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a cura di Giovanni Pulitanò
Come Domagk al cui nome vengono legati i sulfamidici, grandi antagonisti df molti pericolosi batteri, anche Fleming, medico scozzese era un “cacciatore di mìcrobi” per passione. Il dottor Alexander Fleming, batteriologo presso il St. Mary’s di Londra era un signore tranquillo, metodico nel suo lavoro ed attento.
Nel 1922 aveva un forte raffreddore da parecchi giorni, decise allora di prelevare un campione delle proprie secrezioni nasali e di incubarle su piastre per la coltura. Analizzando le colonie di batteri cresciute una sua lacrima cadde, involontariamente,
sulla piastra di coltura. Il giorno dopo rivedendo la medesima coltura si accorse, con stupore, che i batteri erano cresciuti ovunque meno che nel punto dove era caduta la lacrima e per questo pensò che poteva esserci una sostanza che distruggeva le cellule batteriche che lui chiamò Lisozima. Questa esperienza gli servì nel 1928 ad essere attento nella scoperta di una sostanza che non derivava da reazioni chimiche, bensì dal processo metabolico di certi microorganismi, innocui per l’uomo ma potenti verso i germi infettivi. Infatti nel Settembre 1928 Fleming è affaccendato nel suo piccolo laboratorio al St. Mary’s Hospital, squallido con poche antiquate ed obsolete apparecchiature a disposizione.
Aveva coltivato alcuni ceppi di stafilococchi patogeni e controllando le piastre giunse ad una scoperta sensazionale: nel terreno di coltura si era formata una muffa verdognola. Le spore di questa muffa erano penetrate, verosimilmente, dalla finestra
del laboratorio e probabilmente si erano impiantate nella piastra proprio nel momento in cui Fleming aveva alzato il coperchio di vetro per esaminare la coltura stessa. Fleming è sul punto di distruggere la coltura inquinata ma poi esita e quest’ultima
esitazione decide di uno dei più importanti periodi della moderna medicina. Fleming ha scorto nel bordo della piastra, intorno alla grande colonia del fungo invasore, che gli stafilococchi erano scomparsi mentre sulla restante superfice di capsule di
Petri gli stafilococchi crescevano in rigogliose colonie. Fleming era alla soglia di una grandiosa scoperta che gli era stata regalata dalla fortuna “a stroke of good fortune” come lui diceva.
Tutto ciò fu solo merito di una momentanea fortuna? Certo la dea bendata ebbe la sua parte, ma nella ricerca, secondo la massima di Pasteur la fortuna favorisce “lo spirito preparato”. Fleming disse che il fungo coltivato in brodo di carne, attaccava
soprattutto i gram positivi: tra questi gli stafilococchi, gii streptococchi, gli pneumococchi, i bacilli del tetano e della differite. Secondo Fleming il suo fungo apparteneva alla specie del “penicillum rubrum” in seguito classificato in “penicillum notatum”, dai batteriologi.
All’inizio l’ostinazione con cui Fleming insiste sulla sua penicillina lo rende agli occhi dei suoi colleghi un originale, deriso alle spalle, uno scienziato che si era innamorato dell’oggetto sbagliato. Nel 1940 una dose sicuramente mortale di batteri viene inoculata in 50 topi; la metà di essi viene trattata con penicillina. Di questi topi, 24 sopravvissero senza danni alcuno. Al contrario, tutti gli animali non trattati con penicillina decedono dopo poche ore. Il primo paziente trattato fu un poliziotto londinese per una ferita prodottasi al viso radendosi la barba che inquinandosi produce una grave forma di malattia per cui medici curanti, visti inutili i tentativi con i sulfamidici, provano la penicillina che ottiene rapidi miglioramenti; però il caso finisce con la perdita del paziente perché era finita la modesta scorta del farmaco. Per quanto questo esordio del nuovo
farmaco sia finito tragicamente, ben presto si ha notizia di strepitose guarigioni in altri malati.
Era cominciata l’era antibiotica potendo avere a disposizione massicce produzioni di penicillina prodotta dalla ditta farmaceutica Hoechst che tramite due giovani scienziati Chain e Florey riuscì a concentrare e sintetizzare la penicillina utilizzando la muffa dei meloni che contiene notevole quantità del prodotto.