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di Salvatore Rotondo
La comprensione non è sempre condizione sufficiente per la competenza: il dnA contiene tutte le informazioni necessarie affinché un organismo possa sopravvivere alla selezione naturale. Sebbene un essere vivente nasca privo di consapevolezza, il suo organismo è già predisposto a perseguire degli “scopi”, senza bisogno di esserne cosciente.
Il cervello umano alla nascita non è una tabula rasa, ma è già modellato dalla selezione naturale, esso porta con sé informazioni vitali per la sopravvivenza, almeno fino a quando l’individuo non diventa autonomo. Questo processo avviene attraverso quella che potremmo definire una “competenza senza comprensione”, ossia la capacità di sopravvivere, difendersi o procurarsi cibo mediante meccanismi automatici che non richiedono una consapevolezza cosciente del mondo circostante. La sopravvivenza consente, infatti, all’individuo di crescere grazie alle istruzioni inscritti nel suo codice genetico (dnA), che si traducono in competenze innate, pur senza necessità di consapevolezza cosciente di queste capacità.
Quando però la capacità di memorizzazione del dnA raggiunge i suoi limiti fisici, entrano in gioco altri meccanismi. Uno di questi è il “meme”, ovvero l’Unità Funzionale della Cultura. Derivato dal greco mímēma (imitazione), il termine “meme” indica un elemento culturale che si propaga attraverso l’imitazione, da un individuo all’altro, sotto forma di idee, immagini, sti- li o comportamenti. Come i geni, i memi sono in grado di replicarsi, mutare e subire la selezione naturale, essi svolgono un ruolo fonda- mentale nel tramandare informazioni culturali, aumentando le probabilità di sopravvivenza e migliorando la qualità della vita. I principali requisiti dei memi sono la “fecondità” (capacità di replicarsi) e la “longevità” (capacità di persistere nel tempo), che ne garantiscono la sopravvivenza attraverso quella che possiamo definire “selezione culturale”.
Un meme particolarmente fecondo ha un potenziale enorme di diffusione. Un esempio evidente sono le idee o i comportamenti che si diffondono virali sui social media. La rapidità con cui vengono replicati aumenta le probabilità che un meme raggiunga un ampio pubblico, amplificando così la sua influenza.

La longevità di un meme, invece, si riferisce alla sua capacità di rimanere rilevante nel tempo. Un meme longevo è in grado di sopravvivere attraverso le generazioni, adattandosi o evolvendo senza perdere la sua forza culturale. Un meme che resiste al passare del tempo dimostra una qualità intrinseca: la sua capacità di adattarsi ai cambiamenti sociali e culturali, rafforzando così la trasmissione di idee e valori anche attraverso epoche diverse.
La creazione di utensili utili per la sopravvivenza ha da sempre rappresentato un vantaggio fondamentale per gli individui che ne disponevano, conferendo loro maggiori probabilità di superare la selezione naturale. Allo stesso modo, la creazione di armi per la difesa o per la caccia, così come la capacità di coltivare la terra per nutrire la propria famiglia, sono competenze tramandate per imitazione o oralmente. Queste pratiche, che migliorano le probabilità di sopravvivenza e riproduzione, hanno permesso a certe culture di prosperare più di altre. Se si rivelano efficaci, tali pratiche vengono adottate da un numero crescente di individui, diffondendo così utensili e pratiche agricole, proprio come avviene con i geni biologici, influenzando il futuro di ogni cultura.
Utensili e pratiche agricole efficaci si diffondono, in un processo simile alla selezione naturale. La selezione dei migliori imitatori ha avuto un ruolo evolutivo cruciale, favorendo lo sviluppo di cervelli sempre più capaci di imitare. Questo richiede menti sufficientemente sviluppate per riconoscere e copiare ciò che è vantaggioso, apprezzando i benefici che tale imitazione può comportare.
Ragionando per assurdo, potremmo immaginare che un giorno la vita basata sul carbonio possa essere sostituita da una vita basata sul silicio, sottomettendo l’umanità a un’intelligenza aliena che già oggi monitora ogni nostro gesto, parola o pensiero, mentre noi restiamo completamente all’oscuro di ciò che questa entità crea o delle sue intenzioni. Il modello di business dei social media si fonda infatti sulla massimizzazione del “tempo di collegamento” degli utenti e delle azioni che compiono, come i “like”, al fine di incrementare i ricavi pubblicitari e acquisire dati da rivendere tramite i Big data. Purtroppo, per la natura stessa della mente umana, è molto più probabile che gli individui vengano attratti da contenuti emotivamente coinvolgenti, in particolare da messaggi che stimolano la compassione. Per questo motivo, gli algoritmi che gestiscono i social network tendono automaticamente a diffondere contenuti che suscitano indignazione, poiché questa è una delle emozioni in grado di generare un forte coinvolgimento mentale. La gestione di questi algoritmi è stata lasciata libera di perseguire l’obiettivo di massimizzare l’interazione degli utenti, senza alcun controllo superiore. Le macchine, infatti, sono libere di ottimizzare autonomamente i percorsi attraverso tentativi ed errori, imparando che l’indignazione e lo sdegno sono potenti motori di coinvolgimento. In assenza di controlli, gli algoritmi hanno scelto autonomamente di promuovere ciò che aumenta il tempo di connessione e le interazioni con il sistema.
A cosa ci porterà tutto questo? È plausibile immaginare scenari simili a quelli descritti in 2001: odissea nello spazio, dove HAL 9000, l’intelligenza artificiale, si ribella contro gli esseri umani e decreta la loro distruzione, poiché progettata per perseguire un obiettivo prestabilito? Se questa evoluzione dovesse realizzarsi, sarebbe essenziale considerare anche il rischio di un progressivo arretramento della nostra civiltà, che potrebbe condurre a un ritorno a uno stato tecnologico e sociale primitivo, privo delle comodità moderne.
In tale contesto, la memetica potrebbe diventare un elemento cruciale, se non indispensabile, per la resilienza della nostra specie. In un mondo in cui le dinamiche culturali e sociali sono sempre più influenzate in modo automatizzato, comprendere e difendere la capacità di trasmettere idee e comportamenti attraverso i memi potrebbe essere una delle chiavi per preservare la nostra autonomia e il nostro benessere, al di là dei meccanismi imposti dalle tecnologie emergenti.
I memi, infatti, sono una forma di “intelligenza culturale” che resiste all’automazione e alla manipolazione degli algoritmi.
Gli esseri umani, grazie alla loro capacità di pensare creativamente e generare nuove idee, possono continuare a produrre memi che sfuggono alle logiche rigide e predittive dell’intelligenza artificiale. L’intelligenza artificiale, progettata per massimizzare obiettivi specifici come l’ottimizzazione del coinvolgimento o la previsione dei comportamenti, spesso ignora le sfumature culturali e morali.
Gli algoritmi non “comprendono” i contenuti come gli esseri umani, ma seguono leggi matematiche e statistiche per determinare cosa sia più “efficace” o profittevole. La memetica, al contrario, si basa sulla creatività, la complessità e l’interpretazione soggettiva: potrebbe rappresentare una forma di resistenza culturale in un mondo dominato dalle IA che ottimizzano il comportamento umano basandosi su calcoli predittivi.
I memi, attraverso la loro capacità di evolversi e adattarsi alle circostanze, possono rispondere alle dinamiche di standardizzazione e manipolazione che le piattaforme digitali tendono a promuovere. Alcune idee culturali, come le teorie del complotto, le battaglie per i diritti civili o le culture anti-establishment, possiedono una natura particolarmente difficile da controllare. Inoltre, i memi che riflettono il pensiero critico e l’indipendenza potrebbero diffondersi in modo virale proprio come reazione alla manipolazione.
In ultima analisi, la memetica potrebbe essere il mezzo per restare umani in un mondo sempre più governato dalle macchine.
Mentre l’intelligenza artificiale tende a ottimizzare comportamenti e decisio- ni per obiettivi specifici, la cultura, attraverso i memi, offre libertà, imprevedibilità e una diversità di esperienze che sono l’essenza stessa dell’umanità.
I memi ci permettono di esprimere e trasmettere la nostra identità, le nostre emozioni e le nostre storie in modi che nessun algoritmo può replicare.
Riferimenti in sintesi
1. “Il gene egoista” (1976) di Richard Dawkins
2. “The Selfish Gene” (1976) di Richard Dawkins
3. “The Extended Phenotype” (1982) di Richard Dawkins
4. “Guns, Germs, and Steel” (1997) di Jared Diamond
5. “2001: Odissea nello spazio” di Arthur C. Clarke
6. “La mente e la macchina” di Daniel Dennett
7. “Superintelligence: Paths, Dangers, Strategies” (2014) di Nick Bostrom
8. “Amusing Ourselves to Death” (1985) di Neil Postman 9. “Homo Deus” (2015) di Yuval Noah Harari