppur surgelati e alle conserve di vario tipo (salse, creme dolci e salate). Ci sono invece molti altri alimenti, per alcuni considerati insospettabili, che possono rientrare in questa categoria. Due prodotti per la prima colazione per esempio: i cereali (tipo corn flakes) e molte preparazioni proposte come yogurt alla frutta: prodotti ricchi di zuccheri raffinati con minime quantità di frutta, neanche fresca. Oppure certi dolci e snack con confezioni che evocano immagini bucoliche e che di naturale non hanno proprio niente: tra gli ingredienti quasi sempre troviamo farina 00, sciroppo di glucosio-fruttosio, olio di palma o altri oli vegetali raffinati e di pessima qualità, aromi artificiali ed altri additivi. Anche la pizza, nel caso delle preparazioni industriali, o in quelle servite dai locali fast-food, può essere considerato un cibo spazzatura.

Effetti sulla salute

Il junk food nuoce gravemente alla salute! La prima nota dolente riguarda il rischio di obesità e di diabete. Come mostrato in diversi studi scientifici, e portato alla ribalta dal film “Super size me”, esiste una correlazione diretta tra la frequentazione dei fast food e l’aumento di peso. Uno studio del 2005 ha valutato l’associazione tra il consumo di junk food, il cambiamento di peso e l’insulino-resistenza (possibile causa del diabete mellito tipo 2). Il risultato è clamoroso: le persone che frequentano i fast food più di due volte a settimana rispetto a chi frequenta i fast food meno di una volta alla settimana hanno fatto registrare un aumento di peso di 4,5k g maggiore e un aumento dell’insulino-resistenza del 104%.

Un’altra nota dolente del consumo di cibo spazzatura riguarda l’insorgenza di malattie cardiovascolari. L’Università del Minnesota ha effettuato una ricerca su 52.000 abitanti di Singapore pochi anni dopo la diffusione in questo Stato del cibo spazzatura. Il profilo del tipico frequentatore di fast food singaporiano è giovane, fisicamente sano, istruito e non fumatore. Nonostante questo, il rischio di morte prematura per malattie cardiovascolari

cresce del 20% per chi fa un pasto a settimana al fast food; del 50% per chi fa 2 o 3 pasti e addirittura dell’80% per chi fa più di 4 pasti.

Problemi psicologici

Numerosi studi mostrano come il junk food crei dipendenza (“junk food addiction”) paragonabile a quella da sostanze psicotrope. Questa dipendenza viene indotta tramite una notevole quantità di grassi e carboidrati raffinati attraverso una particolare elaborazione artificiale.

In sostanza gli alimenti a cui sono stati aggiunti grassi, zuccheri e sali vanno ad agire sui recettori della dopamina (gli stessi che si attivano con l’assunzione di droghe). Nel momento in cui questi recettori non sono più stimolati il nostro organismo si sente privato di qualcosa e si innesca la dipendenza. Ma non finisce qui: uno studio americano mostra come gli alimenti ad alto indice glicemico generano dopo qualche ora dall’assunzione un abbassamento dell’umore, inteso come senso di spossatezza e sensazione di perdita di energia. Infine uno studio condotto su un campione di bambini e adolescenti iraniani ha mostrato come ci sia un legame statisticamente significativo tra il consumo di cibo spazzatura e i disturbi psicologici e tra il consumo di cibo spazzatura e i comportamenti violenti.

Il dato preoccupante è che il consumo dei prodotti alimentari ricchi di calorie vuote (ipercalorici) pieni di coloranti e sostanze chimiche, cresce a vista d’occhio, di anno in anno. La stampa americana, tra cui il New York Times Magazine, molto sensibile al tema, negli ultimi anni ha dedicato ampi spazi per descrivere come grandi aziende alimentari americane facciano ricerca in vari ambiti, dalla farmacologia al marketing, alle neuroscienze, per inventare cibi che creano, in qualche modo, dipendenza. In alcuni Paesi per ridurre il cibo spazzatura hanno introdotto tasse su alimenti che hanno oltre il 2,3% di grassi saturi, sulle bevande non salutari che contengono oltre 20 mg di caffeina ogni 100 ml. Altri Paesi hanno vietato la trasmissione televisiva di pubblicità di cibi spazzatura dannosi per la salute dei bambini.

Come orientarsi e come diventare consapevoli?

C’è solo una strada possibile: informarsi e imparare a leggere le etichette. Cominciare a ragionare in termini di qualità del cibo che scegliamo per alimentarci e non di quantità.

Le abitudini, le false credenze, la pubblicità quasi sempre non etica e spesso fuorviante, ci hanno convinto che nulla fa veramente cosi male.

Ma non è cosi, perché il nostro corpo in tutta la storia dell’evoluzione ha imparato a riconoscere cosa è naturale. Se ci alimentiamo per anni con prodotti che non riconosce, prima o poi ci chiederà il conto (pensiamo al crescente fenomeno delle intolleranze).

Un altro consiglio è di acquistare cibo biologico quando possibile, oppure da piccoli agricoltori o aziende artigianali che si conoscono e che godono di un buon nome (non quello della pubblicità, ma quello dei clienti). Apportando gradualmente dei cambiamenti nell’alimentazione dando più importanza al cibo di prossimità, stagionale e sostenibile o in altre parole riprendendo la frase simbolo di Slow Food, un cibo Buono, Pulito, Giusto e sano per tutti.

A cura della Condotta Slow Food Valdemone

 

Per approfondire:

1) Jafari M, Izadi A, Dehghan P, Mojtahedi SY: Dietary diversities score and anthropometric characteristics in Iranian elementary school children. Eur J Transl Myol. 2019 Aug 26;29(3):8339. doi: 10.4081/ejtm.2019.8339. eCollection 2019 Aug 2.

2) Harrison R, Warburton V, Lux A, Atan D.: Blindness Caused by a Junk Food Diet. Ann Intern Med. 2019 Sep 3. doi: 10.7326/L19-0361.

3) Mosca A, De Cosmi V, Parazzini F, Raponi M, Alisi A, Agostoni C, Nobili V.: The Role of Genetic Predisposition, Programing During Fetal Life, Family Conditions, and Post-natal Diet in the Development of Pediatric Fatty Liver Disease. J Pediatr. 2019 Aug;211:72-77.e4. doi: 10.1016/j.jpeds.2019.04.018. Epub 2019 May 23.

4) Andrew O. Odegaard, Woon Puay Koh, Jian-Min Yuan, Myron D. Gross, and Mark A. Pereira. Western-Style Fast Food Intake and Cardio-Metabolic Risk in an Eastern Country. Circulation, July 2 2012 DOI: 10.1161/CIRCULATIONAHA.111.084004

5) Gangwisch JE, Hale L, Garcia L, Malaspina D, Opler MG, Payne ME, Rossom RC, Lane D: igh glycemic index diet as a risk factor for depression: analyses from the Women’s Health Initiative. Am J Clin Nutr. 2015 Aug;102(2):454-63. doi: 10.3945/ajcn.114.103846. Epub 2015 Jun 24.