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di Noemi Urso
Le bufale sono sempre esistite: si fanno risalire i primi casi di falsi storici a documenti come la Donazione di Costantino (IV secolo d.C.) o la leggenda del martirio di Simonino da Trento (1475) [1]. Soltanto con la diffusione di massa di Internet, però, il fenomeno delle fake news ha raggiunto dimensioni fuori controllo, ed è salito alla ribalta delle cronache fino a essere scelto come parola dell’anno secondo i compilatori del Collins Dictionary nel 2017: il suo utilizzo è infatti incrementato del 365% nel corso dell’anno precedente [2].
Fin dall’inizio dell’emergenza pandemica del 2020, l’OMS ha lanciato l’allarme sull’infodemia, definita come “un’abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno” e che possono “potenzialmente danneggiare la salute della popolazione, come le false misure di prevenzione e cure” [3]. Ma come vedremo più avanti, le fake news hanno sempre posto un problema per la salute dell’uomo.
Che cosa sono le fake news?
Sempre secondo la definizione del Collins Dictionary, le fake news sono informazioni false, spesso sensazionalistiche, diffuse come notizie. In realtà, già dal 2017 Claire Wardle e Hossein Derakhshan hanno proposto una nuova definizione per il problema, quella di “information disorder”, per contrastare l’utilizzo dell’etichetta “fake news” allo scopo di screditare notizie non gradite, soprattutto in politica [4].
La definizione di fake news, inoltre, non riesce a inquadrare correttamente un problema in rapida evoluzione che non si limita a essere rappresentato da notizie semplicemente false, ma comprende anche informazioni presentate in maniera faziosa o distorta, manipolate o decontestualizzate (disinformation), notizie involontariamente diffuse in maniera non corretta per errori alla fonte (minsinformation), o informazioni vere diffuse appositamente per creare danno come il furto di materiale privato, ma anche il cyberbullismo e i discorsi d’odio (malinformation). Un’analisi completa del problema non è l’obiettivo di questa scheda e vi rimandiamo per un approfondimento al report della Commissione Europea sul tema, stilato proprio da Wardle e Derakhshan [5].
Quali sono gli argomenti che le fake news toccano più spesso?
Una delle caratteristiche che rende un contenuto o una notizia particolarmente “virale” è la sua capacità di suscitare reazioni emotive in chi la legge. Questo ci induce a lasciare da parte razionalità, riflessione e verifica dei fatti, spingendoci a condividere a volte perfino prima di aver aperto la pagina che stiamo contribuendo a diffondere. Questo comportamento viene favorito dagli algoritmi dei social network, che tendono a riproporci contenuti che confermino ciò che già pensiamo (o almeno, che abbiamo condiviso o con cui abbiamo interagito in precedenza).
Tra gli argomenti preferiti per stimolare le nostre reazioni “di pancia” vi sono le storie ad alto tasso di emotività, i contenuti che stimolano la nostra indignazione e la nostra rabbia, quelli che sollevano timori e preoccupazione, quelli che ci fanno sentire parte di un gruppo di appartenenza coeso, quelli che promettono in cambio benefici (veri o presunti che siano). Le fake news che riguardano la salute sono tra queste: non solo si applicano a esse le considerazioni appena fatte, ma bisogna anche tenere in considerazione che il target di riferimento sono persone in particolare condizione di fragilità emotiva, a volte colpite – direttamente o indirettamente – da una patologia che non lascia speranza e quindi disposte a scendere a compromessi maggiori con l’attendibilità delle informazioni a cui si trovano di fronte.
Se a questi fattori si uniscono la grande disponibilità di informazioni che rende impossibile verificarle tutte e la scarsa alfabetizzazione digitale di gran parte degli utenti della rete – un’indagine dell’OCSE del 2019, infatti, ha restituito un’immagine piuttosto sconfortante dell’alfabetizzazione digitale degli italiani [6] – si comprendono i rischi devastanti che affrontano i pazienti o i loro familiari.
Si capisce facilmente perché un momento di crisi sanitaria che colpisce tutti a livello mondiale sia un’ottima occasione, per coloro che diffondono teorie pseudoscientifiche e terapie di non comprovata efficacia, per fare affari. Un’indagine di Avaaz ha stimato che solo su Facebook si sarebbero raggiunte 3,8 miliardi di visualizzazioni di contenuti disinformativi a tema salute nell’anno precedente all’agosto 2020, con un picco in concomitanza con la pandemia di Coronavirus, quattro volte di più rispetto ai contenuti diffusi dalle istituzioni sanitarie come l’OMS e, in Italia, il Ministero della Salute [7], una tendenza confermata anche dalla rete internazionale di giornalisti NewsGuard [8]. “L’algoritmo di Facebook è una grave minaccia per la salute pubblica” ha commentato il direttore delle campagne di Avaaz Fadi Qaran.
Cosa può succedere a chi casca nelle fake news a tema salute?
Negli ultimi anni abbiamo visto una triste casistica delle conseguenze di coloro che cadono nelle “bufale” a tema salute: l’effetto più estremo è ovviamente l’abbandono delle cure e, ovviamente, il decesso del paziente. A volte queste decisioni sono supportate dai curanti, che propongono teorie prive di solide basi di efficacia continuando a sostenerle anche quando il paziente si aggrava in maniera irreversibile.
Tra i casi di cronaca più conosciuti degli ultimi anni in Italia ricordiamo la paziente deceduta per una patologia neoplastica che il medico voleva curare con la Nuova Medicina Germanica, il bambino di sette anni deceduto per il tentativo dei genitori e del pediatra di curare un’otite con soli preparati omeopatici, e la diciottenne deceduta per un tumore curabile a causa del rifiuto dei genitori di sottoporla a chemioterapia per favorire l’autoguarigione, ancora secondo i principi teorizzati da Hamer. Ma si sono visti metodi ancora più insensati, e ovviamente privi di efficacia, che non hanno trovato altrettanta fortuna tra la popolazione – un esempio su tutti: curare le malattie con i ceci.
Non tutti i casi, per fortuna, sono così drammatici, ma ciò dipende dalla gravità della malattia e dalla speranza di vita di chi si rivolge a terapie di non comprovata efficacia. Chi è “fortunato” si limiterà a spendere delle somme di denaro di varia entità per intraprendere terapie inefficaci, riuscendo però ad abbandonarle e a rivolgersi alla medicina in tempi utili per risolvere la propria patologia senza conseguenze. Celebre è il caso di Stamina e dell’inventore della terapia, Davide Vannoni – che non era nemmeno un medico, bensì un abile comunicatore – che chiedeva circa 20mila euro per tre infusioni di cellule staminali per cui non esisteva alcuna prova di efficacia. E pensare che la lezione avremmo dovuta impararla da tempo, visto che per anni nel nostro Paese ha circolato il cosiddetto “Siero di Bonifacio”, un preparato che conteneva tra gli altri ingredienti dello sterco di capra e che avrebbe dovuto guarire dal cancro.
Quando si tratta di salute pubblica, però, la questione è ben più grave: nel caso di una pandemia o delle campagne vaccinali, in cui il comportamento dei singoli può impattare direttamente sulla comunità, le conseguenze delle scelte individuali possono influire sulla salute di tutti.
Quanto sono diffuse le fake news sulla salute?
Secondo un’indagine del Censis del 2018 dal titolo “La fiducia nei media al tempo delle fake news”, il ricorso alla rete per reperire informazioni a tema salute si attestava al 28,4% degli intervistati alla fine del 2017 – come dicevamo prima, l’anno in cui le fake news sono diventate problema riconosciuto a livello mondiale –, una percentuale che arrivava al 36,9 tra i giovanissimi, e quasi nove milioni di italiani si erano trovati di fronte ad almeno una fake news in tema di salute durante l’anno precedente [9]. Risultati più dettagliati sono disponibili nella nostra scheda “Il comportamento dell’utente in rete” e fanno però riferimento a sondaggi di periodi ancora precedenti.
Le indagini sono un po’ datate, ma non abbiamo motivo di pensare che le percentuali siano diminuite, anzi; come detto in precedenza, durante le primissime fasi della pandemia da Coronavirus tuttora in corso, l’OMS aveva allertato riguardo alla circolazione su internet di informazioni false o fuorvianti, che possono colpire in particolare chi non possiede gli strumenti per distinguere una fonte attendibile da una che non lo è, come abbiamo riportato nella nostra scheda “Sul coronavirus (SARS-CoV-2) ci stanno nascondendo qualcosa?”.
Cosa possiamo fare per difenderci?
Come già detto, non dobbiamo pensare che le fake news siano un fenomeno prettamente digitale, e il tema della salute non fa eccezione; anzi, se gli strumenti si sono evoluti non significa che non si possano ritrovare caratteristiche nel linguaggio e il tipo di narrazione usati in un passato per proporre rimedi dall’efficacia non comprovata – si vedano i casi dei venditori di olio di serpente tanto diffusi nei Paesi di frontiera, il dottor Dulcamara messo in scena da Donizetti nell’opera lirica “L’elisir d’amore”, la scena rappresentata nella “Estrazione della pietra della follia” di Hieronymus Bosch in cui un “paziente” si fa convincere da un ciarlatano a rimuovere quella che si credeva fosse la causa degli episodi di pazzia fino al Medioevo – con la differenza che oggi lo stesso strumento che ci pone questi rischi è anche lo strumento che, se utilizzato correttamente, può fornirci i mezzi per districarci nel mondo delle informazioni sanitarie, spesso molto difficile da frequentare per chi non ha una preparazione medica.
Nelle prossime schede approfondiremo alcuni argomenti utili a non cadere nelle fake news a tema salute; nel frattempo vi invitiamo a consultare la sezione Salute in rete e in particolare la scheda “Come identificare in rete informazioni sanitarie false e fuorvianti?” Nonché la sezione Navigazione consapevole con il suo test di valutazione della qualità dell’informazione online. Potete inoltre reperire informazioni e report utili sui contenuti disinformativi che circolano in rete sul sito della rete internazionale di giornalisti NewsGuard.
Bibliografia
- Coltelli M, Urso N. “Fake news. Cosa sono e come riconoscere le notizie false”, Franco Cesati editore, 2019
- The Guardian. “Fake news is ‘very real’ word of the year for 2017”. 02 nov 2017
- Ansa. “Infodemia Coronavirus, Oms lancia l’allarme: ‘Informazioni spesso false’”. 02 febbraio 2020
- Wardle C. “Fake news. It’s complicated”, pubblicato su First Draft, 16 feb 2017
- Wardle C, Derakhshan H. “Information disorder: Toward an interdisciplinary framework for research and policy making”, Council of Europe report (2017)
- OECD. “Skills Outlook 2019”
- Avaaz. “Facebook’s Algorithm: A Major Threat to Public Health”. 19 agosto 2020
- NewsGuard. “Centro di monitoraggio della disinformazione sul Coronavirus”
- Censis. “La fiducia nei media ai tempi delle fake news”. 2018
(Fonte: https://dottoremaeveroche.it)