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di Giuseppe Ruggeri
Cogliendo spunto dall’ultimo editoriale di Salvo Rotondo, non posso che sommessamente unirmi al coro di quanti come lui, e a ragione, stigmatizzano l’attuale mancanza, a livello istituzionale, di personalità dotate della lucidità sufficiente per affrontare l’attuale congiuntura. Una lucidità che Leonardo Sciascia, in altri e forse più pregnanti termini, definiva “tenace concetto”, ove tenacia ben descrive l’atto strenuo di resistere alla tempesta.
E “nave senza nocchiero in gran tempesta” (tralasciando il resto per non scadere nel pur necessario a volte turpiloquio n.d.r.) si mostra oggi, così com’era all’epoca del Sommo Poeta, il Belpaese. Al quale di bello, a ben vedere, resta solo l’inestimabile patrimonio artistico e culturale temporaneamente negato ai legittimi fruitori in quanto ritenuto “non essenziale”. Cinema e teatri, musei e luoghi d’intrattenimento culturale sacrificati per frenare un contagio che, nonostante tutto, continua. Perché il virus, volenti o nolenti, dobbiamo accettarlo in mezzo a noi. Tentando di conviverci. Come, volente o nolente, sta cercando di fare lui.
“Viva l’Italia/ l’Italia liberata” scrive e canta un altro poeta, Francesco De Gregori. Ma quando ci decideremo a liberarla, quest’Italia? Non certo dal virus con cui, come già si è detto, dovremo probabilmente coesistere, ma dal più insidioso e pervasivo contagio del “mainstream”, dei cori alla finestra e del sentito dire, dai soloni della tastiera che pontificano senza requie arrogandosi titoli e diritti. Perché, tanto, la tuttologia è ormai una scienza che fa adepti a palate, e senza bisogno di alcun esame attitudinale. Donald Trump, per fare un esempio, ha sempre affermato che non crede alla scienza; in altre parole significa che l’esperienza, “la strada” (parafrasando Jack Kerouac) insegna molto di più che valanghe di libri. E la laurea? Superata. D’altronde più di un nostro politico attuale si è vantato di non possederne una.
“La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini”. E’ sempre Sciascia a metterci in guardia dai facili terrorismi che risvegliano archetipi atavici, pulsioni represse, paure immotivate, e così facendo irrigidiscono il nostro intelletto, privandolo della razionalità necessaria per fronteggiare le situazioni. Un terrore veicolato da una stampa criminale che, in nove mesi di pandemia ha scosso l’opinione pubblica fino allo spasimo, inducendo sentimenti di panico che, in uno con un’infezione mal trattata a causa della mancata territorializzazione dell’assistenza, sono responsabili dell’intasamento dei nostri ospedali. Il che rende difficile, e a volte anche impossibile, la cura di altre e più gravi patologie.
Fabrizio De Andrè, durante uno dei suoi rari concerti dal vivo, confidò al pubblico di aver sempre avuto “poche idee, ma nel compenso fisse”. Ecco io, nel mio molto piccolo, ritengo di averne una sola. Alla quale cerco da tempo di dare una risposta. Ma questa risposta, ci suggerisce Bob Dylan, “sta soffiando nel vento”.