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di Marinella Ruggeri
Che l’ascolto della Musica migliori il nostro umore, favorisca il rilascio di dopamina, neurotrasmettitore coinvolto nella regolazione del piacere, riduca l’ansia e lo stress attraverso l’abbassamento del livello di cortisolo, l’ormone legato allo stress e aumenti, in definitiva, l’ottimismo, la positività, ritardando anche l’invecchiamento cerebrale, è stato già ampiamente dimostrato in numerosi studi pubblicati su riviste scientifiche internazionali.
E’ più recente la scoperta che in particolare ascoltare la propria musica preferita allevia il dolore, riducendo la sensibilità allo stesso. Il fenomeno si chiama ipoalgesiae a rivelare il collegamento tra musica e dolore è uno studio della Université de Montréal e McGill University pubblicato sulla rivista Frontiers in Pain Research in cui i ricercatori rilevano che la musica preferita scelta dai partecipanti ha un effetto molto più grande sulla riduzione del dolore termico acuto rispetto a una qualunque musica rilassante sconosciuta alla persona, e, in particolare le risposte emotive al brano ascoltato svolgono un ruolo molto forte nell’alleviare l’intensità del dolore.
Per testare quale tipo di musica fosse più efficace nel ridurre il dolore, i partecipanti hanno ricevuto stimoli termici moderatamente dolorosi sull’avambraccio, che hanno provocato una sensazione simile a quella di una tazza calda tenuta contro la pelle. I ricercatori hanno associato a questi stimoli l’ascolto di pezzi di brani musicali, ciascuno della durata di circa sette minuti. È emerso che rispetto a brani di controllo o al silenzio, l’ascolto della musica preferita da ciascuno ha fortemente ridotto l’intensità e la spiacevolezza del dolore nei partecipanti. Gli autori concludono che probabilmente non è solo la distrazione offerta dall’ascolto o la presenza di uno stimolo sonoro a causare l’ipoalgesia.
Certamente la Musica si comporta come un vero antidolorifico naturale, favorendo il rilascio di endorfine, ecco perché và sostenuta l’importanza della diffusione della musica classica negli ospedali, ma anche nelle case di riposo, inRSA e, in generale in tutti luoghi di sofferenza e di solitudine.
L’ascolto della Musica incide su quel concetto definito dalla OMS secondo il quale la salute non è solo assenza di malattia, ma la migliore condizione psicofisica che ognuno di noi è in grado di assicurarsi.
La musica ha un effetto calmante, riduce la tensione muscolare, migliora l’umore, migliora il sonno, riduce il livello di stress. Sembra che questo sia possibile perché la musica oltre a permettere di ridurre il cortisolo (ormone dello stress), favorisce la produzione di ossitocina (ormone della felicità) e di serotonina, neurotrasmettitore che aiuta, tra le altre cose, il buon umore, il riposo, l’appetito. Ascoltare musica può migliorare le performance sportive , alleviare le conseguenze di un trauma, persino in fase di isolamento da COVID ne abbiamo sperimentato il potere, e, in questo periodo, purtroppo nella guerra.
Ciascuno di noi, nelle giornate in cui è giù di morale, avrà sperimentato che quasi istintivamente, cerca di ascoltare la sua canzone preferita, o la imposta come suoneria del proprio smartphone .
La scienza ha dimostrato che, agendo sulle zone più primitive del cervello, è in grado di abbassare l’ansia da prestazione, ad esempio di una gara, di un intervento chirurgico, di un parto. A dimostrarlo sono state numerose ricerche. Gli studiosi hanno scoperto che la musica aiuta la concentrazione , incrementa la resistenza fisica e svolge un vero e proprio effetto dopante, migliorando le performance.
La riabilitazione cognitiva trova una alleata preziosa nella musica, specie,
nel trattamento di pazienti affetti da malattie neurodegenerative e psichiatriche da lesioni cerebrali. Infatti, migliora la neuroplasticità contribuendo al recupero di funzionalità linguistiche e motorie.
Per prevenire il fisiologico calo dell’udito dovuto all’avanzare dell’età, potrebbe essere utile ascoltare la musica. Un esperimento che ha coinvolto 163 persone, di cui la metà erano musicisti professionisti, ha messo in luce che i musicisti settantenni possedevano la stessa capacità di distinguere i suoni in un ambiente rumoroso dei cinquantenni non musicisti.
La musica ha inoltre, il potere di alterare i sapori, se ci pensiamo, persino un vino rosso più scadente, se sorseggiato con una musica di sottofondo profonda e calda, può sembrare più corposo, o un vino bianco accompagnato da una canzone allegra e ritmata lo farà apparire più frizzante e fruttato.
Ma tornando al punto iniziale, sono proprio le neuroscienze a evidenziare che l’ascolto del genere musicale favorito, qualunque esso sia, attiva sempre uno specifico network di connessioni cerebrali, indipendentemente dal tipo di musica e dalla presenza o meno di parole nelle canzoni. Mentre l’ascolto di un brano musicale che non amiamo non genera la stessa emozione; sentire risuonare i pezzi di un gruppo che amiamo crea immediatamente un riflesso introspettivo. Questo è noto da tempo, ma le dinamiche neurali all’origine di queste sensazioni non erano ancora state indagate a fondo.
I ricercatori dell’Università del North Carolina, e della Wake Forest School of Medicine di Winston-Salem (USA) hanno esaminato le risonanze magnetiche funzionali (fMRI) di 21 volontari sottoposti all’ascolto di brani musicali di vario genere. In particolare, sono state analizzate le scansioni cerebrali prese in tre condizioni: l’ascolto di un pezzo del proprio genere preferito, di un pezzo del genere meno amato, e della propria canzone favorita in assoluto. Le analisi hanno evidenziato che, quando si sente la propria canzone preferita, nel cervello si attiva una rete di aree cerebrali chiamata default mode network (DMN): un circuito importante per il lavoro mentale di introspezione e di elaborazione di piani, progetti e azioni, che funziona solitamente quando una persona è sveglia, in condizione di sano riposo. Lo stesso circuito si disattiva temporaneamente quando ascoltiamo una canzone che non ci piace. Il nostro pezzo preferito sembra potenziare la connettività tra le regioni cerebrali che processano gli stimoli uditivi e l’ippocampo, una struttura cerebrale implicata nel consolidamento della memoria e delle emozioni sociali. Entrambe le condizioni si verificano indipendentemente dal genere cui appartiene la canzone preferita, e sia essa con o senza parole.
«Questi risultati possono spiegare perché persone che ascoltano brani molto diversi, come quelli di Eminem o Beethoven, sperimentino gli stessi stati emotivi e mentali» commentano gli autori dello studio. I risultati potrebbero servire a impostare nuove forme di musicoterapia dirette a svariate condizioni di patologia, una fra tutte, l’autismo.