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di redazione
L’Amministratore di Sostegno, una volta acquisita la volontà della persona amministrata, anche in via presuntiva e sulla base delle dichiarazioni già rese in passato e anche se l’individuo amministrato non ha espresso le “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT) ai sensi della Legge 22 dicembre 2017, n. 219, risulta pienamente abilitato a rifiutare le cure proposte, senza bisogno dell’intervento del giudice tutelare in quanto possiede la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario.
Lo ha stabilito il giudice tutelare del Tribunale di Roma il 23 settembre 2019 che ha sentenziato che “laddove, come nel caso di specie, l’Amministratore di Sostegno abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario della persona amministrata il consenso informato, in assenza di contrasti, è espresso esclusivamente dal medesimo amministratore”, con la conseguenza che questi “accertata la volontà della persona amministrata (anche in via presuntiva, alla luce delle dichiarazioni rese in passato dall’amministrata, anche alla presenza dello stesso amministratore) in merito alle terapie sanitarie in questione, è pienamente abilitato a rifiutare le cure proposte”.
Si sarebbe potuto trasformare in un nuovo caso Eluana Englaro con anni spesi in processi e sentenze per poter ottenere il diritto di morire interrompendo cure inutili capaci solo di tenere in vita un corpo inerme con un cervello che non funziona.
Con la sentenza Englaro, scaturita dall’impegno caparbio e dalla resilienza di Peppino, padre della sfortunata ragazza, molte cose sono cambiate. É stato finalmente approvato il testamento biologico, le DAT e soprattutto è stata riconosciuta l’importanza delle dichiarazioni fatte in vita dal malato e riconosciuta la figura dell’amministratore di sostegno come rappresentante di chi non può più parlare.
La vicenda da cui è scaturita la sentenza ha visto coinvolti il signor P., compagno e Amministratore di Sostegno della signora Beatrice, di 62 anni, in stato vegetativo irreversibile dal dicembre 2017 inerme e immobile in un letto da due anni. Ella aveva espresso in passato, ogni volta che veniva a conoscenza di casi di persone in stato vegetativo, l’esplicita affermazione che se fosse accaduto a lei, non avrebbe voluto per alcuna ragione sopravvivere a tutti i costi in uno stato di incoscienza irreversibile. Queste dichiarazioni private venivano raccolte dal compagno e Amministratore di Sostegno P., dalla mamma, dalle sorelle, dal fratello, dalla figlia e dall’ex marito. Tutte le persone a lei vicine, compresi gli amici ne erano esplicitamente a conoscenza.
Tutto questo ha consentito al Giudice Tutelare di Roma a sentenziare che un Amministratore di Sostegno, accertata la volontà della persona amministrata (anche in via presuntiva, alla luce delle dichiarazioni rese in passato) in merito ad un trattamento sanitario, è legittimato a rifiutare le cure proposte, anche in assenza di DAT.
Così facendo finalmente si mette in primo piano la volontà della persona evitando che si sia costretti a vedere riconosciute le volontà dell’individuo espresse quando era in grado di poterlo fare attraverso il potere/dovere dell’Amministratore di Sostegno dopo anni di inutili controversie legali.