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La Bolivia compie 200 anni: il bello, il brutto e il povero

La Bolivia compie 200 anni: il bello, il brutto e il povero

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di Massimiliano Cavaleri

Nel 2025 la Bolivia compie 200 anni di indipendenza: una terra dove il bello incrocia il brutto e si mescola col povero, la capitale La Paz è la più alta, ma anche la più orribile e paradossale, del mondo e le potenzialità inespresse di un paese arretrato e non organizzato, ma nonostante tutto, unico e affascinante, fanno rabbia ai pochi turisti, che risultano essere viaggiatori “professionisti”, non di massa.
La Bolivia si trova nel cuore del Sudamerica, senza mare grazie ad un presidente analfabeta il quale, non sapendo comprendere un trattato, cedette l’antico affaccio sull’oceano, che di certo l’ha penalizzata nei secoli; per metà si estende sulle Ande con una media tra i 3000 e i 4300 mt sul livello di mare e vanta splendide perle con record di altitudine che meritano attenzione: il grande e suggestivo lago navigabile Titicaca, diviso col Perù, dove sarebbe nata la civiltà Inca e da loro considerato sacro tanto che gettavano nelle sue acque preziosità, poi pescate dagli archeologi; Uyuni, il deserto di sale più grande del globo, dove la luce accecante del bianco incontra il cielo in uno scenario lunare, qui si nascondono oltre 100 milioni di tonnellate di litio, ancora non sfruttate appieno, sarebbero sufficienti per tutti gli smartphone del pianeta; alcuni patrimoni Unesco tra cui Sucre, capitale “religiosa”, denominata la ciudad blanca per il colore predominante di chiese e palazzi, il Fuerte di Samaipata, una sorta di “Machu Pichu boliviano”, il sito archeologico Tiwanaku e la cittadina di Potosì, che nel 1500 aveva il triplo degli abitanti di Parigi grazie alla miniera d’argento più ricca del mondo, tutti si trasferirono qui, poi la magia finì e oggi a malapena c’è l’asfalto fuori dal centro… I minatori impavidi continuano a scavare in condizioni atroci, forse peggiori degli schiavi del ‘600, e dopo 15 anni muoiono puntualmente di silicosi. Come si fa a permettere questo nel 2024?

La Bolivia, a differenza di altri paesi confinanti come Cile (stato europeo a tutti gli effetti) e Colombia (ormai lanciata nel turismo internazionale nell’era post Pablo Escobar) e, per certi versi anche Perù, non ha saputo ancora fare un salto di qualità, neppure sfruttare il narcotraffico per rifarsi un po’ il look o quantomeno dare ai visitatori una parvenza di modernità, con rare eccezioni. Inutile il paragone con Brasile e Argentina che, seppure sommersi dai problemi, sono anni luce lontani. In terra boliviana imperversano in modo capillare povertà, inquinamento, degrado urbano, fino a poco tempo fa analfabetismo, solo per citare alcuni delle questioni più evidenti che a La Paz trovano una sintesi eclatante. Il gusto pare essere presente solo nella cucina, degna di nota come la gentilezza delle persone che non ti negano mai un sorriso.
È quasi opportuno chiedersi e riflettere se in fondo questa indipendenza bicentenaria, che tanto decantano e sono pronti a celebrare, sia servita alla nazione o la abbia invece condannata ad un inesorabile destino di miseria e non curanza, stante le enormi risorse (tra cui il petrolio) e bellezze naturali. La voglia di riscatto e autonomia, uniti alle volontà patriottiche e agli interessi dell’800, che hanno portato il popolo a lottare duramente per liberarsi della Spagna, colonizzatrice per diversi secoli, sono sacrosanti e lodevoli alla luce del principio di autodeterminazione dei popoli, se letti nella chiave rivoluzionaria contro la sudditanza del tempo, comune a tutta l’America del Sud; ma reinterpretati con l’avvento delle successive democrazie europee e persino delle vicine dittature, che hanno funzionato dal punto di vista economico, si rivelano insuccessi storici ed epocali, difficili da metabolizzare e superare oggigiorno quando le potenze economiche schiacciano i più piccoli che alla fine tornano ad dovere essere dipendenti 2.0. A ciò si aggiungono instabilità politica e brogli elettorali che fanno alternare presidenti più o meno corrotti in una dichiarata ma non proprio effettiva democrazia, tra un tentato colpo di stato e qualche accordo coi trafficanti di droga.


Ancora più ridicolo se pensiamo che una parte del paese, quella più pianeggiante sud-orientale, capitanata dalla città di Santa Cruz de la Sierra (ormai uno dei centri più importanti in termini economici e di popolazione, con un aeroporto intercontinentale) vanta persino rivendicazioni secessioniste rispetto all’area di La Paz che invece domina l’altopiano andino. Insomma neo-indipendentisti che voglio essere autonomi dagli indipendenti neo-dipendenti: fortuna che qualche anno fa abbiano perso un referendum popolare (taroccato?); altrimenti avremmo avuto una Bolivia 2, senza neppure montagne. Le stesse montagne su cui i boliviani si sono ostinati a costruire e far crescere La Paz: uno dei luoghi più inspiegabili sulla Terra, una capitale ricavata da un ripidissimo dirupo che scende vertiginosamente fino a valle, pensata male e cresciuta peggio, insalvabile dal punto di vista urbano. È costellata da migliaia di case perlopiù non intonacate: assurdo ma vero, in questo modo si pagano meno tasse, ora però è in ballo un disegno di legge che prevede il contrario cioè se spendi soldi per completare e abbellire, risparmi.

La parte in cima è chiamata “El Alto”: ospita l’aeroporto ed è ormai diventata una città vera e propria, con il mercato più grande della Bolivia, dove regna il caos. Da qui per raggiungere la lontanissima zona sud, poco più “europea”, da 10 anni esiste il “Mi Teleferico”, la più grande funivia urbana del mondo, costruita dagli austriaci e in grado di collegare in circa 1 ora e 20 minuti un lato e l’altro della capitale. Quasi l’unica curiosa attrazione turistica perché funziona come una “metro del cielo” con stazioni e linee colorate. Il centro storico è pieno di stradine e ripide salite che ricordano San Francisco o Lisbona, con la differenza della bruttezza architettonica e della totale assenza di manutenzione: nella piccola piazza principale la Cattedrale “appiccicata” al Palazzo del Governo, uno scempio tra palazzo dell’800 e un mezzo grattacielo moderno che sbuca dietro e, dirimpettaia sulla destra, l’Assemblea legislativa; bella e interessante la chiesa – monastero di San Francesco che affaccia su un’altra piazza, cuore della proteste e del passeggio pedonale, in mezzo all’unico viale che attraversa la città e ricorda le bolge dantesche con infiniti piccoli pulmini vetusti dai fumi neri, fermi a raccogliere passeggeri a mo’ di collettivo messicano: con pochi spiccioli raggiungono le proprie destinazioni quotidiane. Al fianco un fiume inquinatissimo di scarichi industriali in cui la schiuma bianca sostituisce l’azzurra acqua che scorre velocemente in discesa. Alcuni centri asiatici sono simili: ad esempio, New Delhi, ma lì almeno è tutto pianeggiante e si alternano zone povere e degradate a bellezze maestose che a La Paz sono del tutto assenti; idem Katmandu in Nepal che, distrutta dal terremoto, è ancora sterrata ma vanta la sua atmosfera orientale.

Atmosfera che manca a La Paz se non nel divertente mercato delle streghe dove si vendono talismani, amuleti, tarocchi ma soprattutto pozioni d’amore, elisir ed essenze afrodisiache e… feti di lama. Infine la galleria del “Gaudì di La Paz”, l’artista Mamani Mamani che ha esposto anche in Europa, apprezzato per aver rivisitato la pittura indigena in chiave neobarocca con colori e messaggi legati alla Pachamama (madre natura, venerata come religione antica in tutta la Bolivia, ancora oggi da diversi gruppi etnici); molto dei suoi noti murales hanno abbellito edifici popolari di “El Alto”. Come scrive bene Lonely Planet “Puoi amare o odiare La Paz, ma non la puoi ignorare”. Forse è così per tutta la Bolivia?